Massimo Ammaniti, la Repubblica 1/3/2013, 1 marzo 2013
ANCHE LE FORMICHE SONO EMPATICHE
Negli ultimi tempi gli studiosi del comportamento animale, e non solo, si sono interrogati se anche gli animali, come gli uomini, siano in grado di sperimentare l’empatia, ossia se possano condividere le emozioni provate da un altro individuo appartenente alla stessa specie.
Di empatia in campo umano se ne parla da molto tempo. In un film americano del 1957
Cenerentola a Parigi,
ormai un classico, Audrey Hepburn personificava la figura di una libraia che spiegava ad un fotografo capitato nel suo negozio, interpretato da Fred Astaire, che cos’era la scienza dell’empatia. E parlando di empatia nasceva una storia sentimentale fra la libraia e il fotografo. Ho citato questa sequenza cinematografica in quanto è indicativa di un clima culturale che si
cominciava a respirare negli Stati Uniti con la fine degli anni Cinquanta, che valorizzava non solo l’individualità personale ma anche la capacità di entrare in rapporto e condividere gli stati d’animo delle altre persone. Anche in campo psicoanalitico, in quegli stessi anni, uno psicoanalista americano di origine austriaca, Heinz Kohut, scrisse un primo articolo sul concetto di empatia che svilupperà negli scritti successivi, mettendone in luce la rilevanza nella relazione fra genitori e figli, ma anche nella relazione terapeutica. Secondo Kohut lo psicoanalista utilizzerebbe la propria empatia per comprendere e condividere lo stato d’animo del paziente.
Ma per tornare al dibattito attuale sull’empatia in campo animale va segnalato il libro di De Waal e Ferrari
The PrimateMind
(Harvard University Press). Un primo stimolo scaturì dalla ricerca di un gruppo di etologi francesi che studiarono il comportamento delle formiche quando
una di loro rimane intrappolata. Vedendo il video dell’esperimento si osservano numerose formiche che si prodigano attorno alla loro compagna intrappolata cercando di togliere la sabbia che la ricopre e addirittura di mordere il filo di nailon che la blocca. Ma questo soccorso si verifica solo fra le formiche della stessa colonia, confermando il fatto che le formiche sono in grado di riconoscere i legami di parentela. Gli studiosi si sono interrogati sul significato di questi comportamenti di soccorso: si tratta di una forma di empatia per cui le formiche avvertono la sofferenza della compagna intrappolata, oppure si tratta di comportamenti di cura istintuali che hanno lo scopo di liberare la compagna per salvaguardare il gruppo?
Un’analoga ricerca, pubblicata sulla Rivista scientifica
Science,
è stata realizzata da un gruppo di neurobiologi e psicologi americani questa volta con i topi. Se un topo rimane intrappolato, un suo compagno di gabbia lo aiuta a liberarsi e poi insieme condividono della cioccolata che si trova lì accanto. Anche in questo caso i ricercatori si sono chiesti se l’empatia abbia una base biologica e riguardi anche gli animali, come sarebbe confermato dal comportamento prosociale dei topi stimolati dalla sofferenza di un compagno.
Ancora più recentemente un gruppo di ricercatori della Duke University ha pubblicato una ricerca effettuata con i bonobo, ossia scimmie fra le più vicine agli uomini. Le osservazioni hanno suscitato grande interesse
per l’altruismo dimostrato da queste scimmie che, avendo a disposizione del cibo, preferiscono condividerlo con una scimmia sconosciuta piuttosto che con una più familiare. Secondo Brian Hare, uno dei ricercatori, i bonobo cercano in questo modo di ampliare il loro giro sociale dando più valore alla socialità che al rafforzamento delle relazioni familiari o di amicizia. In un secondo esperimento i bonobo si sono dimostrati ugualmente disposti a concedere il cibo anche ad una scimmia sconosciuta con cui non c’è un’interazione diretta ma che viene soltanto vista a distanza. Ci si può chiedere anche in questo caso se si tratti di altruismo e di empatia verso un’altra scimmia che si sente esclusa dal cibo oppure si tratti di una strategia per ampliare le proprie relazioni, evitando che scimmie sconosciute possano diventare aggressive.
Soprattutto l’ultima ricerca con le scimmie sembra smentire la teoria di Freud che si nasce egoisti e solo successivamente si diventa sociali quando si scoprono i benefici che derivano dal rapporto con gli altri. Va detto che il comportamento dei bonobo è diverso dagli scimpanzé, che al contrario sono piuttosto sospettosi verso gli estranei e preferiscono tenersi il cibo per sé senza condividerlo.
In campo umano notiamo entrambi i comportamenti: vi è chi si appropria egoisticamente delle risorse senza volerle condividere e chi, al contrario, è attento alle esigenze degli altri ed è disposto a fare rinunce purché gli altri abbiano, anche loro, delle risorse a disposizione. Una differenza importante fra gli uomini e i cugini più vicini, ossia le scimmie, è legata al fatto che l’uomo è in grado di avere comportamenti altruistici anche in assenza di un rapporto diretto con le altre persone, proprio perché nel corso dell’evoluzione si è acquisita la capacità cognitiva, di assumere la prospettiva degli altri, comprendendone le esigenze e i bisogni. Questa particolare capacità dipende dallo sviluppo delle zone cerebrali frontali e prefrontali, che favoriscono le capacità di comprendere le esigenze degli altri, anche se spesso queste capacità possono essere ostacolate e addirittura inibite dall’educazione familiare oppure dal contesto sociale. Non dobbiamo dimenticare che queste acquisizioni psicologiche, essendo recenti, devono essere continuamente confermate dall’educazione e dall’esperienza sociale che si vive.