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 2013  marzo 04 Lunedì calendario

Anche per la società di mezzo fare i conti con i recenti risultati elettorali non sarà facile. Perché mentre la politica tenterà di costruire nuovi/più complicati equilibri politici e di assicurare una governabilità seppur a tempo, l’associazionismo e la rappresentanza si dovranno misurare con i mutamenti indotti nella dialettica sociale dal successo del Movimento 5 Stelle

Anche per la società di mezzo fare i conti con i recenti risultati elettorali non sarà facile. Perché mentre la politica tenterà di costruire nuovi/più complicati equilibri politici e di assicurare una governabilità seppur a tempo, l’associazionismo e la rappresentanza si dovranno misurare con i mutamenti indotti nella dialettica sociale dal successo del Movimento 5 Stelle. Si è ripetuto in questi mesi che la profondità della crisi non si era (fortunatamente) sommata a un’esplosione di conflitto sociale e che gli italiani avevano saputo sviluppare una grande capacità di adattamento alla riduzione di taglia della nostra economia. Più che riempire le piazze avevano saputo stringere la cinghia o tutt’al più sviluppare la contrattazione aziendale. Ma tutto il potenziale che non si è espresso in termini di conflitto sociale aspro, anche solo con le forme che abbiamo conosciuto nel Novecento o che possiamo osservare nelle cronache greche e spagnole, alla fine è sfociato in un clamoroso caso di conflitto politico che ha portato un movimento outsider a scalare il Parlamento. L’Opa lanciata da Beppe Grillo è riuscita e, vista dal basso, c’è il rischio che in virtù di quest’operazione gli venga intestata de facto la totalità della rappresentanza del «disagio» sociale. La prima dimostrazione che per sindacati, Confindustria, Rete Imprese Italia, cooperative sarà arduo difendere gli spazi di protagonismo che avevano tradizionalmente occupato viene anche dal dibattito di questi giorni. Le priorità programmatiche individuate per costruire gli equilibri di governo poggiano quasi integralmente su misure che attengono alla riforma della politica e relegano più indietro i temi dell’economia reale e della crescita. Negli ultimi giorni di campagna elettorale Grillo si era lanciato in un attacco ai corpi intermedi di non facile decrittazione. E’ parso di capire che ce l’avesse esclusivamente con i sindacati confederali più che con le organizzazioni della rappresentanza d’impresa, visto che in Veneto una piccola sigla aveva radunato per lui un parterre di artigiani e a Parma l’assessore alle Attività produttive viene da un’altra associazione di Pmi. Quale che sia l’interpretazione giusta della sua sparata, Grillo ha però voluto ribadire un’idea della democrazia in cui sembra esserci poco spazio per la società di mezzo. La sua è una proposta top down e tende ad azzerare gli organismi intermedi di ascolto e di canalizzazione del consenso. Se pensiamo come in campagna elettorale la Cgil avesse reinvestito moltissimo sulla nascita di un governo amico, e come già fossero in corso timidi tentativi per aggiungere al blocco laburista un’interlocuzione privilegiata con la Confindustria, si capisce facilmente qual è la portata della discontinuità che le parti sociali si trovano davanti. Equivale a un cambio di paradigma. Grillo per la Cgil è un avversario più temibile della stessa «bestia nera» Maurizio Sacconi, che pure aveva puntato ad isolarla, perché la pressione del Movimento 5 Stelle agisce anche dall’interno. E’ un cavallo di Troia parcheggiato nella cittadella della rappresentanza sociale. E qui si inserisce un altro tema con il quale confrontarsi, l’evoluzione della Rete. Per come ha saputo usarla il duo Casaleggio-Grillo assomiglia non solo a uno straordinario strumento di comunicazione ma anche a una sorta di infrastruttura del consenso. Rete e società civile tendono a rispecchiarsi l’una nell’altra e con il tempo cercano di assomigliarsi. Se pensiamo al sostanziale analfabetismo digitale della società di mezzo non possiamo non cogliere la preoccupante asimmetria delle forze in campo. Quando a suo tempo un altro partito outsider, la Lega Nord, volle sfidare il sindacato anche «dal basso» mise in campo il Sin.pa. di Rosi Mauro e un insieme di associazioni raccogliticce. Poca roba e sappiamo come è andata a finire. Stavolta la competizione si presenta più ardua e se, di conseguenza, la rappresentanza vorrà resistere dovrà chiedere non solo la riforma della politica ma anche implementare la sua. Sarebbe maramaldesco elencare, qui e adesso, tutti i vizi e le pigrizie della società di mezzo ma di lavoro da fare ce n’è a volontà. Si tratta decidere solo da dove cominciare. @dariodivico