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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

LA METROPOLI DEGLI ANIMALI

Capita regolarmente, quando la metropolitana di New York è in ritardo e l’attesa si prolunga (cioè spesso). Lo sguardo vaga lungo le pareti della stazione. Poi si sofferma sulle rotaie, e sul temibile terzo binario percorso da una corrente elettrica mortale. È immancabile: prima o poi, là sotto vedo scorazzare un topo, a cui l’alta tensione evidentemente non fa un baffo. Ratti, pantegane, nel metrò sono a casa loro. E non solo ad altezza di binario. Ho visto topi - per fortuna piccoli - passeggiare tranquillamente tra i piedi dei passeggeri, sfiorando le scarpe, anche alle ora di punta, con calma serafica. Mi rassicura il fatto che le gallerie della Subway sono in un certo senso l’anticamera degli Inferi, un mondo di confine, tra noi e Caronte. Ma di recente il New York Times ci ha informato che le frontiere tra noi e quelli là si stanno muovendo rapidamente. L’antefatto, è l’uragano Sandy che a fine ottobre seminò distruzione nelle zone costiere di New York. Gli abitanti delle case travolte dovettero riparare nell’entroterra. Li seguirono i topi: non avevano alcuna intenzione di rimanersene soli, ad affrontare la furia della natura. Adesso lentamente le zone di Long Island e del New Jersey devastate da Sandy stanno tornando alla normalità e recuperano gli abitanti sfollati. I topi no. Avendo fatto conoscenza coi bei quartieri della città, ci stanno comodi e non hanno alcuna intenzione di sloggiare un’altra volta.
I roditori sono soltanto un esempio, non il più importante, all’interno di un fenomeno ben più vasto: la riconquista dell’America da parte degli animali. Compresa la “giungla d’asfalto” per eccellenza, New York. Gli aeroporti di questa città sono invasi da oche selvatiche e stormi di anatre. La razza di oca detta Canada goose, ci spiega il giornalista scientifico Russell Baker, “pesa fino a 10 chili, ha un apparato digerente iperattivo, che deve svuotare le intestina sui prati al ritmo di cinque volte ogni ora”. Non sono specie migranti come si suol credere. Al contrario, adorano la vita sedentaria. Hanno sempre suscitato forte simpatia da parte degli animalisti, fino al giorno in cui uno stormo all’aeroporto LaGuardia di New York, nel gennaio 2009, costrinse un aereo allo spettacolare atterraggio di emergenzia nel fiume Hudson (volo US Airways 1549, si salvarono 155 passeggeri grazie a un exploit incredibile del pilota). E che dire dei cervi? Contrariamente a quel che crediamo, non è una specie rara. Lo era, forse, ai tempi dei nostri bisnonni. Nel primo 900 in America la popolazione di cervi arrivava a 500mila. Oggi sono 40 milioni. Ogni anno 3000 automobilisti vanno a schiantarsi contro uno di loro.
A Central Park si possono incontrare procioni, castori, è stato avvistato anche un coyote. I gatti selvatici in tutti gli States sono 100 milioni, e anche loro hanno associazioni di protettori, che li tutelano come fossero una specie debole. Andatelo a dire ai passerotti e pettirossi che annualmente subiscono stragi nei loro ranghi. Volpi e tacchini selvatici, opossum e porcospini sono una piccola parte di quel regno animale che si sta riprendendo l’America, cingendo d’assedio anche le metropoli. Uno scienziato, Jim Sterba, illustra questa riconquista animale nel suo libro Nature Wars: The Incredible Story of How Wildlife Comebacks Turned Backyards into Battlegrounds. I giardini di casa come campi di battaglia. Dove noi perdiamo quasi sempre terreno.
Come si spiega questo fenomeno? Anzitutto con la riforestazione: un fenomeno poderoso, che dura da decenni. A questo si aggiunge una “quasi-forestazione”: la scelta di decine di milioni di americani di vivere in campagna, coltivando alberi e giardini, roseti e aiuole, orti e frutteti. Abbiamo creato un habitat che scimmiotta quello preistorico, e dove gli animali stanno a meraviglia. Da questo habitat abbiamo tolto la più temibile specie predatrice, cioè noi stessi. Malgrado la cultura delle armi radicata in America, i veri cacciatori sono pochi e in ulteriore diminuzione. Le armi, gli americani le usano per spararsi tra di loro, raramente agli animali. Rispetto ai nostri antenati, che di caccia vivevano, siamo diventati innocui per le bestie. Anzi, la nostra opulenza produce montagne di cibo facilmente depredabili, nei cassonetti dell’immondizia o anche dentro le nostre case. L’enorme tempo e denaro che la middle class americana spende per creare giardini “da guardare”, ha fabbricato un vero Eden per i cervi. I pericoli che corrono, invadendo giardini e parchi pubblici, sono pressoché nulli (devono solo imparare a non fissare i fari delle automobili quando attraversano la strada, accidenti). Gli ambientalisti che si mobilitano per la difesa di tutte le specie animali lo fanno con le migliori intenzioni, e senza dubbio alcune specie sono a rischio di estinzione. Ma in molti casi, gli animali hanno imparato a difendersi da soli. Hanno imparato anche un’altra cosa: noi siamo delle tigri di carta.