Fulvio Bufi-Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 02/03/2013; Giuseppe Guastella-Andrea Senesi, ib., 2 marzo 2013
2 articoli – LA VERSIONE DELL’EX IDV «ASSE CON GLI USA PER MANDARE A CASA IL GOVERNO PRODI» — Ci sono cinque testimoni che confermano il racconto dell’ex senatore Sergio De Gregorio
2 articoli – LA VERSIONE DELL’EX IDV «ASSE CON GLI USA PER MANDARE A CASA IL GOVERNO PRODI» — Ci sono cinque testimoni che confermano il racconto dell’ex senatore Sergio De Gregorio. Cinque persone interrogate dai pubblici ministeri di Napoli che hanno fornito riscontri sulle dazioni di denaro in nero arrivate da Silvio Berlusconi per «comprare» il politico di centrosinistra nel 2006 e così indebolire, fino a farlo cadere, il governo Prodi. Complessivamente si tratta di tre milioni di euro, di cui due in contanti e divisi in varie tranches. De Gregorio era diventato elemento prezioso per Forza Italia e l’intero centrodestra dopo la nomina a presidente della commissione Difesa di Palazzo Madama. Votava le mozioni di sfiducia, cercava altri «complici» tra i parlamentari, bocciava le mozioni di palazzo Chigi che arrivavano alla sua commissione. Ma non solo. Perché lui stesso ha raccontato durante la sua lunga confessione di essersi mosso anche «con gli americani» per indebolire l’azione dell’esecutivo. E ha fornito dettagli su chi fossero i suoi interlocutori statunitensi che avrebbero già trovato riscontro. Del resto non è un mistero il suo legame stretto con l’allora direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari, e con altri uomini dell’intelligence che potrebbero aver favorito alcuni suoi contatti all’estero. Dell’Utri e gli americani Durante il primo interrogatorio del 28 dicembre 2012 di fronte ai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, De Gregorio spiega di aver chiesto a Dell’Utri, nel luglio scorso, di intercedere presso Berlusconi. E spiega: «Gli dissi che volevo soltanto dirgli le cose che avevo fatto per il presidente Berlusconi in base alle quali, non dovendomi e volendomi candidare, credo di meritare un riconoscimento. Gli feci leggere un appunto relativo alle cose che vi sto illustrando, politiche e non politiche. Non sto parlando di questioni, sto parlando del mio intervento con gli americani per mandare a casa Prodi». I magistrati lo incalzano, chiedono spiegazioni. De Gregorio non si sottrae, ma nella richiesta inviata al Parlamento per essere autorizzati ad aprire una cassetta di sicurezza del Cavaliere e per ottenere alcuni tabulati telefonici che lo riguardano, questa parte del verbale è coperta da «omissis». Alcuni dettagli su quale fosse il suo obiettivo vengono comunque svelati. Dichiara de Gregorio: «Nel luglio 2006 Rifondazione comunista spingeva perché non si rafforzasse in termini numerici il contingente militare in Afghanistan. Io feci una dichiarazione molto forte dopo aver incontrato l’ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli e l’ambasciatore americano presso la Nato presso l’ambasciata in via Veneto. Garantii il mio personale appoggio, ed era l’appoggio del presidente della commissione Difesa, e rispetto alla richiesta precisa che gli americani facevano di rafforzare il contingente. Ciò fece andare l’Unione su tutte le furie, ma in particolare l’ala antimilitarista, e questo fu un primo atto di una serie di comportamento e di segnali politici rispetto ai quali, qualche volta, con il mio atteggiamento ottenni perfino il convincimento attivo del governo. Nel caso del rafforzamento in Afghanistan il ministro della Difesa Parisi capì che sottrarsi a una richiesta americana era difficile, ma quella richiesta era stata fatta oltre che al governo alla commissione Difesa e il governo avrebbe gradito che non si trattasse di una richiesta pubblica. Io invece emergendo pubblicamente e facendo sì che la richiesta arrivasse alla discussione in Parlamento, frantumai i rapporti interni all’Unione ed era quello sostanzialmente l’obiettivo dell’"Operazione Libertà"». I testimoni dei versamenti Il verbale di Patrizia Gazzulli, segretaria dell’ex senatore interrogata l’8 gennaio scorso, è soltanto uno dei riscontri dei pubblici ministeri. Dice la donna: «La fase di relativa tranquillità economica cominciò nel 2006, dopo l’elezione di De Gregorio al Senato, quando cominciò a darmi soldi in contanti. Un giorno mi recai presso un albergo dove alloggiava e lui mi diede 150 mila euro in contanti e in banconote da 500 euro che andai a versare su qualcuno dei conti accesi a Napoli rimasti scoperti. In quell’occasione De Gregorio, dandomi la somma che prelevò da un cassetto dove c’erano altri soldi, mi disse sorridendo che da lì in poi almeno per un certo periodo non avremmo avuto più problemi dal momento che l’onorevole Berlusconi gli aveva dato del denaro». A confermare le dazioni del Cavaliere ci sono l’autista e il commercialista, oltre a Maria Lavitola, la sorella del faccendiere Valter che aveva rapporti stretti con il politico. Fornisce riscontri pure Carmelo Pintabona, che aiutò Lavitola durante la latitanza ed ebbe con il Cavaliere almeno due incontri proprio per sollecitare altri versamenti di denaro. Allegate agli atti ci sono le relazioni degli investigatori della Guardia di Finanza guidati dal colonnello Nicola Altieri, che hanno effettuato verifiche su tutti i conti correnti riconducibili a De Gregorio e sui versamenti delle somme che lui stesso aveva elencato. «Berlusconi mi comprò», ha ammesso specificando di non essere stato l’unico. E anche su questo sono tuttora in corso accertamenti. «So che cercarono di provocare un’assenza di Pallaro», ha aggiunto parlando di altri parlamentari che avrebbero accettato di mettersi al servizio del centrodestra. Fulvio Bufi Fiorenza Sarzanini «IN PIAZZA PER FERMARE LA BARBARIE» — Mai stato socio occulto di Agrama, da quando è entrato in politica nel ’94 si è dimesso da tutte le cariche in Mediaset e non si è più interessato di bilanci e dichiarazioni fiscali: Silvio Berlusconi si presenta in aula al processo d’Appello sui diritti tv Mediaset per 14 minuti di dichiarazioni spontanee chiuse affermando che i giudici ora non possono che assolverlo con una «sentenza giusta» e senza «pregiudizi politici». Fuori, ripete ai cronisti le stesse cose, e nello stesso esatto ordine, ma quando gli chiedono delle dichiarazioni di Sergio De Gregorio alla Procura di Napoli, che lo accusa di corruzione, sbotta: «I pm gli hanno chiesto: ci dici qualcosa su Berlusconi o ti mettiamo in galera, e lui, che ha il terrore della galera, ha detto delle cose su Berlusconi come volevano i pm». Quindi annuncia che contro questa «barbarie» il 23 marzo ci sarà a Roma una «grande» manifestazione del Pdl per «protestare contro una parte della magistratura che usa la giustizia per combattere avversari politici che non si riescono a eliminare con il sistema democratico delle elezioni». Ai giudici di Milano Berlusconi dice che tra il 2002 e il 2003, il periodo rimasto nell’imputazione, da premier non avrebbe neppure avuto il tempo per occuparsi di Mediaset. Nemmeno ci fosse ancora la campagna elettorale, in piedi di fronte al collegio d’Appello rivendica i «successi» del suo governo, come il G8 di Genova, l’aver «tenuto la Federazione russa nell’ambito dell’Occidente», le pensioni minime portate a un milione di lire e la creazione delle «condizioni per un milione e mezzo di nuovi posto di lavoro». Quindi ritorna sulle accuse: «Né socio di Agrama, né di altri», anzi: «Con lui, solo due occasioni di incontro conviviale». Con le sue «considerazioni finali e incontrovertibili», argomenta che se fosse stato socio di Agrama, il produttore americano gli avrebbe chiesto di intervenire quando un manager Mediaset volle una tangente «del 10%, pari a 4,5 milioni di dollari» per acquistare «45 milioni di diritti» tv. Non solo, lui, Berlusconi, socio al 50% di Mediaset, sarebbe stato poi «un pazzo» a tenersi un manager che ogni anno maneggia 750 milioni di acquisti di diritti. Se lo fa «deve essere condannato per stupidità assoluta». E infatti, quando ha saputo dall’inchiesta, quel manager dice che «è stato licenziato in tronco». Evasione fiscale? Un sorprendente Berlusconi parla di «orgoglio di essere un grande pagatore di imposte, probabilmente il primo d’Italia», del suo gruppo che nel 2002-2003 ha avuto addirittura «l’onore» di versare all’erario 567 milioni per poi spiegare che con un contributo fiscale di tale portata, l’evasione contestata, che lui individua in 3 milioni, sarebbe appena dello 0,5%, un nonnulla per uno il cui gruppo dal ’94 «ha versato alle casse dell’erario intorno a 6 miliardi di euro» dando lavoro a 56 mila persone. Un eroe: «Invece di avere la medaglia d’oro da mettermi al petto, ho ricevuto come ricompensa una condanna», che è stata «un errore, una colossale cantonata giudiziaria oppure una sentenza politica motivata da un pregiudizio politico profondo del presidente del collegio» e che è finita «sui principali giornali del mondo», ma che, ne è sicuro, sarà «cancellata». L’argomento De Gregorio scalda ancor di più l’ex premier. Non ha mai corrotto con 3 milioni l’ex senatore Idv, passato armi e bagagli dalla maggioranza all’opposizione pdl quando il governo Prodi aveva bisogno di ogni singolo voto per tirare a campare. Con il transfuga, Forza Italia stipulò un «contratto, depositato alla Camera e al Senato, versando in maniera chiara e solare un milione», dichiara Berlusconi. Qual era la specialità di De Gregorio? «Il suo partito "Italiani nel mondo" doveva curare la politica del centrodestra all’estero». Se servivano altri due milioni, si potevano «aggiungere senza la commissione di nessun reato», sarebbe stato «da pazzi» ricorrere a «versamenti in nero». Oltre a essere «pericolosi, sono un reato». Quando poi De Gregorio si è presentato all’avvocato Ghedini, dopo aver detto che i pm «volevano dichiarazioni contro» il fondatore del Pdl, ha chiesto altri aiuti ai quali il legale ha detto subito di no: «Vi immaginate che uno come me possa fare una stupidaggine, oltre che una cosa illecita, di questo tipo?», aggiunge Berlusconi prima di concludere con un nuovo attacco a quella magistratura che «è un cancro della nostra democrazia». Sul caso De Gregorio è intervenuto anche l’ex premier Prodi, intervistato dal Tg1: «Ho letto questo episodio tristissimo. Uso il condizionale, se le cose sono così, si tratta di un elemento gravissimo, un vero attentato alla democrazia. Quindi, esigo che si faccia chiarezza, perché non si può cambiare la storia di un Paese corrompendo dei parlamentari». La reazione dell’Anm non si fa attendere: «Invocare la piazza in un momento come questo è molto pericoloso, vuol dire screditare l’istituzione magistratura in un sistema complesso e unitario come lo Stato, significa indebolire lo Stato stesso». Il segretario pdl Angelino Alfano replica che mai «l’Anm si era spinta a diffidare, a tentare di impedire la manifestazione di un libero pensiero e di libere proteste in una piazza di un Paese democratico e repubblicano». Giuseppe Guastella Andrea Senesi