Paolo Lepri, Corriere della Sera 4/3/2013, 4 marzo 2013
BERLINO —
L’euro trema sotto i colpi degli slogan urlati nelle piazze e delle parole, altrettanto incendiarie, messe in circolazione dai suoi nemici conservatori. Traballa sotto la pressione di nuove formazioni politiche. Respira i veleni dell’instabilità. È uno scenario, questo, che preoccupa molto anche chi aveva sostenuto che il peggio era ormai passato. Solo poco tempo fa il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble si era espresso in termini ottimistici sulla possibilità di un superamento della crisi. Oggi mette in guardia contri i rischi di ulteriori contagi. E hanno qualcosa di rituale le invocazioni di quanti ricordano la necessità di fare presto per rilanciare politiche di investimento e di occupazione in grado di invertire la tendenza, di offrire speranze a chi le ha perdute.
Le immagini più eloquenti vengono dal Portogallo. Il «nemico pubblico numero uno», ancora una volta, è l’austerità. Centinaia di migliaia di persone si sono riunite sabato nella Plaça do Comércio, uno dei simboli di Lisbona, per gridare la loro rabbia contro il governo di centrodestra guidato da Pedro Passos Coelho. E fin qui tutto sarebbe quasi normale, o almeno già visto in altre occasioni. Ma la manifestazione è stata organizzata su Internet, dal movimento «Que se lixe a Troika» (Che la Troika si fotta). Un nome che è uno sberleffo all’Ue e al Fondo monetario internazionale che stanno proprio in questi giorni esaminando il percorso delle riforme annunciate da Coelho e dai suoi ministri. La mobilitazione è avvenuta senza il concorso dei partiti e dei sindacati e ha portato in piazza persone di ogni orientamento politico. Non sarà l’ultima.
Intanto Syriza, l’estrema sinistra greca di Alexis Tsipras ha rialzato il livello dello scontro contro il governo di Antonis Samaras proprio mentre i rappresentanti delle tre istituzioni internazionali devono sbloccare la terza tranche di aiuti da erogare entro marzo. «Il nostro vantaggio — ha detto Tsipras in una intervista alla Bbc — è che siamo sia l’opposizione parlamentare di oggi che il governo di domani. E nello stesso tempo possiamo scendere nelle strade, lottando e mobilitando le masse. Sono un milione e mezzo i cittadini senza lavoro, mentre altrettanti hanno un salario mensile inferiore ai 600 euro». Il piano di riforme imposte dalla Troika prevede che il governo greco tagli 25.000 posti di lavoro quest’anno, fino a raggiungere un totale di 150.000 entro il 2015. Uno sforzo necessario, ma quasi proibitivo.
Tsipras non vuole che la Grecia esca dall’euro, ma le spallate che assesta a Samaras rendono di nuovo la situazione allarmante. La paura torna. E non è un caso che il gruppo che sta dando vita al partito «Alternativa per la Germania», abbia scelto proprio questo momento per annunciare la propria iniziativa. Sono economisti, esponenti del mondo delle imprese fra cui l’ex capo della Confindustria tedesca Hans-Olaf Helkel, politici già vicini alla Cdu della cancelliera Angela Merkel convinti che sia molto meglio tornare alle monete nazionali o ad unioni monetarie più piccole, restituire le sovranità cedute all’Unione Europea dagli Stati nazionali, bloccare i salvataggi miliardari dei Paesi in difficoltà. «Stiamo vivendo la peggiore crisi della nostra storia», ha detto al quotidiano Die Welt Alexander Gauland, uno degli uomini più attivi di questa nuova formazione politica (che sarà presentata tra una settimana a Berlino e dovrebbe tenere un congresso di fondazione ad aprile), già braccio destro del governatore cristiano-democratico dell’Assia, Walter Wallmann.
L’ottica dei fondatori di «Alternativa per la Germania» è tutta rivolta al futuro del Paese. Bisogna salvarsi «finché si è in tempo», proteggere gli interessi nazionali tedeschi, difendere i risparmi invece che tenere in vita l’euro. In questo dibattito si inseriscono però anche le voci di chi si rivolge direttamente all’Italia. È il caso del presidente della Bga, l’associazione degli esportatori tedeschi, Anton Börner, secondo cui è indispensabile riflettere attentamente per evitare «che gli italiani ci ricattino con la minaccia di uscire dall’euro». In una intervista a Focus Börner auspica la preparazione di un «Piano B» che preveda il crollo dell’eurozona. Nello stesso numero del settimanale l’ex ministro dell’Industria Paolo Savona, che era al governo con Carlo Azeglio Ciampi, sostiene che, «se la politica europea non cambia» la scelta è tra l’aumento della disoccupazione del 20% con l’euro oppure quello dell’inflazione del 20% senza l’euro. «Io — aggiunge — preferisco la seconda variante».
I timori che affiorano in Germania sul futuro dell’Europa non sono limitati alla tenuta della moneta unica, ai costi dei salvataggi, alla capacità dei Paesi in crisi di praticare politiche di bilancio virtuose e di portare a termine le riforme stabilite. All’ordine del giorno, in questa fase, c’è anche il problema dei costi dalla libera circolazione delle persone. Ne è un segnale evidente l’intenzione tedesca, annunciata ieri dal ministro degli Interni Hans-Peter Friedrich, di opporsi all’ingresso di Bulgaria e Romania nel Trattato di Schengen. «Non è ammissibile che da tutta Europa la gente si metta in marcia perché in Germania esistono le più alte prestazioni sociali», ha detto l’esponente cristiano-sociale in una intervista a Der Spiegel. La possibile invasione di bulgari e rumeni è stato uno dei cavalli di battaglia anche del successo dell’Uk Independence Party nelle recenti elezioni suppletive di Eastleigh, in Gran Bretagna. I conservatori di David Cameron hanno perso consensi a favore degli euroscettici nonostante l’offerta di un referendum sulla membership britannica dell’Ue nel 2017. L’ennesimo indizio di un momento difficile per tutti, anche per chi ha pronta una via di uscita.
Paolo Lepri