Francesco Verderami, Corriere della Sera 01/03/2013, 1 marzo 2013
AL SENATO IL PRIMO RISCHIO DI STALLO. NON CI SONO I NUMERI PER IL PRESIDENTE —
Se non la pace serve quantomeno un armistizio, o la legislatura non potrebbe nemmeno iniziare. La paralisi delle istituzioni non è un rischio semmai una certezza, che i numeri del Senato stanno a certificare: se Bersani non trovasse un accordo preventivo con Grillo o Berlusconi, a Palazzo Madama mancherebbe la maggioranza necessaria per garantire l’elezione del presidente dell’Assemblea. I voti del Pd non basterebbero infatti, anche se si unissero a quelli dei centristi. E lo stallo avrebbe un effetto destabilizzante sul sistema, perché il blocco delle procedure non consentirebbe di far partire le consultazioni al Quirinale per la formazione del governo.
È un problema su cui i vertici di Pd e del Pdl stanno discutendo, e c’è la consapevolezza che si tratta di un rebus di difficile soluzione, a meno di un’intesa preventiva. Ma di che tipo? Alfano ritiene che «serva una visione unitaria sulle questioni istituzionali e politiche», che sia «necessaria una logica d’insieme sulle presidenze delle Camere e sul governo». Traduzione: il centrodestra non accetterebbe lo scranno di Palazzo Madama, quasi fosse «un contentino», se nel frattempo il Pd si acconciasse a colpire il leader del Pdl e — con i voti di Grillo — eleggesse il nuovo capo dello Stato.
L’idea di D’Alema — spiegata ieri ad Alfano — è che «non convengano né a noi né a voi le larghe intese, perché con Grillo all’opposizione consegneremmo il Paese al movimento Cinquestelle». Pertanto sarebbe preferibile un «governo di scopo» che cambi la legge elettorale, attui la riduzione dei costi della politica e porti di nuovo i cittadini alle urne «a fine giugno». Ma la proposta di un accordo sul doppio turno alla francese ha incontrato l’obiezione del segretario pdl: «Potrebbe andar bene, se accompagnata dall’elezione diretta del presidente della Repubblica». E siccome si tratterebbe di una riforma costituzionale, che non permetterebbe di andare subito alle urne, vorrebbe dire che — senza un’intesa — in estate si tornerebbe a votare con il Porcellum.
Ecco lo stallo politico, che rischia di produrre lo stallo delle istituzioni, e di bloccare l’avvio della legislatura. È chiaro quindi che i due passaggi sono strettamente legati e che serve un accordo preventivo. Tocca al Pd stabilire se con il Pdl o con Grillo, perché per il centrodestra un’intesa a tre è impensabile. «Devono scegliere tra il progetto del berlusconicidio o una sorta di patto di pacificazione nazionale», dice Alfano: «Noi aspettiamo». Il Cavaliere aspetta di capire quale mossa faranno i Democratici, che secondo le informazioni in suo possesso non sono ancora riusciti a stabilire un contatto con M5S. E chissà mai se ci riusciranno.
Un eventuale fallimento delle trattative tra Pd e Grillo costringerebbe i due partiti a discutere di larghe intese. Perciò D’Alema è uscito allo scoperto, per costruire una rete di protezione alla legislatura, tenere un canale aperto con il Pdl ed evitare l’immediata rottura con il centrodestra. Ma l’obiezione di Alfano è che non si possa puntare a un progetto di breve durata, tantomeno a un’ipotesi alternativa legata a un altro gabinetto tecnico. «Questo sì consegnerebbe il Paese a Grillo», secondo il segretario del Pdl, che pensa invece a un piano di medio-lungo termine, «non a un’operazione di precariato politico».
Così si torna al punto di partenza, che sembra al momento un punto di non ritorno. L’ennesima inchiesta in cui è stato coinvolto Berlusconi, rende se possibile più complicato il dialogo. E le scadenze giudiziarie del Cavaliere rischiano di creare un divario incolmabile tra i due schieramenti. Al tempo stesso, senza un accordo con Grillo, il Pd non avrebbe soluzioni. Il paradosso dello stallo è che — mentre la legislatura rischia di non partire — le forze politiche restano soggette al governo Monti, che è nella pienezza delle sue funzioni — come ha ricordato Napolitano — e che dunque potrebbe potenzialmente riaccompagnare il Paese alle elezioni.
È vero, come spiega il pdl Lupi, che «in Belgio sono rimasti per un anno e mezzo senza governo», e i dati economici non ne hanno risentito, anzi. Ma in Italia un ritorno alle urne con un sistema bloccato, garantirebbe il successo di Grillo. E lo tsunami spazzerebbe via non solo la vecchia classe dirigente, ma anche i potenziali eredi: da Renzi ad Alfano, nessuno avrebbe un’eredità da raccogliere, perché dei partiti — di maggioranza come di opposizione — resterebbero solo macerie.
Perciò questo passaggio coinvolge tutte le generazioni, senza nessuna distinzione. Perciò nessuno può tirarsi indietro. Il sindaco di Firenze — con un Pd logorato da una guerra intestina — non avrebbe più una base su cui costruire il proprio successo elettorale. E l’attuale segretario del Pdl, pur cercando di conquistare consensi dall’opposizione, nella strategia di comunicazione grillina sarebbe comunque omologato agli avversari contro cui ha combattuto nella Seconda Repubblica.
Il futuro insomma si gioca nel presente. E la trappola sembra senza via d’uscita. La scorciatoia che il Pd ha ingegnato sulla falsariga del «modello siciliano» non regge nè sembra ammorbidire la posizione di Grillo, che mira alle elezioni anticipate. Bersani continuerà ad insistere nell’opera di «stalking», gli serve per togliere l’alibi a M5S e magari per cambiare rotta all’ultimo momento, costretto dagli eventi. Anche perché, se davvero si andasse al voto a fine giugno, comunque il problema della governabilità si riproporrebbe. Senza una nuova legge elettorale, infatti, chiunque vincesse alla Camera si ritroverebbe senza maggioranza al Senato. E dopo il voto le forze politiche si ritroverebbero con lo stesso identico problema: aprire o no alle larghe intese?
Francesco Verderami