Dario Di Vico, Style 28/2/2013, 28 febbraio 2013
I GRATTACIELI DELLA CRISI
II Censis l’ha definita «la tardiva e inaspettata stagione dei grattacieli italiani». Infatti mettendo in fila gli edifici realizzati recentemente o in corso di realizzazione sono almeno 13 i progetti di torri superiori ai 100 metri varati negli ultimi anni in Italia e la cui fine dei lavori è prevista entro il 2015. Si va dal Palazzo Lombardia (161 metri) alla Torre Unicredit di Milano (146 metri più 85 di guglia), alla sede della Regione Piemonte a Torino (209 metri). Dalla Torre Unipol di Bologna (126 metri) alla Torre Europarco di Roma (120 metri). In attesa del discusso Palais Lumière fortissimamente voluto da Pierre Cardin nella laguna di Venezia, il conto delle grandi città italiane coinvolte dalla novità arriva a cinque. Non è poco. Dietro ognuna di queste scelte in veste di promotori/finanziatori ci sono grandi banche, assicurazioni e amministrazioni pubbliche che avevano preso la decisione di «salire in cielo» prima della Grande Crisi, in un contesto quindi più ricco di risorse e anche di adrenalina, e si trovano ora a condurla in porto in una congiuntura assai meno motivata. Tutti i progetti sono firmati da archistar come Renzo Piano, Cèsar Pelli, Massimiliano Fuksas e Daniel Libeskind e si sono quindi già conquistati ,in automatico una sicura audience internazionale. Saranno realizzazioni che potranno essere utili per rimettere il Belpaese al centro dell’attenzione mediatica e almeno una volta non solo per i suoi limiti e le evidentissime contraddizioni.
Nonostante questi atout il dibattito interno alla fine si sta dimostrando molto meno entusiasta di quanto si potesse pensare. Accanto a settori decisamente cosmopoliti e convinti, senza se e senza ma, del valore dell’iniezione di modernità legata al binomio skyline-grandi architetti, c’è chi contesta le nuove torri come elemento estraneo alla tradizione urbanistica delle nostre città. «Il grattacielo in Italia» spiega il Censis «deve vincere innanzitutto una resistenza a livello dell’opinione pubblica e a livello progettuale deve essere in grado di sostenere la sfida di un confronto con i grandi monumenti del passato».
Tra i motivi di perplessità c’è senza dubbio il coinvolgimento di quegli enti locali che, vuoi per dimostrazione di cattiva politica vuoi per la pessima salute delle loro finanze, preferiremmo che si tenessero alla lontana da progetti faraonici. Ma forse più che dividerci tra favorevoli e contrari dovremmo constatare come il segno delle operazioni-grattacielo sia ancora largamente da determinare e diventa di conseguenza decisiva la qualità del dibattito pubblico di «accompagnamento». Il quesito è sicuramente quello che formula il Censis: riusciranno questi nuovi grattacieli, oltre che a valorizzare dal punto di vista economico e finanziario le aree in cui si collocano, anche a costituire una risorsa per le comunità limitrofe?
Il primo soggetto chiamato a rispondere è indubbiamente Milano, la città che per numero di nuove torri è l’epicentro di questa inaspettata scalata al cielo. Finora non l’ha fatto con la dovuta convinzione, eppure dal tunnel si esce anche mostrando un sovrappiù di immaginazione.