Sabrina Giannini, Corriere della Sera 01/03/2013, 1 marzo 2013
COSI’ DI PIETRO E’ USCITO DI SCENA. MA CHE FINE FARANNO I FONDI IDV?
«Mi candido alla prossima legislatura poi vado a fare il contadino». Di Pietro concluse così l’intervista che rilasciò a Report e che, a suo dire, è tra le ragioni della sconfitta elettorale che lo riportano ai vigneti di Montenero di Bisaccia con cinque anni d’anticipo. Lasciamo il merito del prepensionamento dorato a Di Pietro e a chi gli ha allestito il tour riabilitativo che, alla luce delle elezioni, non ha avuto molto successo.
«L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo», dichiarò pochi giorni dopo la messa in onda del mio servizio «Gli insaziabili». Era un’ammissione di colpa e una dichiarata intenzione a voltare pagina. Poi qualcuno deve avere suggerito all’ex pm di cavalcare lo spirito partigiano che in questo paese alimenta ostilità e fango e che sarebbe bastato giocare il ruolo dell’eroe vittima di un «killeraggio politico» orchestrato da mandanti (da quel Pd che pure era stato criticato nel corso dello stesso servizio che mostrava i soldi elargiti dal tesoriere Lusi ad alcuni esponenti della Margherita). Sistemi di delegittimazione dell’informazione che lo stesso Di Pietro aveva criticato quando ad attivarli era stato Berlusconi. Come quest’ultimo scelse i salotti comodi della televisione che avevano un unico denominatore: l’assenza di un contraddittorio che potesse rispondere punto su punto alla sua requisitoria. Marco Travaglio si è lanciato in una difesa a Servizio Pubblico ripetendo che Report aveva dichiarato che Di Pietro possedeva 54 case: «Nemmeno il sultano del Brunei, non si è detto che in realtà, appunto, non erano tutte case ma in gran parte erano i terreni ereditati dal padre, per non parlare addirittura delle stalle e della porcilaia».
Si era detto eccome, visto che pochi minuti prima era stato trasmesso il mio servizio nel quale si specificava più volte che le proprietà includevano case, terreni, cantine e garage.
«Contro le calunnie semplicemente la verità», scriveva Antonio Di Pietro sul sito dell’Idv, agitando bilanci e archiviazioni della magistratura. Ma dribblando sulle questioni eticamente rilevanti come la ristrutturazione della casa di via Merulana a Roma fatta a spese del partito e la cassa dell’Idv gestita da un’associazione parallela composta da tre soli soci: lui medesimo, sua moglie (che è sua moglie) e l’onorevole Silvana Mura, la tesoriera dell’Idv nominata da Di Pietro nel Cda della sua società immobiliare, con la quale ha acquistato due appartamenti poi affittati al partito.
Nel corso dell’intervista era apparso smemorato e reticente mentre negava la gestione a tre dei rimborsi elettorali e che fosse durata per ben nove anni. Non ricordava neppure che dal 2001 al 2009 fossero confluiti sul conto ben cinquanta milioni di euro. L’errore è stato pensare che bastasse del fango per coprirne altro e che non esistano italiani sensibili alla coerenza. A conti fatti sappiamo che i suoi voti sono passati al moralizzatore originale senza macchia: Beppe Grillo. Che non a caso ha come cavallo di battaglia proprio il rifiuto dei rimborsi elettorali e la trasparenza che consenta la partecipazione diretta dei cittadini esclusi (anche dall’Idv) dal controllo dei soldi elargiti ai partiti.
Ancora oggi non si capisce perché Di Pietro non ha risposto alla nostra esortazione a mostrare tutta la movimentazione bancaria del partito-associazione dal 2001 ad oggi, unico atto che avrebbe dissipato così ogni dubbio sull’uso a fini personali dei soldi erogati al partito. Ormai precipitato nei sondaggi all’1,8 per cento, ha deciso di non presentare il suo simbolo a livello nazionale ma di finanziare la campagna di Ingroia che, interpellato sulla questione sollevata da Report, ha risposto «non sono l’inquisitore dell’Idv, credo che Di Pietro abbia già chiarito».
Intanto si dovrà chiarire che ne sarà della cassa dell’Idv che dovrebbe contenere ancora una trentina di milioni di euro di rimborsi elettorali. Con l’Idv inabissata il capitano Di Pietro aveva messo al sicuro la sua rielezione, che sarebbe stata certa se il movimento avesse superato lo sbarramento. L’argent fait la guerre. Evidentemente non basta per la rivoluzione.
Sabrina Giannini