Stefano Lorenzetto, il Giornale 24/2/2013, 24 febbraio 2013
LORENZETTO INTERVISTA GIANLUCA MECH
(dietologo) -
Il Giornale, domenica 24 febbraio 2013
Me la ricordo bene la Balilla - ma negli anni Sessanta poteva già essere una Fiat 1100 - che batteva rioni e paesi del Veneto per offrire il fernet Balestra. O, perlomeno, ricordo bene il refrain diffuso dagli altoparlanti, due trombe del giudizio issate sul tetto: «Oggi, perché tutti lo proviate, la casa Balestra...». E qui la memoria si annebbia, però rammento che la voce registrata proseguiva invariabilmente con un’offerta speciale (già allora) basata su «qualità e prezzo». Figurarsi pertanto il mio stupore nell’apprendere che il brevetto della tisanoreica, la dieta dei Vip ormai trasformatasi in una religione, e il suo profeta, Gianluca Mech, discendono dal fernet Balestra che ogni domenica sera mi veniva somministrato per favorire la peristalsi bloccata dalla ripetuta visione del film in cartellone al cinema parrocchiale.
Mech è l’ultimo depositario dei segreti della decottopia. Nonostante l’assonanza, niente a che vedere con i decotti: la parola deriva dal greco déka, dieci. È una formula galenica di famiglia che da 500 e passa anni riesce a legare senza alcol, senza zuccheri e senza conservanti le oltre dieci piante ieri all’origine dell’amaro digestivo e oggi della dieta ipoglucidica, normoproteica, ipocalorica che da martedì prossimo troverà il suo libro sacro, come ogni fede che si rispetti, in Dimagrisci con la dieta tisanoreica, pubblicato da Mondadori, seguito ideale di Non sono a dieta, sono in tisanoreica!, uscito un anno fa presso lo stesso editore. Vecchio e Nuovo Testamento del mangiar sano ma senza sacrifici, visto che il regime alimentare contempla, fra molte altre specialità, la Tisanopast (penne, fusilli e riso ad alto contenuto proteico con solo il 6,44% di carboidrati), le Mech Chips (patatine con carboidrati e grassi ridotti ad appena il 3,7%), i T-Griss (similgrissini), i Cioco Mech (biscotti al cacao), i Tis-Ice Cream (gelati) e persino i Candy Mech (bonbon alla menta). Insomma, niente di quaresimale.
Eppure non è un caso che la bibbia mechiana esca proprio in questo periodo né che la tisanoreica duri 40 giorni, tempo canonico sancito da Gesù col suo digiuno nel deserto. «Ci siamo dimenticati che la dieta mediterranea prevede la Quaresima. Oggi, sulle nostre mense, è sempre domenica», ammonisce Mech, che assicura d’aver convertito alla sua penitenza innanzitutto se stesso («pesavo 86 chili, adesso sono stabile da sei anni a 68») e poi, con spirito bipartisan, sia Silvio Berlusconi sia alcuni alti papaveri del Partito democratico che però non desiderano essere citati, con l’eccezione dell’onorevole Daniela Sbrollini. Tanto che ormai la chiamano la dieta del Parlamento. A marzo Mech aspetta Alex Castro, figlio di Fidel, che ha conosciuto a L’Avana . Il figlio dell’ex dittatore verrà a Roma per sottoporsi a una tisanoreica controllata, nella speranza di smaltire parte dei suoi 150 chili.
Per tradizione inveterata, gli ingredienti della decottopia da cui trae origine la tisanoreica vengono tramandati a un solo erede. La scelta non tiene conto né dell’età, né del sesso, né delle attitudini individuali. Per la presente generazione è caduta su Gianluca, nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) il 7 dicembre 1969, penultimo dei cinque figli di Giovanni Mech, veronese di Bovolone, e di Gabriella Rovetti, vicentina. Diplomatosi ragioniere, egli mai avrebbe pensato che questo sarebbe stato il suo lavoro. Ma purtroppo, quand’era diciottenne, accadde una disgrazia: la madre rimase uccisa in un incidente stradale. Una morte sul lavoro: finì con la sua auto in un corso d’acqua di ritorno da un giro di vendite del fernet Balestra. «Aveva appena 45 anni. Mio padre fu colto da un esaurimento nervoso, così io dovetti abbandonare gli studi e dedicarmi all’azienda».
Prima di lei a chi era toccato?
«Non ho mai fatto ricerche genealogiche. I ricordi del casato risalgono fino alla mia bisnonna, Giuseppina Bonardo. La sua famiglia era originaria delle Langhe, ma il ceppo più antico apparteneva a una comunità di protestanti calvinisti arrivata in Piemonte dalla Svizzera. I Bonardo erano ambulanti, giravano l’Italia vendendo i loro prodotti di erboristeria, e fu così che Giuseppina nel 1899 approdò in Veneto, dove sposò Marcello Balestra. Il quale nel 1911 ereditò dal suocero, Giacomo Bonardo, i segreti della decottopia e fondò la ditta Balestra. Nel 1927 la formula di famiglia passò ad Adelaide, primogenita di Giuseppina e Marcello, mia nonna, che nello stesso anno andò in sposa a Rodolfo Mech, mio nonno, cosicché l’azienda divenne Balestra & Mech. Mio padre ebbe la formula direttamente da sua madre Adelaide, che era la più vecchia di 12 fratelli».
Per fortuna non ha mai fatto ricerche genealogiche...
«Se la ditta è giunta ai nostri giorni, il merito è di mio bisnonno Marcello. Sino agli inizi del secolo scorso, i medici curavano la salute, nel senso che usavano i prodotti naturali per fare medicina preventiva. Con la scoperta dei principi attivi isolati, per la prima volta si misero a curare la malattia. La decottopia, al pari dell’erboristeria, cadde in disgrazia. La Balestra stava per chiudere. L’intuizione di Marcello fu di suggerire l’aggiunta di alcol e zucchero per trasformare il depurativo in un amaro: il famoso fernet che ci ha consentito di sopravvivere per 80 anni».
Dopodiché arriva lei.
«Ero consumato da un rovello: il peso. In famiglia siamo sempre stati tutti grassi: io, le mie sorelle, mio nonno Rodolfo, che faceva il pasticciere. Mio padre morì di obesità nel 2007. Pesava 150 chili, fu colto da un ictus e il suo cervello regredì all’età infantile, una fine molto penosa. Di qui l’illuminazione: e se utilizzassi la decottopia per controllare la chetosi, che è la grande incognita di qualsiasi dieta ipoglucidica, cioè a basso contenuto di carboidrati?».
Incognita pericolosa, visto che sovraccarica fegato e reni.
«Quella è la chetosi fatta male, iperproteica, di chi abolisce la pasta per riempirsi solo di carne. Io parlo di quella fatta bene, ipocalorica, eseguita sotto lo stretto controllo del medico o del dietologo, che non provoca danni».
Questo lo dice lei.
«No, lo attesta il polo di fisiologia del Dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Padova, dove da quattro anni, con un finanziamento della Camera di commercio di Vicenza, ho istituito il Mech Lab, laboratorio di ricerca diretto dal professor Antonio Paoli che ha prodotto 18 studi e 5 pubblicazioni internazionali sulla chetosi “verde” favorita dalla decottopia».
Perché l’ha chiamata tisanoreica?
«Perché ti sana.Senza le tisane».
Qualcosa da bere ci sarà.
«Il decottopirico tonico, che favorisce la chetosi, e l’estratto decottopirico depurativo, che aiuta il fegato. Dimagrire senza depurare è assai rischioso».
Quanto dura la dieta?
«Il protocollo d’urto 40 giorni. Nei primi 20 si tolgono i carboidrati, a cominciare dalle cinque “p”, pane, pasta, pizza, polenta, patate, e il riso. Oltre ovviamente a zucchero, formaggi, legumi, verdure rosse, alcolici e dolci. Abolita anche la frutta, che contiene carboidrati. Restano carne, pesce, uova, verdure verdi e olio d’oliva. E le pat».
Patatine dietetiche?
«È un acronimo: porzioni alimentari tisanoireche, pietanze costituite da proteine vegetali ricavate da cereali, soia e piselli, con l’aggiunta di alcuni amminoacidi essenziali del latte e dell’uovo e di fibre idrosolubili. Se ne assumono quattro al giorno, in associazione ad alimenti tradizionali come verdura, carne, pesce e uova. Col vantaggio che 72 grammi di proteine vegetali equivalgono, in termini di amminoacidi, a 700 grammi di filetto, ma senza l’aggravio di acido urico, acidi grassi e altre sostanze nocive per fegato e reni».
Di che genere di pietanze sta parlando?
«Buonissime, che appagano il gusto. Zuppe di pollo al curry, con pollo vero, mica liofilizzato, o ai porri e agli asparagi. Omelette al bacon. Pasta condita con sughi pronti ai funghi o ai carciofi».
I suoi fusilli di che cosa sanno?
«Hanno un sapore simile a quello degli strozzapreti trentini o dei pizzoccheri valtellinesi».
Sarà...
«Guardi che sta crescendo una generazione di chef tisanoreici, come Marian Cernea, del ristorante Gallura di Roma, e Andrea Peticca, del Maga di Ostia».
Superati i primi 20 giorni di passione, che si fa?
«Per i successivi 20 si consumano almeno due pietanze al giorno e si reintroducono gradualmente i carboidrati a basso indice glicemico. Io suggerisco la pasta di grano duro trafilata al bronzo. Durante la dieta non si avvertono mai i morsi della fame, perché i corpi chetonici, prodotti dalla trasformazione dei grassi e utilizzati anche dal cervello, hanno un effetto anoressizzante, energizzante e antidepressivo».
E finita la quaresima tisanoreica?
«Si saranno persi dai 6 agli 8 chili di massa grassa, preservando quella magra, quindi senza danni per muscoli e pelle. Dopodiché possiamo fornire un menù personalizzato di mantenimento tarato sul test del Dna».
Mi è stato sequenziato il genoma all’ospedale San Raffaele di Milano, ma non ricordo d’aver ricevuto prescrizioni dietetiche basate sul codice genetico. Senza contare che l’esame costa 8.000 euro più Iva.
«Per il nostro bastano un tampone di saliva e 147 euro. Chi segue un’alimentazione basata sul proprio profilo genetico ha il 150% di probabilità in più di non ingrassare».
E di dimagrire pure nel portafoglio.
«La dieta d’urto, 120 pasti più la decottopia, costa 650 euro. Sono poco più di 5 euro a pasto».
Almeno concede qualche strappo?
«In mezzo secolo, causa sedentarietà, il fabbisogno energetico quotidiano è sceso di circa 500-1.000 calorie, dipende dalla costituzione fisica. Ma non posso togliere il piacere del biscottino alla signora Maria solo perché non va più a fare la spesa in bicicletta».
Dunque?
«Bisogna sgarrare bene, con prodotti di qualità. I grassi per fissarsi hanno bisogno di carboidrati. Dopo una sera di stravizi bastano due pasti tisanoreici per non ingrassare».
Come fa a evitare la ripresa, con gli interessi, dei chili persi?
«Il fenomeno dipende dalla perdita di massa magra e dagli ormoni carestia, scoperti di recente. Il corpo pensa che la dieta sia dovuta a scarsità di cibo, per cui induce il soggetto a nutrirsi di più. Con la tisanoreica entrambi gli inconvenienti sono scongiurati».
Ci sono medici e dietologi che dicono peste e corna del suo metodo.
«Nessuno dei miei detrattori mi ha mai chiesto informazioni. La nostra ultima ricerca scientifica con l’Università di Padova riguarda proprio gli ormoni carestia. Nel resto del mondo, chi pubblica parla e chi non pubblica ascolta. Il professor Giorgio Calabrese è arrivato a dire, dai microfoni di Radio 24, che avrei convinto il ministro della Salute a far diventare “dieta di Stato obbligatoria” la tisanoreica. Follia pura».
Com’è arrivato a Berlusconi?
«Gli ha parlato di me Alfonso Signorini, direttore di Chi. Mi ha invitato a cena varie volte ad Arcore. Mi risulta che abbia perso 4 chili in una settimana».
Valeria Marini è ancora bella tonda, nonostante la tisanoreica.
«Non si pesa mai. Ma secondo me 6-7 chili li ha smaltiti».
Belén Rodríguez la vidi praticamente in mutande a casa di Fabrizio Corona e mi sembrava già perfetta.
«Anch’io mi chiedevo a che le servisse la tisanoreica. Però poi ho saputo che aveva un nuovo fidanzato su cui fare colpo».
Ho letto che Ornella Muti va pazza per i Cioco Mech.
«È una cara amica, una soldatina ligia alle regole. Non ha mai avuto le gambe così belle come dopo la mia dieta».
Ma lei non si concede mai una trasgressione?
«La meringata della pasticceria Nardi di Montecchio Maggiore».
Quando è affamato che fa?
«Bevo un bicchier d’acqua. Lo consiglio a tutti. Molti giovani, ma anche molti anziani, confondono lo stimolo della sete con quello della fame».
Mi sa dire perché tutto ciò che è buono di solito fa male?
«Se è davvero buono, non può far male. Soltanto gli eccessi fanno male».
Stefano Lorenzetto
LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: La versione di Tosi (Marsilio).
LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Dieci libri: Cuor di veneto, Il Vittorioso, Visti da lontano e La versione di Tosi. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.