Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 28/2/2013, 28 febbraio 2013
GRILLO NON HA MAI PENSATO DI USCIRE DALL’EURO
L’economista più ascoltato da Beppe Grillo si chiama Mauro Gallegati, insegna ad Ancona e in America, dove collabora con le università più importanti, dal MIT alla Columbia, l’ateneo del suo amico Joe Stiglitz, il premio Nobel, con cui firma un saggio in uscita su Micromega. É molto più pacato e pragmatico di Loretta Napoleoni, polemista economica di area grillina (“Se è coinvolta nel programma? Non lo so, Beppe mi ha chiesto di aiutarlo sull’economia. Non so se lo ha fatto con altri, ma a sentire quello che dice mi sembra che segua abbastanza le mie idee”).
Professor Gallegati, come è iniziato il suo rapporto con Beppe Grillo?
La facoltà di Economia di Ancona è stata fondata da un grande economista, Giorgio Fuà. Un pomeriggio stavo lavorando con lui a casa sua e gli ho detto che dovevo andare a vedere Grillo a teatro. Lui mi ha chiesto di portargli un libro sul Pil di cui avevano parlato al telefono.
Poi cos’è successo?
Uno degli assistenti di Beppe mi ha detto: “Grillo ti vorrebbe conoscere”. Ci siamo scambiati i numeri e abbiamo iniziato a discutere del Pil, di come si deve misurare l’economia e così via. Poi è nato il blog e ho iniziato a collaborare, ho partecipato al primo V Day nel 2007...
E si arriva al programma delle elezioni politiche 2013.
Io mi sono occupato soprattutto di lavoro. La visione di fondo è questa: il modello di sviluppo che perseguiamo dal dopoguerra è finito. Anche l’Istat sta affiancando al Pil un indicatore diverso, il Bes, benessere equo e sostenibile.
Incoraggiante.
Crescere non si può più e non serve a niente. Durante la depressione del Ventinove John Maynard Keynes scrisse un articolo sulle “Prospettive economiche dei nostri nipoti”. Immaginava un mondo in cui la gente, grazie alle macchine, lavorava poco e si godeva la vita. La profezia non è stata azzeccata, ma il Movimento dovrebbe impegnarsi in quella direzione. Serve un’azione dal basso, tutti i cittadini devono cambiare modello di sviluppo. Ma anche la politica deve dare una mano.
Sul lavoro c’è stata la battuta più discussa di Grillo: “Eliminiamo i sindacati”.
Non era una battuta. Dietro c’è l’idea dell’economia della partecipazione, prevista anche dalla Costituzione. Gli utili andrebbero redistribuiti ai lavoratori: se il dipendente diventa parte dell’azienda, non c’è bisogno dei sindacati che lo rappresentino.
E il mercato del lavoro?
Basta rileggere quello che scrivevamo io, Stiglitz o Grillo. Tutte le leggi Maroni e Biagi sulla flessibilità, se non sono accompagnate da un reddito di cittadinanza o qualcosa di simile, diventano precarietà e non flessibilità. Dovremmo proteggere la vita e la persona, non il posto di lavoro.
Ma si può assegnare un reddito di cittadinanza con i conti pubblici dell’Italia?
C’è in tutti gli altri Paesi d’Europa tranne la Grecia. Si deve fare. Dobbiamo farlo perché non possiamo continuare così.
Però c’è il debito pubblico al 123 per cento del Pil.
Un paio di anni fa ho partecipato a riunioni nei licei occupati contro le leggi Gelmini. I ragazzi venivano da me dopo la lezione parlandomi del debito pubblico. Mi hanno fatto impressione questi diciottenni angosciati dal peso che grava su di loro. Anche i peones in America Latina lavoravano tutta la vita per ripagare i debiti, così come i servi della gleba.
Dunque bisogna uscire dall’euro, come lascia intendere Grillo?
Non ho capito come si è diffusa questa idea. Anche oggi in mensa mi chiedevano “Ma perché volete uscire dall’euro?”. Uscire dall’euro vuol dire impoverire la nazione di almeno il 30 per cento da un giorno all’altro. L’Economist ha smesso di pubblicate i dati sull’Argentina: si sono accorti che sono taroccati. L’inflazione è molto più alta di quello che dicono, l’attivo della bilancia dei pagamenti è inesistente se non negativo. Svalutare non è una cosa semplice.
Quindi Grillo non vuole portare l’Italia fuori dall’euro?
Non gli ho mai sentito dire una cosa simile. La sua posizione è più del tipo: “Invece che calare tutto dall’alto, meglio farlo maturare dal basso”.
In che modo?
Guardiamo l’Italia. Quando si è unita il Sud aveva produttività bassisma, il Nord elevata. La stessa differenza che c’è oggi in Europa tra i Pigs e i Paesi del Nord. Perché da noi questo squilibrio ha retto per 150 anni e in Europa non regge per 12? L’Italia è un Paese politicamente unito, l’Europa un’accozzaglia. Bisognerebbe prima unificare la politica, poi l’economia.
Ma c’è qualcuno tra i neoeletti a Cinque stelle che padroneggia questi temi?
Se devo dire la verità no. O magari c’è e io non lo conosco. Fa tenerezza leggere quello che scrivono sulle bacheche di Facebook. Per questo con alcuni colleghi della Columbia e della Cattolica stiamo preparando dei seminari di economia per i parlamentari del Movimento. Stiamo facendo un salto nel buio. Ma non abbiamo alternative.
Twitter @stefanofeltri