Francesco Bei, la Repubblica 1/3/2013, 1 marzo 2013
ROMA — Congelare tutto, riconfermare gli attuali vertici istituzionali — Napolitano al Quirinale e Monti a palazzo Chigi — per uscire dallo stallo
ROMA — Congelare tutto, riconfermare gli attuali vertici istituzionali — Napolitano al Quirinale e Monti a palazzo Chigi — per uscire dallo stallo. Imitando così il Belgio, che ha mantenuto quasi due anni in carica Yves Leterme in attesa di nuove elezioni. La suggestione sta facendo il giro della Roma politica, anche se ufficialmente nessuno l’ha ancora messa sul tavolo. Ma alcune tracce sparse qua e là fanno capire che proprio questa potrebbe essere la pista giusta da seguire. Il primo a muoversi è stato Berlusconi, facendo arrivare al Pd l’idea di una rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma la risposta non è stata al momento positiva: «È solo una provocazione per metterci in difficoltà». Eppure la pallina sta rotolando a valle e diventa più grande via via che la paralisi prosegue. Lo stesso capo dello Stato ha fatto sapere in più occasioni, formalmente e in via riservata, di non essere assolutamente disponibile. Eppure qualcuno che lo conosce sostiene che, se messo con le spalle al muro, alla fine non si tirerebbe indietro. Certo, non per sette anni. Ma soltanto per il tempo necessario a traghettare il paese fuori da questa situazione. E condurre per mano il sistema politico verso l’autoriforma e nuove elezioni. Con Napolitano rieletto al Quirinale, chi andrebbe a palazzo Chigi? Si è capito che il capo dello Stato non affiderà l’incarico di formare il governo se non sarà certo dell’esistenza di una maggioranza al Senato. Una maggioranza «vera», non a geometria variabile. E se Bersani non fosse in grado di garantirla, a chi affidare il mandato? I nomi stanno girando — Fabrizio Barca per esempio — ma tra tutti ce n’è uno che presenta più vantaggi di altri. Ovvero proprio Mario Monti. Il Pd lo vuole come alleato, dunque non potrebbe porre veti. E anche Berlusconi, nonostante gli schiaffi al premier «suddito della Merkel» in campagna elettorale, non aspetta altro che essere rimesso in gioco. «Noi stiamo fermi per altre 96 ore — spiega Denis Verdini — aspettando di capire. Siamo sereni perché consapevoli che da noi, per forza, bisogna passare». Dunque all’opposizione resterebbe Grillo, che per mesi ha sbeffeggiato il premier «Rigor Mortis». Eppure qualcosa sta cambiando anche in quel campo. Non solo nei confronti di Napolitano, che il leader del M5S ieri ha omaggiato come «il mio presidente della Repubblica, un italiano che ha tenuto la schiena dritta». Anche rispetto a Monti le cose sembrano essere in evoluzione. Grillo ha mandato avanti il blogger Claudio Messora che ieri, sulla web tv del movimento, se n’è uscito con una proposta sorprendente: «Il governo in carica resta in carica, c’è una prorogatio e tutto il peso delle riforme passa al Parlamento. Lasciamo Monti e i tecnici tranquilli a palazzo Chigi, che tanto non sporcano, non danno fastidio, e il Parlamento approvi le leggi ». In uno scenario del genere, con Monti di nuovo a palazzo Chigi e Napolitano al Quirinale, i partiti si dedicherebbero alla riforma costituzionale — dimezzamento dei parlamentari, semi-presidenzialismo, etc — e alla legge elettorale. Schifani potrebbe tornare a palazzo Madama mentre a Montecitorio andrebbe un Pd, Dario Franceschini. Al governo spetterebbero due compiti fondamentali. Il primo sarebbe la manovra finanziaria per evitare l’aumento dell’Iva, alleggerire l’Imu e rifinanziare gli ammortizzatori sociali. Inoltre Monti, con la sua credibilità, potrebbe iniziare un negoziato in Europa per allungare i tempi del pareggio di bilancio e per scorporare i crediti vantati dalle imprese dal debito pubblico. La tregua non dovrebbe durare più di qualche mese, per poi tornare al voto con una nuova legge elettorale in autunno o nella primavera del 2014. Se questa del congelamento delle cariche è la suggestione principale, nelle ultime ore c’è un’altra ipotesi di scuola — altrettanto se non più azzardata — che ha fatto capolino. In mancanza di un premier incaricato, capace di coagulare intorno a se una maggioranza «vera», Napolitano lascerebbe il Quirinale in modo che il Parlamento possa eleggere un successore. A quel punto, diventato “semplice” senatore a vita, Napolitano stesso riceverebbe l’incarico di formare un governo a tempo, di salvezza nazionale, a cui davvero nessuno potrebbe rifiutare il consenso. Sembrerebbe fantascienza, eppure lo “stallo messicano” — ovvero la situazione nei film western in cui ciascuno giocatore punta la pistola alla testa dell’altro — è talmente grave che anche l’impensabile può diventare oggetto di ragionamenti seri. Il passo compiuto da D’Alema, che ha offerto al Pdl la presidenza di una delle Camere, al momento non è ritenuto sufficiente dagli interessati: «È un’offerta inutile — ragiona Verdini — se non è accompagnata dal riscatto di tutta l’epopea berlusconiana. Devono dire che non siamo delinquenti e poi se ne parla». Ognuno resta sulle sue, il Belgio s’avvicina.