Ferruccio Pinotti, Sette 1/3/2013, 1 marzo 2013
UN SICILIANO A MOSCA TRA COMUNISMO, PETROLIO E ALTA FINANZA
C’era una volta un ragazzo siciliano che credeva nel comunismo; un idealista che condivideva le lotte dei braccianti di Bronte e credeva che l’Urss fosse la terra della giustizia sociale. Oggi quel ragazzo che militava nel Psiup (il Partito socialista italiano di unità proletaria) e poi nel Pci, è l’italiano più influente a Mosca, il banchiere che intermedia i rapporti tra Eni e Gazprom, che guida l’insediamento di colossi come Enel, Pirelli e Indesit sul mercato russo. Di lui si è detto di tutto: che è il misterioso intermediario degli affari tra Berlusconi e Putin di cui parlava Hillary Clinton nel famoso dispaccio svelato da Wikileaks; che è la longa manus della finanza cattolica all’ombra del Cremlino; che è stato una spia del Kgb; che è cugino di Dell’Utri («solo compagni di scuola») e che avrebbe– fatto affari anche col figlio di don Vito Ciancimino. E c’è chi dice che il personaggio del suo romanzo Prospettiva Lenin, pubblicato da Feltrinelli con lo pseudonimo di Anton Antonov (parla di un giovane idealista siciliano che si trasferisce in Urss e viene arruolato nel Kgb), sia sempre lui.
Cosa c’è di vero? Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa a Mosca, ha sempre taciuto. Ora, per la prima volta, accetta di farsi intervistare da Sette. Lo incontriamo nella capitale russa, nella sua casa piena di ricordi: Fallico frequenta le guglie del Cremlino dalla fine degli Anni 60 e ha conosciuto figure mitiche come il fisico Bruno Pontecorvo e la superspia inglese Kim Philby.
Presidente, ci racconti il suo approdo in Russia. È vero che da giovane era un fervente comunista?
«Lo sono ancora, veramente! Mi sono laureato a Catania nel ’69, quindi, come tanti altri, ho fatto domande dappertutto per andare a insegnare. La prima risposta mi è arrivata dal provveditorato agli Studi di Verona, e così mi sono trasferito al Nord, dal gennaio del ’70. Prima ho insegnato Lettere in provincia, dopo ho iniziato a lavorare all’università di Verona come ricercatore. A Verona ho anche incontrato mia moglie e l’associazione Italia-Urss, tramite la quale ho iniziato a conoscere il mondo sovietico. Agli inizi degli anni 70 ho cominciato a frequentare sempre più spesso l’Urss».
Da fervente comunista…
«Avevo avuto la fortuna di fare l’esperienza delle lotte bracciantili in Sicilia e il mio paese, Bronte, da sempre era governato dalla Dc. Nel ’68 ero il segretario del Psiup del paese e conquistammo il Comune, dove venni nominato assessore alla cultura in una giunta Psiup-Pci: una grandissima esperienza, significava essere solidali col mondo dei contadini e degli operai. Venuto a Verona, dove il Psiup era molto debole, detti una mano alla commissione scuola e alla commissione cultura del Pci. Ai tempi il responsabile era Giorgio Napolitano. Io masticavo qualche parola di russo e presi in mano l’associazione Italia-Urss. A quel tempo Giancarlo Pajetta curava tutte le associazioni di amicizia coi Paesi socialisti. Ebbi quindi modo di recarmi spesso in Russia, incontrando i responsabili del Pcus e le aziende italiane. Più tardi mi sono trasferito stabilmente qui a Mosca, perché la Banca Cattolica del Veneto, con cui nel frattempo collaboravo, era interessata a prendere contatti con la Banca Statale Sovietica: Vicenza (dove la Cattolica aveva la sede centrale) era, ed è, un distretto chiave dell’oro, e tutte le banche facevano il prestito d’uso alle aziende orafe. Firmammo il primo contratto importante per la Cattolica: parecchie tonnellate di lingotti d’oro. Diventammo praticamente gli esclusivisti dell’oro sovietico. Ai tempi ci invidiavano perché l’Urss non vendeva al fixing, ma con trattativa privata».
Cosi divenne l’uomo della finanza cattolica in Russia.
«La Cattolica venne incorporata e fusa nel Nuovo Banco Ambrosiano il 31 dicembre 1989. Chi mi diede fiducia fu Paolo Biasi, allora vicepresidente della Cattolica (oggi presidente della Fondazione Cariverona, azionista di Unicredit, ndr), che un giorno disse al vicedirettore generale: “Questo è il nostro uomo a Mosca”, accreditandomi ancora di più ai vertici del nuovo gruppo».
Poi lei ha assunto la guida di Banca Intesa a Mosca: quando e come avvenne?
«Pur disponendo di un ufficio di rappresentanza ereditato dalla Comit che, prima tra le banche straniere, aveva aperto nel ’72, la nostra banca è stata costituita solo nel 2003 grazie alla preveggenza e determinazione di Giovanni Bazoli. Infatti la Banca Commerciale, confluita dopo la Cariplo nel gruppo Intesa, nel 2000, a causa degli effetti subiti dal default della Russia del 1998, aveva dismesso un’importante partecipazione detenuta in Moskow International Bank, che aveva come azioniste le principali banche europee e sovietiche. Comunque, nonostante ciò, il professor Bazoli convinse i vertici operativi della banca a creare ex novo in Russia il primo istituto bancario con capitale interamente italiano. Quando abbiamo aperto a Mosca siamo partiti con 27-28 persone, alla cerimonia ufficiale di apertura parteciparono non solo il presidente e l’amministratore delegato del gruppo, ma anche i due premier, Berlusconi e Putin. Oggi abbiamo quasi duemila dipendenti e sportelli da Vladivostock a Kaliningrad».
Come ha conosciuto Vladimir Putin?
«L’ho conosciuto nei primi anni 80, a San Pietroburgo, quando era vicesindaco. Avevamo finanziato la privatizzazione di un’azienda lattiera da parte di Parmalat. Tanzi nel 1988 era stato veloce nel decidere: oggi questa partecipazione, acquisita allora per 5 milioni di dollari, vale parecchi milioni di euro. Putin all’epoca era la persona di fiducia del sindaco Anatolij Sobchak, che si stava distaccando dal gorbaciovismo ortodosso: curava i rapporti internazionali».
Il rapporto nel tempo com’è cresciuto?
«Dopo un mese dall’apertura della nostra sussidiaria in Russia, Putin ci riservò una visita improvvisata molto gradita che ebbe un significato simbolico forte. Era la prima banca con capitale interamente italiano».
Quali sono le aziende italiane oggi più forti in Russia?
«Nel 2012, l’interscambio ha registrato un buon incremento, totalizzando, secondo i dati ufficiali, quasi 30 miliardi di euro. Ma è un dato inferiore alla realtà, perché molte merci e operazioni transitano dalla Germania e dall’Olanda. La stima globale è attorno ai 45 miliardi. Gli investimenti dell’Italia in Russia sono di circa 15 miliardi.Una presenza importante in Russia è quella di Indesit, tra le prime a insediarsi: oggi controlla il 25-28% del mercato russo del “bianco” ed opera in un distretto industriale speciale a Lipetsk con vantaggi fiscali. Forte il ruolo di Eni ed Enel nel settore del petrolio, del gas e dell’energia elettrica, dopo la privatizzazione del gruppo Yukos. C’è poi Alenia Aeronautica, del gruppo Finmeccanica, che costruisce il superjet 100 insieme con Sukhoj; Agusta che costruisce elicotteri speciali, Pirelli che insieme a Russian Technologies ha uno dei più grandi insediamenti industriali di produzione di pneumatici per il mercato russo. Molto attiva anche la Ferrero nel settore dolciario: sta costruendo un altro stabilimento. Nelle settore delle piastrelle sono presenti Marazzi e il gruppo Concorde. Anche Marcegaglia ha in Russia uno stabilimento per la produzione di tubi. Oggi lavorano per le aziende italiane in Russia non meno di 30.000 addetti, con un fatturato di 12 miliardi, esclusi Eni ed Enel. La presenza italiana è forte, nonostante le barriere di carattere burocratico e la corruzione».
E come si muovono gli oligarchi in Italia?
«Oggi abbiamo il gruppo Renova che ha investito tre miliardi di euro nel settore dell’energia tradizionale e green. Ci sono investimenti consistenti nel settore metallurgico, con Severstal di Aleksej Mordashov, Novolipetskij Metallurgiceskij Kombinat di Jurij Lisin, Euras Holding di Aleksandr Abramov e Basel Element di Oleg Derepaska. Non c’è oligarca russo che non abbia la villa in Italia. Villa Feltrinelli è stata acquistata per farne un albergo d’eccezione proprio dal proprietario di Renova, riservandosi l’attico. Il presidente del gruppo Sistema (telecomunicazioni e nanotecnologie) a Forte dei Marmi ha acquistato un albergo per la famiglia. Per non parlare dell’oligarca che possiede tre grandi ville in Sardegna. Proprio in questa regione si sta trattando l’acquisto di Forte Village da parte di un noto imprenditore russo. Attraverso la nostra banca passa quasi il 100% degli investimenti russi in Italia e il 95% degli investimenti italiani in Russia, grazie anche all’eredità di Comit in terra russa».
Che operazioni farà il Fondo Mir Capital che Intesa ha creato con Gazprom Bank?
«Ha mezzi per 300 milioni di euro, 150 ciascuno. Abbiamo già fatto due investimenti: uno nella regione di Tjumen nel campo dell’oil-gas, uno in Veneto in un’azienda che produce protesi ortopediche rivoluzionarie e cresce a un ritmo del 20-30%».
Capitolo energia. Nel 2006 nacque Eni-Gazprom, nel 2008 Premiumgas (A2A, Iride, Gazprom). I prezzi hanno fatto parlare di tangenti sulle forniture. Che ne dice? Quali i numeri reali?
«La Russia fornisce 22 miliardi e mezzo di metri cubi a Eni. Premium Gas di Milano (A2A e Iren hanno il 49% , Gazprom il 51%) acquista attorno a 1,5 mld. Poi c’è Promgas (prima 50/50 Gazprom e Eni, ora totalmente Gazproexport), che piazza altri 2 mld. E c’è il consorzio di municipalizzate del Triveneto, Energie Italiane, che ha un contratto di 1,7-1,8 mld. Il gas russo copre il 27-28% del fabbisogno italiano. ll resto dell’import proviene da Algeria, Libia, Norvegia».
Ci sono società di interposizione di politici? Si è parlato di società occulte...
«È una bufala. Quando si fece l’accordo Eni-Gazprom c’era ancora Vittorio Mincato. Premium compra come consorzio, Promgas come privato, Energie Italiane rappresenta 16-17 comuni. Servono le carte per provare certe tesi».
Wikileaks parla di un misterioso intermediario tra Berlusconi e Putin. E lei è stato consulente di Fininvest in Russia...
«L’idea di Berlusconi era di importare il gas, che lasciava libero l’accordo di Gazprom con Eni del 2007, tramite una società privata partecipata da Centrex e dall’imprenditore Mentasti. Noi come Banca Intesa avevamo il mandato di Asm di Brescia e poi di A2A e abbiamo perseguito il cammino inverso: fare importare il gas alle municipalizzate, perche riteniamo che il gas sia un bene di tutti ed è giusto che non sia una società privata a portarlo in Italia e rivenderlo alle municipalizzate per guadagnare due volte. La bolletta del gas è già abbastanza onerosa per tutti noi».
Massimo Ciancimino dice che avevate progettato insieme una società per l’importazione di gas, come replica?
«È un sognatore, non l’ho mai incontrato».