Giornali vari, 10 dicembre 2012
Anno IX – Quattrocentocinquantaquattresima settimana Dal 3 al 10 dicembre 2012È meglio adottare la formula del diario giornaliero per raccontare il cataclisma politico di questa settimana: Berlusconi di nuovo in campo e all’attacco, prossime dimissioni di Monti, sua incertezza se ricandidarsi o no, spread in marcia verso quota quattrocento ecc
Anno IX – Quattrocentocinquantaquattresima settimana
Dal 3 al 10 dicembre 2012
È meglio adottare la formula del diario giornaliero per raccontare il cataclisma politico di questa settimana: Berlusconi di nuovo in campo e all’attacco, prossime dimissioni di Monti, sua incertezza se ricandidarsi o no, spread in marcia verso quota quattrocento ecc.
Mercoledì 5 dicembre Berlusconi deve presentare l’ultimo libro di Bruno Vespa, ma all’improvviso fa sapere che sarà meglio rimandare. I giornalisti pensano: non vuole farsi fare domande. Il Cav si immerge però in un lunghissimo vertice con i suoi che dura fino a notte. Non è ancora ufficiale, ma tutti hanno capito che il capo del centro-destra vuole scendere in campo per la sesta volta, non si parla più di marciare divisi e colpire uniti (cioè Berlusconi con una lista sua e Alfano alla guida del Pdl), il centro-destra si presenterà compatto sotto un’unica sigla da stabilire, bisogna fermare i comunisti eccetera. A notte fonda esce una sua dichiarazione assai critica del governo Monti: la situazione di oggi è molto più grave di quella di un anno fa, «quando per senso di responsabilità e amore per il mio Paese ho lasciato», «non è più possibile andare avanti così», «sono assediato dalle richieste dei miei che mi chiedono di tornare in campo». Bersani dice che non vede l’ora di incrociare le armi con il Cavaliere.
Giovedì 6 dicembre I pidiellini fanno sapere che non appoggiano più Monti: non solo il ministro Passera ha definito un male il ritorno del Cav – cosa che li offende -, ma la politica economica praticata dai tecnici non può più essere condivisa. In generale non voteranno contro i provvedimenti del governo, per alcuni dei quali l’approvazione è assicurata, ma si asterranno. Questo atteggiamento – che intanto provoca un’impennata dello spread a 330 punti - viene definito “responsabile” e messo subito in pratica: il partito la mattina non vota il decreto legge Sviluppo (che viene comunque approvato) e il pomeriggio annuncia un atteggiamento identico sull’altro decreto che taglia le spese agli enti locali e sarà votato l’indomani (passerà). Berlusconi intanto va all’attacco. La linea dell’astensione è contestata da uno sparuto gruppo di parlamentari azzurri, il più importante dei quali è l’ex ministro degli Esteri Frattini. Quasi tutti gli altri, anche quelli che in questo anno s’erano detti montiani, tornano a precipizio sotto la tenda del capo. C’è infatti da garantirsi un posto in lista, dato che si voterà di sicuro col vecchio Porcellum e i candidati, quindi, saranno decisi dal Cav in persona.
Venerdì 7 dicembre Napolitano mette in piedi un giro di consultazioni simile a quello delle crisi di governo, e riceve nell’ordine Schifani, Fini, Alfano, Bersani, Casini. Nulla trapela, ma Alfano va alla Camera e pronuncia un durissimo discorso contro Monti, il cui succo è questo: «Tredici mesi fa questo governo nacque perché le cose andassero meglio. Tredici mesi dopo le cose vanno peggio. Non abbiamo bisogno di molte discussioni. Oggi siamo qui a dire che consideriamo conclusa questa esperienza». Le ragioni pratiche di questo affondo quasi improvviso sono evidenti: precipitando il finale di legislatura si rende impossibile l’approvazione del decreto sull’incandidabilità dei condannati definitivi ad almeno due anni di reclusione, si impedisce il cambio della legge elettorale (le liste perciò le farà il Cav), si predispongono delle ragioni forti per permettere a Berlusconi di non partecipare al processo Ruby, in quanto impedito dalla campagna elettorale. Le ragioni politiche sono altrettanto evidenti: Berlusconi tenta per la sesta volta di provocare un referendum su di sé, cosa che potrebbe portargli voti, e intanto impugna la bandiera dell’antimontismo, no alle tasse, no all’Europa, no all’euro, ho ragione io perché quando c’ero io si stava meglio. Mentre scriviamo non ci sono ancora i sondaggi capaci di dirci se il Cavaliere ha riguadagnato qualche consenso con queste mosse. L’ultima volta, il Pdl stava al 14-16% con tendenza al ribasso.
Sabato 8 dicembre Monti sale al Quirinale, e quando esce, due ore dopo, annuncia che si dimetterà subito dopo l’approvazione della legge di Stabilità, quella che un tempo si chiamava Finanziaria e che dovrebbe concludere il suo iter prima di Natale. I conti sono presto fatti: Napolitano scioglierà subito le Camere, e siccome la campagna elettorale deve durare almeno 45 giorni, la data delle elezioni deve collocarsi tra domenica 17 e domenica 24 febbraio. Anche il senso della contromossa di Monti è piuttosto chiaro. Prima di tutto il premier e il capo dello Stato hanno dato seguito a una pressione di Bersani. Una volta uscito il centro-destra dalla «strana maggioranza», il peso dei prossimi provvedimenti del governo, certamente impopolari, sarebbe ricaduto tutto sulle spalle del Pd, con un costo probabile in termini di consenso. In secondo luogo, Monti ha evitato, in questo modo, di farsi rosolare per un mese almeno dai pidiellini, condizione che gli avrebbe tolto prestigio e credibilità. Il premier, che ieri sera alla Scala ha giustificato il suo pallore col fatto che «il Re Sole s’è un po’ allontanato da me», oggi risponde per le rime al Cavaliere: «Bisogna assolutamente evitare che l’Italia ricada nella situazione precedente quando, prima di questo governo, ha rischiato di essere il detonatore che poteva far saltare l’Eurozona. Il fenomeno del populismo esiste in molti paesi e anche in Italia: è un fenomeno molto diffuso con la tendenza a non vedere la complessità dei problemi o forse a vederla, ma a nasconderla ai cittadini elettori. Purtroppo questa scorciatoia verso la ricerca del consenso, anche attraverso la presentazioni di promesse illusorie, è un fenomeno che sta caratterizzando la vita politica».
Domenica 9 dicembre Monti è a Milano, va a messa con la moglie nella chiesa di San Pietro in Sala a piazza Wagner, quindi a spasso per corso Vercelli con la figlia, prende una brioche e un cappuccino da Biffi, a qualunque domanda dei cronisti che lo assediano risponde con un sorriso. I giornali scrivono che sta seriamente pensando di candidarsi a premier attraverso una serie di liste amiche (Montezemolo, Casini ecc.). Intanto infuria la polemica sulla tesi di Berlusconi, secondo cui si stava meglio quando al governo c’era lui. I dati Istat sembrano dargli ragione: nel 2012, rispetto al 2011, il nostro Pil è diminuito del 2,3%, il tasso di disoccupazione ha toccato l’11,1% (massimo degli ultimi 10 anni) e, relativamente ai giovani, ha toccato il livello mai visto del 35,7%. Cassa integrazione: siamo a un miliardo di ore, pari a 510 mila lavoratori. Consumi: -3,2%. Produzione industriale: - 4,2%. Investimenti: -7,2%. Pressione fiscale: 43,8% del Pil, massimo storico. Il rapporto debito/pil è peggiorato e non raggiungeremo il pareggio di bilancio nel 2013. Non parliamo del risparmio, del mercato dell’auto e di quello immobiliare. La questione è se Berlusconi, in questo anno di governo, avrebbe saputo ottenere numeri migliori. Senza contare quel minimo di riforme – specie le pensioni – e lo spread che, prima del cataclisma, era sceso sotto quota 300. Brunette nega quello che ha detto Tabacci in televisione, e cioè che al momento del passo indietro non ci fossero neanche i soldi per pagare gli statali. Ma lo nega solo lui e con le interviste, non con documenti ufficiali.
Lunedì 10 dicembre, ore 11 Riaprono i mercati. La Borsa di Milano perde il 3%, lo spread ha sfondato quota 350.