Cinzia Sasso, D, Repubblica 16/2/2013, 16 febbraio 2013
PAROLA DI ALESSANDRA
Mi avevano detto: guarda che è una molto rampante. Non mi ero affatto stupita: se non sei aggressiva, sicura, di carattere forte, ti schiacciano come una mosca e non vai da nessuna parte. In politica, come in qualsiasi altra faccenda, per imporsi bisogna non solo essere brave, preparate, capaci. Bisogna anche - e pensa com’è significativo che si usi ancora questa espressione - avere le palle. Allora, appena arrivo a Vicenza, nel suo ufficio che è quello da vicesindaco, glielo chiedo subito. Alessandra Moretti, quarant’anni il 24 di giugno, avvocato, la Mara Carfagna (per bellezza, si intende) del Pd, la portavoce durante le primarie di Pierluigi Bersani, il volto televisivo più ambito di questa campagna elettorale che ritrovi da qualsiasi parte ti porti lo zapping, candidata con il numero tre alla Camera nel collegio Veneto1, che cosa hai in mente di fare? Mi colpisce perché per cominciare risponde al presente, come se invece che in lista per essere eletta, fosse già un deputato. E poi mi colpisce ancora di più perché più che una pericolosa comunista con le unghie di fuori sembra una pacata democristiana, obbediente fino al martirio: «Farò quello che il partito mi chiede».
Siamo in Levà degli Angeli, che si chiama così perché davanti c’è un ponte sul Bacchiglione e “levà”, in questa terra dove la lingua ufficiale è il dialetto, dove la vecchia Dc è stata padrona e dove dopo la caduta dei vari Piccoli Rumor e Bisaglia ha messo radici la Lega, vuol dire “sopra”. L’edificio è quello che ospita la sede dell’assessorato all’istruzione e alle politiche giovanili e le finestre si aprono sul colonnato neoclassico di Palazzo Chiericati mentre dall’altro lato si vede il Teatro Olimpico. Insomma da qui, con tutto questo Palladio, si ha un’idea solenne della città. Le sue stanze, però, sono austere, burocratiche, un po’ tristi. Tra i quadretti appesi alle pareti ecco il diploma dell’International Visitor Leadership Programme, unica italiana dopo Mariano Rumor a essere stata invitata per tre settimane in America a studiare da leader; una lettera, e anche una foto loro due insieme, del presidente Napolitano; un quadretto dei figli Guido e Margherita, 6 e 4 anni (Margherita aveva tre mesi quando lei è diventata assessore). Unica altra nota personale: sul tavolo, ingombro di cartellette, un Re Leone di plastica e una macchinina giocattolo, segno inequivocabile del passaggio dei bambini.
Alessandra, però, dei suoi bambini parla pochissimo: «Sono come tutti i figli delle mamme che lavorano da sempre. Maturi, consapevoli che il lavoro non è la cosa che ti porta via la mamma ma motivo di realizzazione e di orgoglio». Dice che è fortunata perché dispone di un welfare personale assolutamente perfetto e ai piccoli, quando sarà a Roma per tre giorni la settimana, penseranno i suoi genitori, nonni giovani e in gamba.
Si presenta intabarrata, con un cappelletto di pile calcato sugli occhi, un paio di stivali neri di camoscio con tacco a zeppa su calze nere spesse ottanta denari e non la vedi nemmeno. La sorpresa arriva quando si toglie il cappotto: ha una vestina di seta piuttosto corta stile anni Settanta e soprattutto ha degli occhi incredibili. Blù. Intensi. Profondi. Da attrice di teatro. E i denti: bianchi, perfetti. È piccolina, appena 1.60, non proprio slanciata. Ma la faccia, che non ha un filo di trucco, sembra studiata apposta per far alzare lo share in tv. In effetti, è stata la tv a essere il suo talismano. Racconta che la prima a invitarla fu Lilli Gruber. «Era il giugno del 2011 ed ero terrorizzata. Ma sono stata brava, efficace e da quel momento ho cominciato a girare tutte le trasmissioni politiche: Ballarò, Vespa, Piazza pulita, Omnibus, Domenica In... Essere chiara, esplicita, saper parlare, è una dote che hai o non hai. E io l’avevo». Il Pd cercava un volto nuovo e lei, anche per questioni di marketing, era perfetta: donna, giovane, professionista, da tre anni in pista come amministratore. Ma non è stata la tivù a spingerla in prima fila: «A chiamarmi per la prima volta è stato il mio sindaco, Achille Variati. Nel 2008 ci giocavamo una campagna elettorale durissima, perché vincere qui sembrava un’impresa impossibile e non immaginavo che avrei guadagnato una poltrona. Ho detto di sì con entusiasmo, come faccio sempre di fronte alle cose nuove, ho lavorato moltissimo e mi sono ritrovata a fare il vicesindaco. Io non ho mai avuto paura: anche in direzione nazionale, eravamo in cento e c’è chi in quattro anni non ha mai aperto bocca».
Era una ragazzina che andava al liceo (lo scientifico, poi la facoltà di legge) e quando tornava a casa con un sette, immancabilmente i genitori, il padre sindacalista della Cgil e poi preside, la mamma professoressa di inglese, le dicevano che poteva fare di più. «Ecco - dice - da allora io penso sempre che posso fare di più, sento una continua tensione a migliorare». Ambiziosa, certo: «Se l’ambizione è voglia di cambiare le cose e la voglia di dimostrare che sei capace, allora sono molto ambiziosa. Se non è finalizzata solo all’affermazione di se stessi, l’ambizione è una tensione positiva, non è brutta. E di una cosa sono molto orgogliosa: io non ho mai chiesto niente. Penso che se te le meriti, le cose arrivano. Che se sei brava, sono gli altri ad avere bisogno di te».
Ecco, non ha voglia di fare dei nomi, ma lei non avrebbe mai corso in solitaria alle primarie (come ha fatto Laura Puppato), né avrebbe chiesto un ministero, perché crede molto alla disciplina di partito. Un partito che ha attraversato in tutte le sue epoche storiche: non il Pci, perché era bambina, ma, disciplinata come un soldatino, è passata dal Pds ai Ds e finalmente al Pd. Loro cambiavano nome e lei non ha mai cambiato bandiera. Altre cose, dice, non avrebbe mai fatto: si è battuta per il rinnovamento, ha alzato la voce per chiedere più spazio per i giovani, pensa - e l’aveva detto in una intervista a Il Corriere che aveva fatto infuriare la Bindi - che i politici devono capire quando il loro tempo è finito, ma la parola “rottamazione”, copyright Matteo Renzi, quella no, non l’avrebbe mai detta: «È una parola violenta, orribile. Non puoi pensare di buttare via le persone e bisogna mettere da parte egocentrismo, egoismo, personalismo e individualismo».
A proposito di vecchi: c’è un ricordo indelebile di lei da bambina. Il suo 25 aprile in piazza, quando accompagnava il nonno partigiano cattolico al comizio e mentre lui parlava dal palco, la nonna era a casa a cucinare polenta e pocietto, lei stava di sotto e faceva una fatica terribile a reggere con le manine la grande bandiera. «Bisogna conciliare il rinnovamento con la saggezza dell’esperienza. I giovani hanno bisogno dei vecchi, così come i vecchi hanno bisogno dei giovani». «Se guardo al passato, mi viene quasi da rimpiangere i politici di professione: De Gasperi, Berlinguer, Aldo Moro. Avevano un grande senso dello Stato , erano in servizio permanente effettivo, la loro sobrietà era la misura del rispetto che nutrivano per le istituzioni». Oggi, invece, c’è una classe politica terribile: «La molla è stata l’ambizione personale, o peggio la difesa dei propri interessi. Invece la politica per me è impegno, voglia di cambiare le cose, voglia di creare prospettive per i tuoi figli». Gli ultimi vent’anni, poi, sono stati un rotolare verso il disastro: «Berlusconi ha imposto una cultura maschilista, misogina, che ha umiliato le donne. La Lorenzin, la Meloni, sono due donne che stimo, ma anche loro per un po’ si sono assopite e tutte, anche quelle, stavano zitte. È come se dall’incantesimo si fossero svegliate con Se non ora quando...».
Nel suo Pantheon ci sono un sacco di donne: Miriam Mafai, schietta, ironica, intelligente; Nilde Iotti, ma anche Tina Anselmi, veneta come lei. «Le donne in politica hanno un approccio diverso, più pragmatico. Sono efficaci, efficienti, detestano la burocrazia, sanno fare tante cose insieme e in Parlamento saranno molto utili per cambiare le cose».
Certo che è consapevole di essere bella, ma dice che quando Bersani le ha chiesto di fare la sua portavoce non era per quei suoi occhi blu: «Mi ha scelta perché come amministratore ho fatto cose che non ha fatto nessun altro in Italia, che hanno lasciato il segno. E qui, in questi anni, abbiamo dimostrato di essere capaci di governare con grande senso di responsabilità». Ricordate la base americana e quelli del “No dal Molin”? Ecco, la base si è fatta, la ragione di Stato ha sconfitto il Comune, che era contrario, ma ha negoziato al rialzo e adesso Vicenza ha un parco - l’ha chiamato il parco della pace - di seicentomila metri quadrati. «Credo che per fare politica ci voglia molta umiltà, che sia necessario fare un gioco di squadra e che debba essere l’allenatore a dirti in che ruolo devi giocare. Devi essere a disposizione, non devi mai chiedere. E poi però devi anche essere sempre all’altezza, la sfida è durissima, devi reggere una tensione continua...». Donne che sembravano destinate a un grande futuro si sono poi perse. Renzi dovrà avere un ruolo importante, «la nostra ala destra». Ed altri mostri sacri, come la Bindi, attaccata come l’edera al muro, va assolta: «Penso che chi ha dato la vita alla politica fa fatica a immaginarla senza... però bisogna mettersi al servizio ed aiutare i giovani ad assumersi responsabilità. Penso anche che la Bindi e Massimo D’Alema abbiano subito una quantità di attacchi mostruosa, inaccettabile». Cattolica (non praticante), è convinta che la politica deve essere laica. E si sente prontissima: «Potrò fare molto bene e grazie alla mia esperienza di amministratore porterò aria nuova in quelle stanze troppo chiuse». Insomma, con la testa è già lì, tra i velluti di Montecitorio. Avevano ragione: rampante, è rampante.