Antonio Monda, la Repubblica 1/3/2013, 1 marzo 2013
Esistono pochi scrittori prolifici come Joyce Carol Oates: mentre Mondadori pubblica La donna del fango esce negli Stati Uniti Black Dahlia & White Rose: si tratta della sua venticinquesima raccolta di racconti, scritta dopo 53 romanzi (otto con lo pseudonimo di Rosamond Smith e tre come Laureen Kelly), 8 novelle, 9 drammi, 16 saggi, 10 raccolte di poesie, 6 libri per l’adolescenza e 3 per l’infanzia
Esistono pochi scrittori prolifici come Joyce Carol Oates: mentre Mondadori pubblica La donna del fango esce negli Stati Uniti Black Dahlia & White Rose: si tratta della sua venticinquesima raccolta di racconti, scritta dopo 53 romanzi (otto con lo pseudonimo di Rosamond Smith e tre come Laureen Kelly), 8 novelle, 9 drammi, 16 saggi, 10 raccolte di poesie, 6 libri per l’adolescenza e 3 per l’infanzia. A questa incredibile mole di lavoro creativo va aggiunta l’apprezzatissima attività di docente a Princeton, dove ha avuto allievi quali Jonathan Safran Foer. Se La donna del fangoè un abile thriller psicologico con protagonista la prima presidente donna di un’università della Ivy League, la nuova raccolta propone undici storie molto diverse, ma tutte segnate da un destino ineluttabile e tragico. Le atmosfere del romanzo risentono dell’opera di Henry James e Daphne Du Maurier, mentre i racconti dialogano con un mondo letterario più vicino ai nostri tempi, in particolare nella storia che dà il titolo il libro, e vede protagoniste due attrici alla ricerca del successo nella Hollywood degli anni Cinquanta. La prima, di nome Elizabeth Short, si fa adescare una sera da un personaggio inquietante, e il giorno dopo ne viene trovato il corpo troncato in due parti. La seconda si chiama Norma Jeane e nel giro di pochi anni diventerà Marilyn Monroe. Su Elizabeth Short James Ellroy ha scritto Dalia Nera, mentre su Marilyn la stessa Oates ha scritto uno dei suoi romanzi più riusciti, Blonde. «Nessuno più di Norma Jeane Baker che si trasforma in Marilyn Monroe è la cenerentola che si trasforma in principessa », racconta nel suo ufficio di Berkeley, dove questo semestre sta insegnando un corso di scrittura. «Io la immagino come un personaggio letterario, non una persona in carne e ossa, e ritengo che ci sia qualcosa di mitico nella traiettoria della vita di Norma Jeane Baker, per non parlare della morte, prematura, tragica e avvenuta probabilmente per suicidio. Cosa significa che il “Sex Sex Symbol del ventesimo secolo”, come la definì Playboy, morì a trentasei anni, probabilmente per mano propria? Non è amaramente ironico e illuminante? ». Ha letto Dalia Nera? «Molti anni fa. Il plot è molto denso, come è tipico nei libri di Ellroy. Non ricordo se ho visto il film, ma ricordo di aver ammirato L. A. Confidential, basato su uno dei suoi romanzi più accessibili». Lei sembra affascinata anche dalla Hollywood degli anni ’50. «Più che di Hollywood in sé, mi interessa la sorte delle persone naif all’interno degli studios, il rapporto tra i lavoratori disorganizzati e i loro capi capitalisti, che li sfruttavano per poi sbarazzarsene quando non servivano più». Vede una differenza da questo punto di vista con la Hollywood odierna? «Non sono un’esperta di Hollywood: mi chiedo quali siano i cambiamenti dovuti alla grande diffusione di film indipendenti, il numero molto più alto di attori e la maggiore indipendenza reciproca». I suoi ultimi due libri sono caratterizzati da numerosi elementi macabri. «È vero, se si riferisce al riconoscimento del cadavere in “I. D.’ ho voluto raccontare una figlia traumatizzata al punto da non riuscire a riconoscere che la madre è morta». Sono molti i riferimenti alla cultura del passato: in Spotted Hyenas: a romance ci sono elementi che si rifanno alla mitologia greca. «Il racconto ha un elemento letterario ed un altro scientifico: è ispirato infatti dalle Metamorfosidi Ovidio,ma anche dal famoso parco delle iene dello psicologo e biologo Steven Glickman di Berkeley. Glickman è un amico di mio marito e ho avuto l’opportunità di visitare il parco: l’ispirazione è venuta da lì». Due storie sono ambientate all’interno di carceri di massima sicurezza. «Anche in questo caso tutto nasce da un’esperienza personale: io e mio marito abbiamo prestato il nostro lavoro come docenti nel carcere di San Quentin nella primavera del 2010. Nei racconti ho cercato di rendere quell’atmosfera, anche se ovviamente i personaggi sono immaginari ». Sia nel romanzo che nei racconti ci obbliga a chiederci se la cultura possa rendere le persone libere. «Sarei portata a rispondere subito sì, ma poi penso che bisogna intendersi sul termine cultura: perché ci possono essere culture restrittive e censorie». È vero che scrive a mano? Qual è il suo processo di scrittura? «Prendo molti appunti a penna, poi scrivo, sempre a penna, i primi abbozzi delle scene. A quel punto trasferisco tutto sul computer per una stesura iniziale ed una prima revisione. Gran parte del mio processo creativo è basato sulla revisione ». Ed è vero che per cercare l’ispirazione corre? «Sì, è vero, ma a volte mi limito a camminare. Credo che sia più comune di quanto si pensi. È un momento di meditazione ». Recentemente molti scrittori, come Don DeLillo e George Saunders, hanno pubblicato racconti, nonostante la freddezza degli editori verso questa forma letteraria. «Ritengo che il motivo per cui i racconti finiscano sempre per essere pubblicati è la loro qualità: pensi all’eccellenza che hanno raggiunto in questa forma espressiva scrittori come Raymond Carver, Tobias Wolff, Anne Beattie, Donald Bartheleme, e Alice Munro. Per quanto mi riguarda amo nei racconti la potenzialità di compressione drammatica: l’equilibrio da raggiungere tra quello che si inserisce e si leva, l’opportunità di presentare personaggi per il minor tempo possibile, ma in maniera vivida». Lei è anche una docente: qual è la cosa più importante che si può insegnare ad uno scrittore? «Leggere molto e di tutto, godere della lettura e non scoraggiarsi mai». Cosa ha imparato dai suoi studenti? «L’energia, la capacità di lavoro e l’umorismo. Attualmente sto tenendo un corso sui racconti americani, e apprezzo molto i commenti sulle storie che studiamo insieme». In Morte a Venezia Thomas Mann ha scritto che «l’arte è vita ad un livello superiore ». «Io non credo che l’arte possa essere superiore alla vita. La vedo come un rafforzamento, una stilizzazione, e, spesso, una critica alla vita stessa». © RIPRODUZIONE RISERVATA Joyce Carol Oates; La donna del fango, (Mondadori, trad. di Giuseppe Costigliola, pagg. 432, euro 20)