Andrea Tarquini, D, Repubblica 23/2/2013, 23 febbraio 2013
A BERLINO LA CARTA VINCE
Centotre nuove testate nate in un anno nella Repubblica Federale Tedesca. E non in un anno qualsiasi bensì nell’annus horribilis 2012 della crisi dell’eurozona. Insomma, lo spread esiste anche nel mondo dei media. I Paesi più seri sono premiati dal mercato con gli interessi sui loro debiti sovrani, e anche le aziende editoriali consolidate o nuove che siano, in società più serie anche perché la percentuale di lettori è più alta, vedono premiati i loro investimenti. Pochi dati per riassumere il miracolo: le copie acquistate in Germania sono calate come ovunque, dai 92 milioni del Duemila ai 72,7 milioni del terzo trimestre dell’anno scorso. Però il numero di periodici è salito dai 142 del 1975 - gli anni facili della Repubblica di Bonn con avanzi enormi nei bilanci sovrani, il welfare per tutti e la riunificazione che appariva sempre più impossibile, e anche gli anni prima di internet - ai 553 oggi. Che sta succedendo insomma in Germania?
È un freddo, grigio giorno d’inverno, mentre ascolto una delle voci più autorevoli, anzi, l’enfant prodige del mondo dei media federali: Giovanni Di Lorenzo, direttore del glorioso settimanale di qualità Die Zeit che ha rinnovato fino in fondo rilanciando vendite, abbonamenti e utili. Insomma, gli chiedo, i media cartacei sono in crisi persino negli States dove Newsweek o Time abbandonano la carta, in Germania nascono nuove testate, che sta succedendo, è una controtendenza rispetto al resto del mondo libero o no? “Direi che assistiamo a tre fenomeni insieme”, risponde Di Lorenzo; “una controtendenza rispetto al resto dell’Europa, un atto di disperazione, e un’iniziativa di coraggio che mi augurerei di vedere anche in altri paesi europei. Perché proprio nei momenti di crisi bisogna sperimentare, anche nei media”.
In Germania, spiega Di Lorenzo, “alcune nuove testate dedicate a temi molto specifici hanno avuto un’inattesa fortuna. Esempio: il più grande successo editoriale degli ultimi anni è una rivista fatta in provincia che si chiama Landlust (Il piacere di vivere in provincia o in campagna, ndr) che si occupa di giardinaggio, di vita all’aperto, e vende circa un milione di copie”. Cioè più di Der Spiegel la cui tiratura massima recente è 897mila copie. “Questo successo inaspettato ha spinto molti a imitare Landlust, magari senza successo. Ma il segnale che qualcosa si può muovere è chiaro”. Fantasia editoriale e mediatica, insomma, sembra la ricetta per il salvataggio dei print media nella prima potenza europea. “Una delle chiavi del successo di Landlust è la completa mancanza di cinismo”, e anche di politica. Un giornale di servizio per chi ha nostalgia del verde.
Un altro esempio, continua Di Lorenzo, è un derivato del periodico femminile Brigitte. Si chiama Woman, mira a un lettorato di donne più mature o anziane. Oppure c’è Donna, di Burda, sempre mirato sulle lettrici sopra i Quaranta. O Stern che ha creato Nido per i giovani genitori. “Vuol dire che successi editoriali sulla carta sono possibili. È vero che c’è la crisi e i lettori calano rispetto a dieci o venti anni fa, ma ci sono margini di successo. In un’era in cui tutti dicono che i giovani non leggono più la carta stampata noi abbiamo il più alto numero di studenti abbonati di tutta la nostra storia editoriale”. Ciò accade in Germania, la società europea col più alto numero di accessi a internet in assoluto, preceduta nel calcolo degli accessi per abitante solo da scandinavi e finlandesi.
Spesso, nel mondo occidentale, si sente dire che il cartaceo è condannato, e solo internet è vincente. Attenzione, suggerisce Di Lorenzo, con nuovi tentativi e idee originali e diverse il cartaceo può avere un futuro. Certo, aggiunge, “bisogna dire che è stato commesso un errore imperdonabile di marketing sociale. Per anni e anni gli editori che ancora oggi hanno grandi successi con le loro testate cartacee allo stesso tempo continuavano - anche i giornalisti - a cantare l’inno a internet come unico media della salvezza del futuro. La prassi è diversa: internet come contenuto giornalistico non ha trovato quasi mai un ritorno di utili”. Magari il media del futuro sa anche tagliar l’erba e cucinare gli spaghetti, ma non guadagnare soldi. Il raffronto tra i profitti del cartaceo e del digitale in Germania, sottolinea Di Lorenzo, fanno impressione: “I media su carta in Germania raggiungono ancora 12 miliardi di fatturato di pubblicità, seppur con tendenza in calo, mentre il digitale giornalistico raggiunge appena 300-350 milioni, non di più. Per questo parlo di atto di autolesionismo, forse spinto dalla voglia di mostrarsi moderni e di fare a parole quanto non si è realizzato con i fatti”.
Non è finita: ogni lettore medio delle testate cartacee di qualità, prendiamo l’esempio di Die Zeit, legge in media il giornale tre ore a settimana. “Provi a indovinare quanto tempo il nostro lettore digitale spende in internet? 16 minuti al mese. Attenti, insomma. Non voglio condannare internet, ma parliamo ancora di due realtà molto diverse per le quali occorre trovare soluzioni diverse”. Ovunque o quasi nel mondo si privilegia il digitale, i tedeschi mantengono nell’editoria una strategia two way street. I media cartacei, sottolinea Di Lorenzo, devono saper percepire e seguire il modo in cui i lettori cambiano. «Recentemente qui in Germania una grande testata femminile ha condotto un marketing test, con interviste a lettrici che avevano disdetto l’abbonamento. Una donna ha risposto “l’ho fatto non perché sia cambiata la vostra testata, ma perché sono cambiata io e il giornale no”. Bisogna cercare insomma di non tradire discorsi e garanzie di qualità ma anche di non perdere le necessità dei lettori. Complicatissimo, ma inevitabile».
Impresa difficile, certo. Hanno successo riviste esteticamente e graficamente raffinatissime, magari anche non tanto politically correct come Beef, dedicato a tutti quelli che amano mangiare carne. Quanto ai media tradizionali - quotidiani e settimanali di qualità ma generalisti - non è detto, secondo Di Lorenzo, che siano condannati alla rovina, ma avranno un futuro certo una o due testate per settore: Spiegel come magazine, Die Zeit come settimanale di qualità, Sueddeutsche e Frankfurter come quotidiani di qualità. Come negli States col bipolarismo New York times-Wall Street Journal. Per un terzo titolo in ogni comparto, diventa difficile. Tanto più in Italia dove gli abbonamenti non contano mentre in Germania sono la base della vendita garantita, tanto più che i chioschi nella Bundesrepublik sono sempre meno. Vuol dire che anche le maggiori tirature incassano colpi duri: la Bild con la morìa dei chioschi è calata da 5 milioni a 2 milioni e mezzo di copie quotidiane.
Ma l’unica salvezza sia del digitale sia del cartaceo, ammonisce Di Lorenzo, è guadagnare di più col digitale. Introducendo formule di abbonamento online, modelli a pagamento differenziati per l’uso digitale, come fanno il NYT e il WSJ. “Sarà inevitabile per salvaguardare la ricerca profonda e indipendente di notizie”, ammonisce Di Lorenzo, “ma intanto Die Zeit, nel momento in cui tutti pronosticavano la fine del cartaceo ha avuto l’espansione più grande della sua storia”. Cambiando e non cambiando insieme, dicono i lettori alle indagini di marketing. L’importante è che i media cartacei siano anche in futuro “un must” e non un “nice to have”, che trovino nuove risposte alla domanda “perché devo leggerti”, che reinventino il dialogo coi lettori. «Non c’è altra scelta che sperimentare, aprire i giornali stampati al cambiamento senza tradire il loro spirito ma avendo il coraggio di rischiare. Noi usiamo il reader-scan, un sistema in cui fornisci ai lettori penne elettroniche per segnalare quali articoli leggono». Largo alla fantasia, dunque, l’imagination au pouvoir nell’editoria, come gridavano i sessantottini. Ma in Germania è più facile: prima di Hitler e della guerra la Berlino spumeggiante del Kaiser e di Weimar aveva centinaia di quotidiani, anche piccoli, che si reggevano con pochi lettori. Libertà ed eguaglianza sono diritti, non realtà automatiche, anche nel mondo dei media.