Ugo Magri, La Stampa 1/3/2013, 1 marzo 2013
Vedrete, proveranno ad arrestare «Berlusconi. A mandarlo in galera. Questione di mesi, poi scatterà il grande assalto
Vedrete, proveranno ad arrestare «Berlusconi. A mandarlo in galera. Questione di mesi, poi scatterà il grande assalto. La richiesta di Woodcock era finalizzata a tastare il terreno, a misurare come reagisce il nuovo Parlamento. Ghedini gli ha smontato il piano, permettendo di visionare la cassetta di sicurezza. Ma prepariamoci già alla prossima mossa...». Chi confida le proprie angosce è un generale della vecchia guardia berlusconiana. Chiaro che mai pubblicamente si lascerebbe sfuggire una verità così cruda. In compenso nel Pdl sono parecchi a pensarla come lui, forse perfino il Cavaliere medesimo. C’è la convinzione che stavolta davvero, profittando dei nuovi equilibri politici, una parte di magistratura cercherà il «redde rationem». Spingendosi dove mai aveva osato, cioè al tentativo di far scattare le manette ai polsi della preda più ambita. Nel suo caso l’immunità è un colabrodo perché non esiste più maggioranza di centrodestra capace di respingere le richieste dei pm. Né Berlusconi sarebbe immune dal rischio dei carcere per via dell’età veneranda (ha 76 anni). La cronaca trabocca di anziani che si ritrovano dietro le sbarre. L’articolo 275 del codice di procedura penale prevede al comma quarto la custodia cautelare in carcere per gli ultrasettantenni nel solo caso in cui sussistano esigenze «di eccezionale rilevanza». Ma chi può dirsi più «eccezionale» di Berlusconi? E comunque, pure gli arresti domiciliari sarebbero un evento dirompente, traumatico: qui si parla di un ex-premier, tuttora a capo di una forza da 30 per cento. Senza di lui, Alfano e gli altri riconoscono che mai si sarebbero sognati una rimonta del genere. Per cui se lo tengono stretto, compresi quanti fino a una settimana fa non vedevano l’ora di pensionarlo. La paura di essere spazzati via ha determinato questa curiosa metamorfosi: sono proprio le vecchie «colombe» a voler preservare Silvio in eterno come talismano elettorale. È il loro Lenin, da conservare in una teca nel mausoleo di Arcore. Sono proprio i più «moderati» a scatenarsi contro Woodcock, a battersi per la manifestazione di piazza che il segretario Pdl vorrebbe di nuovo a San Giovanni, in concorrenza con Grillo. Circolano due date. Il 16 marzo, che però ha la controindicazione del Conclave in corso, con tutte le telecamere rivolte ai Sacri Palazzi. Oppure il 23 successivo, quando Letta ha garantito che, in base alle sue fonti, la fumata bianca sarà già alle spalle. Guarda caso, il 23 è pure il giorno in cui arriverà a sentenza il processo al Cavaliere per i diritti Mediaset. Stamane il Procuratore generale chiederà una conferma dei 4 anni inflitti a Silvio in primo grado. Incombe la sentenza Unipol (6 o 7 marzo) e per il caso Ruby (tra il 18 e il 20). Nel clan berlusconiano, nessuno scommette un soldo su tre assoluzioni, semmai sull’«over» di segno opposto. E dalle parti di Milano ormai la giustizia galoppa, non occorreranno anni per chiudere in Cassazione... L’ultimo scudo del Cavaliere, a questo punto, si chiama «governissimo». I suoi dicono chiaro e tondo che qualunque accordo comprensivo del Pdl non potrà non contenere in pancia un «no» alle richieste di arresto. E probabilmente, qualche nuovo salvagente «ad personam». È il prezzo, aggiungono, che l’Italia dovrà pagare per la stabilità. Ieri Berlusconi ostentava sicurezza: «Con Grillo il Pd non riuscirà a fare nessun governo. Bersani alla fine da me dovrà bussare...».