Agostino Paravicini Bagliani, la Repubblica 1/3/2013, 1 marzo 2013
DALLE ore 20 di ieri sera, il cardinale Tarcisio Bertone svolge le funzioni di Camerlengo della Santa Romana Chiesa, cioè presiede alla gestione amministrativa e rituale della Sede Vacante fino all’elezione del nuovo papa, secondo una tradizione antica
DALLE ore 20 di ieri sera, il cardinale Tarcisio Bertone svolge le funzioni di Camerlengo della Santa Romana Chiesa, cioè presiede alla gestione amministrativa e rituale della Sede Vacante fino all’elezione del nuovo papa, secondo una tradizione antica. Sì, perché fin dagli ultimi secoli del Medioevo — prima si usavano altri titoli ( arcarius, sacellarius…) — il Camerlengo era responsabile della Camera (apostolica), il luogo dove veniva materialmente conservato il tesoro del papa, che nel Medioevo conteneva moltissime cose, dai libri al vestiario, dalle pietre preziose ai tessuti e ai paramenti liturgici. Per trasportare il tesoro papale, da Napoli, dove era stato eletto (dopo la famosa rinuncia al pontificato da parte di Celestino V, 1294), a Roma, Bonifacio VIII (1294-1303) ebbe bisogno di trecento bestie da soma, messe a disposizione per lui dal re di Sicilia Carlo II d’Angiò. Per secoli, il Camerlengo era il prelato di curia più vicino al papa e aveva diritto a certi privilegi, come alla distribuzione di pesci, carne e vino «migliori» da parte della cucina papale che gli forniva anche il «pane che mangiava il papa». Forme medievali di privilegio, se si vuole, ma fondamentali segnali di prestigio e di importanza in una corte. Il Camerlengo era anche il responsabile della disciplina all’interno della curia. E perciò riceveva dal papa il «bastone del comando» nel corso di una cerimonia che fu celebrata ancora nell’Ottocento, per esempio nel giugno 1814, quando Pio VII nominò Camerlengo il cardinale Bartolomeo Pacca. Al papa seduto sul trono, il nuovo Camerlengo baciò il piede del papa in segno di sottomissione e la mano del papa per gratitudine. Con la riforma della Curia di Pio X (1908), le sue responsabi-lità, durante un pontificato, furono però affidate a vari dicasteri amministrativi e finanziari della Curia. Rimasero però intatte le sue importanti mansioni durante la Sede vacante. Per un motivo tutto sommato semplice. Il Camerlengo era infatti uno dei rarissimi prelati di curia, il cui ufficio non decadeva con la morte del pontefice. Perché doveva assicurare la protezione dei beni del “palazzo”, la gestione della Sede vacante, ed il corretto trapasso del ‘potere del papa’ anche in termini rituali. Lo dicono con chiarezza gli antichi cerimoniali. Il Camerlengo doveva convocare i cardinali non appena fosse venuto a conoscenza del fatto che il papa «potesse perdere la parola»; egli doveva allora immediatamente «far raccogliere tutti i beni del papa in un certo luogo sicuro», onde evitare qualsiasi «ruberia». Il Camerlengo doveva anche procedere alla ricognizione formale della salma del papa defunto. E dare l’ordine di far suonare la campana maggiore di Campidoglio per annunziare alla città la morte del sovrano. Proprio perché rappresentava la Sede apostolica durante la Vacanza, doveva sempre essere accompagnato dalla Guardia svizzera. E doveva anche presiedere a due rituali che sono stati compiuti anche negli ultimi giorni del pontificato di papa Benedetto XVI: consegnare al primo maestro delle cerimonie l’anello piscatorio affinché fosse spezzato; ed essere presente alla distruzione del sigillo di piombo che recava il nome del papa. Dopo che i cardinali erano entrati in conclave, il Camerlengo conservava la chiave che serviva a chiudere la porta dall’interno del conclave. E al nuovo papa, il Camerlengo doveva porre l’anello piscatorio e consegnargli le chiavi dell’appartamento papale che aveva custodito per tutta la durata della Sede vacante. Durante la processione che conduceva il nuovo papa da San Pietro al Laterano, il Camerlengo lanciava monetine alla folla in quattro posti diversi. Poi, giunto davanti alla basilica di San Giovanni al Laterano, il papa seduto sulla sedes stercorata (simbolo della caducità del papa inteso nella sua dimensione fisica), il papa riceveva dal «grembo del» Camerlengo tre manciate di denaro che doveva lanciare recitando queste parole di san Pietro (Atti degli Apostoli, 3, 6): «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do». Molti di questi riti e simboli, e anche molti privilegi, sono caduti da tempo in disuso, ma la funzione del Camerlengo come garante della continuità è rimasta intatta. Secondo una tradizione che affonda le sue radici nel secoli, certo lontani, del Medioevo.