Michele Brambilla, La Stampa 4/3/2013, 4 marzo 2013
In poco tempo e a quanto pare con poche risorse, Beppe Grillo ha fatto un capolavoro. Neanche Berlusconi nel 1994, al suo primo colpo, era arrivato a tanto
In poco tempo e a quanto pare con poche risorse, Beppe Grillo ha fatto un capolavoro. Neanche Berlusconi nel 1994, al suo primo colpo, era arrivato a tanto. Il Movimento Cinque Stelle non si è limitato a vincere le elezioni. Dà anche l’impressione di poter cambiare, e radicalmente, l’andazzo della politica italiana e perfino lo stile di vita di tutti noi: dal modo di comunicare fino a un ripensamento di tante idolatrie dei nostri tempi come il mito della crescita eterna e la sottomissione incondizionata agli onnipotenti Mercati. Quella dei grillini è anche, indubbiamente, una lezione: impartita ad almeno un paio di mondi che improvvisamente si sono scoperti vecchi. Per primo al nostro mondo dell’informazione. Un mondo lento a capire quello che si agita nel profondo del Paese, e così supponente dal pensare di esorcizzare un problema dandolo per abortito, magari per via di qualche lite interna di provincia (lo stesso errore che fu compiuto nei primi Anni Novanta con la sottovalutazione della Lega). Questo è un mondo che davvero vive fuori dal mondo. Provate a rileggere le cronache politiche di neanche un anno fa, dopo il voto alle amministrative. Circa la metà degli italiani aveva dato un chiaro segno di disgusto verso la politica o votando per Grillo, o non andando a votare: eppure a Roma si discuteva di quali sarebbero state le prossime mosse di Casini, del futuro ruolo personale di Veltroni e D’Alema, delle strategie dei finiani con particolare attenzione alla corrente di Briguglio. Insomma Grillo fin qui non ha sbagliato nulla. Fin qui, appunto. Perché adesso anche per lui viene il difficile. Mantenere il successo, come sanno anche gli sportivi, è più difficile che raggiungerlo. Come l’ex comico genovese intenda gestire il successo in questa prima fase, è fin troppo chiaro. Mantenendo lo stile aggressivo della campagna elettorale. Dando a tutti «gli altri» della faccia da c., fosse anche una faccia nuova come quella di Matteo Renzi. Dicendo «no» a priori a qualsiasi possibile alleanza. Schifando tutti i mezzi di informazione italiani per parlare solo con quelli stranieri, magari americani, cioè di un Paese dove notoriamente le Borse non contano nulla. E così via. Ieri i neoparlamentari grillini si sono riuniti in un albergo segreto di Roma e si sono ben guardati dal far sapere di cosa e come hanno discusso. Oggi saranno raggiunti dal Grande Capo e dal suo misterioso spin doctor - quello di cui si sa solo che ha una capigliatura da Toro Seduto e un nome da formaggio - ed è scontato che la riunione verrà investita della stessa sacralità di un conclave, con tanto di scomunica per chi spiffera anche un solo dettaglio all’esterno. Una decisione legittima: ma un po’ stridente con la sbandierata trasparenza di parlamentari che hanno annunciato di sbarcare alle Camere muniti di webcam per mettere in rete i loro colleghi deputati e senatori. Anche rifiutarsi di collaborare con le altre forze politiche è legittimo. A patto però di smettere di criticare, ad esempio, un Berlusconi, al quale si dava del dittatore perché chiedeva il 51 per cento per governare il Paese come si governa un’azienda. Su questo punto Grillo fa di peggio, visto che gli basta il suo 25 per cento per pretendere un governo che approvi solo quello che c’è nel suo programma, e senza variazioni. Grillo dovrebbe ricordarsi che il 75 per cento di chi ha votato, non ha votato per lui. Si dice che tutto questo faccia parte di una strategia: puntare a nuove elezioni fra breve per ottenere la maggioranza assoluta. Beh, se è così, non sappiamo fino a che punto Grillo sia lungimirante. Il suo movimento ha vinto le elezioni soprattutto facendo leva sulla preoccupazione - in alcuni casi sulla disperazione - di tanta gente schiacciata dalla crisi. Questa gente chiede che sia fatto qualcosa adesso, subito. Puntare alle elezioni fra sei mesi o un anno vuol dire puntare prima a far precipitare la situazione. E se si precipita, non è detto che alle urne gli italiani poi si dimentichino che qualcuno non s’è preso le responsabilità che poteva prendersi. Se invece si dimenticheranno e porteranno Grillo in trionfo, non sappiamo quanto sarebbe poi possibile risollevare il Paese da una situazione diventata nel frattempo ancora più critica. A quel punto Grillo finirebbe processato da quelle stesse piazze che l’hanno portato in gloria: in Italia, di giravolte così, ne abbiamo già viste. Ecco perché Grillo, che porta avanti molte battaglie condivisibili e anche forse salutari, può essere una grande risorsa per il Paese, ma anche un disastro alla Pancho Villa. Dipende da quanto accetta le regole delle democrazia, e da quanto si mette la mano sulla coscienza. E poi il mondo della politica, o meglio di quella che Grillo chiama con un vecchio stereotipo «la politica politicante».