Ernesto Galli Della Loggia, Style 28/2/2013, 28 febbraio 2013
GERMANIA: ECONOMIA E RIARMO
Se non sbaglio - ma sono sicuro di non sbagliare - i giornali italiani non hanno degnato della minima attenzione quanto ha dichiarato all’inizio dell’anno il capo di Stato maggiore svedese, il generale Sverker Góranson. In caso di attacco convenzionale - egli ha detto - le forze armate svedesi potrebbero difendersi al massimo per una settimana: «Dopo di che le nostre difese sarebbero talmente giunte allo stremo da non essere più in grado di opporre alcuna resistenza significativa». È questo il risultato di un bilancio della difesa ridotto del 50 per cento negli ultimi 15 anni: riduzione che ha indotto il generale Góranson a ipotizzare che, in futuro, per mantenere un minimo di operatività le forze armate svedesi rinuncino addirittura a una delle tre armi tradizionali.
Se questa è la situazione della neutrale Svezia, quella dei Paesi europei membri della Nato non appare migliore. L’Europa in quanto tale non ha, da sola, alcuna capacità difensiva. Basti pensare che per la guerra in Mali la Francia ha dovuto chiedere all’Italia l’impiego di due grandi aerei da trasporto perché pare che non ne avesse più disponibili di propri. In pratica, tranne la Gran Bretagna e la Grecia - la quale, incredibile a dirsi, è dopo gli Stati Uniti il Paese dell’alleanza con il più alto bilancio militare - nessuno di essi ha soddisfatto la richiesta americana di destinare alla difesa almeno il due per cento del Pii: l’Italia, ad esempio, è appena allo 0,80 per cento. Tutto ciò mentre tensioni e conflitti di ogni tipo divampano lungo un arco di crisi che va dall’Afghanistan all’Algeria lambendo il confine meridionale del nostro continente.
In questo modo, tra l’altro, i nostri Paesi rischiano di compiere un ulteriore passo sulla via della deindustrializzazione, vedendo scomparire definitivamente le proprie industrie degli armamenti, e quindi divenendo sempre più tributari degli Stati Uniti. Come sia possibile per l’Ue, stando così le cose, pensare di contare qualcosa nel mondo, di avervi una qualche influenza propria e distinta da Washington, dal momento che non ha neppure la possibilità di difendersi per una manciata di giorni, è un mistero che solo la sua evanescente responsabile degli Affari esteri, la baronessa Catherine Ashton, potrebbe cercare di spiegarci.
Anche se c’è da dire che all’interno del continente, e proprio nel settore della difesa, sta avvenendo qualcosa di assai significativo che ha un sapore d’antico: vale a dire l’ascesa della Germania. Pochi sanno che Berlino, infatti, già oggi dispone di un’industria militare che impiega circa 80 mila persone ed è la terza esportatrice mondiale di armamenti dopo gli Stati Uniti e la Russia: per la prima volta nel 2011 il governo tedesco ha dato il via libera a esportazioni militari un po’ dappertutto per un valore superiore ai dieci miliardi di euro. E poiché, come si dice, tutto si tiene, non è un caso che il ministro tedesco della Difesa Thomas de Maizière abbia dichiarato recentemente: «Siamo in grado, e in un certo senso abbiamo anche il dovere di far sentire il nostro impatto».
Da un lato, dunque, un’Europa che ha rinunciato ad avere un suo strumento militare (e quindi una sua politica nei confronti del mondo), e dall’altro una Germania intenzionata, invece, ad avere in questo campo un ruolo sempre più incisivo. Per l’Unione europea (e per noi tutti) non mi sembrano buone notizie.