Alan Elkann, La Stampa 3/3/2013, 3 marzo 2013
L’entrata dello studio - che ha una straordinaria vista su tutta New York - dell’architetto e design Peter Marino assomiglia a un museo
L’entrata dello studio - che ha una straordinaria vista su tutta New York - dell’architetto e design Peter Marino assomiglia a un museo. Quali sono stati i passi salienti della sua carriera? «Sono sempre stato un architetto, ho studiato a Cornell University e poi ho cominciato disegnando la casa di Andy Wharol e anche l’interno della prima Factory a Union Square». E poi cosa è successo? «Ho lavorato molto per dei privati con un passaparola di amici, cominciando dal mondo della moda: mi sono occupato dell’appartamento di Yves Saint Laurent e Pierre Bergè a New York, ed ho anche rinnovato l’appartamento di Gianni e Mariella Agnelli a Park Avenue». E poi? «A metà degli Anni Ottanta fui chiamato dai grandi magazzini Barney’s, forse perché avevano visto delle mie fotografie su qualche giornale di moda. Io non mi ero mai occupato di negozi, ma il proprietario mi aveva detto: “Giovanotto, voglio una persona che abbia talento e che conosca molto bene la cultura europea”. Così dal 1985 al 1991 ho realizzato 19 negozi in tutto il mondo, due in Giappone e gli altri in varie città americane, pur continuando a realizzare appartamenti per clienti privati. Ancora oggi il lavoro residenziale rappresenta il 25% della mia attività». Chi erano i suoi clienti privati? «Ho conosciuto Calvin Klein e ho fatto il suo primo negozio a Boston, poi quello di Donna Karan. Quindi per Valentino ho realizzato tre negozi oltre alla sua casa di New York e anche due abitazioni per Giancarlo Giannetti, una a Parigi e una a Roma. Per Armani nel 1988 ho disegnato il suo appartamento a Milano e ho costruito il suo building che è in Madison Avenue a New York». Si tratta di clienti difficili? «I designers per me sono dei clienti facili perché con un colpo d’occhio capiscono ciò che è buono e ciò che non lo è. È molto più difficile lavorare per uomini di finanza, avvocati o industriali». Vi è un segno particolare nei suoi lavori? «Di solito l’architettura esterna è molto semplice e molto moderna mentre gli interni sono variabili, tanto che a seconda dei clienti possono essere anche antichi». Il fatto di occuparsi di interni e di esterni è un fatto raro, nel suo lavoro? «Mi piace l’interno quanto l’esterno, in questo amo paragonarmi a Josef Hoffmann: credo che questa sia stata la chiave del mio successo. Forse sono un uccello un po’ speciale perché vengo dall’architettura, ma dalla scuola d’arte e nonda quella di ingegneria. Mio padre era un ingegnere e avrebbe preferito che seguissi le sue orme, ma alla fine ha capito qual era la mia strada: tra l’altro ho sempre lavorato anche con gli artisti e commissionato loro dei lavori sia per le mie case sia per quelle dei miei clienti». È anche un collezionista? «Sì, sono un collezionista onnivoro e spendo più di quanto non guadagni, compro cose molto varie tra di loro: dagli argenti antichi alle fotografie, dalla scultura alla pittura. Ho anche una collezione molto importante di porcellane francesi e di mobili antichi. Grazie alla collezione di porcellane a mi hanno commissionato il museo della porcellana di Dresda, in Germania». Ma che quadri compra? «Sia quadri contemporanei che antichi, soprattutto del XVIII secolo; ma se dovessi dire la verità sono più famoso per la mia collezione di bronzi del Rinascimento e del Barocco. Forse la mia è una delle collezioni private più importanti del mondo». Non l’ha mai mostrata in pubblico? «Sì, in un’occasione, quando ho fatto una mostra alla Wallace Collection a Londra». E lei quante case ha? «Ne ho tre, di cui una ad Aspen in Colorado che è come un piccolo museo di opere di Kiefer: vi sono contenuti 16 suoi quadri». Anche il suo ufficio è una sorta di museo? «Sì, voglio che chi collabora con me stia nell’arte, fatto che aiuta a essere più creativi». Quante persone lavorano nel suo studio? «A New York ho 178 collaboratori dislocati su tre piani». E quanti progetti seguite? «In questo momento circa 80 progetti in tutto il mondo, più del 50% in Cina, Thailandia, Singapore, Corea e Giappone. E lavoriamo molto per le marche di lusso». E in Europa? «A Londra sto costruendo un grande building per Chanel a Bond Street, ma anche un edificio per Christian Dior». I suoi clienti le dicono sempre quello che vogliono? «Sì, ma alla mia età - ho più di 50 anni faccio più o meno quello che voglio». Qual è il suo segreto? «Penso sempre e soltanto a cosa la gente amerà e a che cosa li farà stare bene. Per questo mi piace molto realizzare dei giardini». Lei oggi è un uomo contento? «Sì, anche perché ho avuto un brutto incidente in moto e pensavo che ci avrei lasciato la pelle e non avrei mai immaginato di arrivare dove sono arrivato. Quindi posso solo ringraziare».