Alessandro Gilioli, l’Espresso 1/3/2013, 1 marzo 2013
Alla guerra con la playstation. Un mercato in crisi da anni. Che ora è pronto a ripartire con una nuova sfida: game in altissima definizione e sempre più sociali grazie al Web
Alla guerra con la playstation. Un mercato in crisi da anni. Che ora è pronto a ripartire con una nuova sfida: game in altissima definizione e sempre più sociali grazie al Web. Parla il guru della Sony colloquio con Sushei yoshida In tempi di crisi mondiale, per lanciare la nuova Playstation - la quarta della serie - i giapponesi della Sony dicono di voler far «la guerra contro la realtà»: slogan immaginifico con cui la scatoletta hi-tech è stata annunciata alla stampa mondiale il 21 febbraio scorso, a New York. Un po’ in anticipo, per la verità: la Ps4 sarà infatti in vendita solo alla fine dell’anno - e per quanto riguarda l’Europa non è neanche sicuro. Ma la Sony ha voluto portare all’estremo la strategia del "creare aspettativa" verso un oggetto che resterà ancora a lungo introvabile e di cui ancora non si conosce neppure l’aspetto, né il prezzo. Quello che si sa invece è che l’industria del videogame nel suo complesso ha subito pesantemente la recessione, passando da 55 milioni di console vendute nel 2008 a 34 milioni nel 2012: alla Ps4 è affidato dunque il compito di invertire la tendenza puntando soprattutto sull’integrazione dell’home entertainment con la Rete a banda larga e con la sua declinazione più forte, quella social. Di qui il tentativo di Sony (i cui conti economici sono in passivo da tre anni) di proporre una sorta di "computer potenziato", incentrato sì sull’esperienza videoludica ma che consente anche di condividerne spezzoni e immagini con altri amici a cui mostrare le proprie prodezze e con cui commentare i risultati ottenuti. "L’Espresso" ha parlato di questa scommessa - ma non solo - con Shushei Yoshida, 49 anni, presidente degli studios della Sony Entertainment, tra i pionieri dello sbarco nel videogame del colosso giapponese che prima del 1995 produceva solo tivù ed elettrodomestici. Signor Yoshida, per quasi vent’anni avete venduto console come panini, ma adesso la festa sembra finita. Colpa dei prezzi troppo alti, in una fase di recessione, di hardware e giochi? «In realtà, se si pensa alle molte ore di intrattenimento che consente un videogioco di qualità, il costo commisurato al tempo è molto più basso rispetto a tante altre forme di intrattenimento. Però è vero che oggi chi produce console deve offrire al videogiocatore un’esperienza molto più completa e immersiva rispetto ai cosiddetti "snack game", quelli che si scaricano per pochi spiccioli o gratis su altri device, come i tablet. Insomma, oggi servono dei plus forti, tanto nella grafica (ormai di un realismo impressionante) quanto nella condivisione in Rete con gli amici. Con la Ps4, ad esempio, il giocatore potrà anche "chiedere aiuto" a un altro, via Internet, per risolvere un passaggio complicato del game, condividendo appunto l’esperienza. Per noi l’aspetto sociale è stato l’obiettivo principale, a questo giro». Con quale target? «Non ha più molto senso parlare di un target anagrafico, il gaming adulto è stato sdoganato da anni a mano a mano che cresceva la generazione che ha usato i primi videogiochi. L’idea di uscire - attraverso l’immaginazione e la creatività - dalla realtà di tutti i giorni appartiene ormai a tutti. Poi, certo, a ogni segmento di popolazione piacciono giochi diversi». Però le donne - anche giovani e giovanissime - giocano ancora molto meno dei maschi. «Sì, il pubblico femminile rappresenta un enorme potenziale che gli sviluppatori di videogiochi possono esplorare. Certo, per avvicinarlo alla Playstation serve una sensibilità diversa da quella maschile, che si appassiona ancora molto alla sfida o alla battaglia. Ma ci si sta lavorando parecchio». Ad esempio? «Pensi a un grande sviluppatore come David Cage. Il suo primo gioco per Playstation, "Heavy Rain", era già una sorta di romanzo interattivo: ora sta per uscire la sua seconda opera, "Beyond", che ha una profondità anche maggiore (si parla di cosa c’è dopo la morte) e si percorre attraverso la psicologia della protagonista, che è appunto una giovane donna». Però anche nella presentazione della Ps4 a prevalere sembrano essere sempre i giochi sparatutto, eroici e un po’ stragisti... «Sono i blockbuster, quelli che fanno i grandi numeri, ma le produzioni di altro tipo stanno crescendo sempre di più e noi ovviamente ne siamo contenti. Del resto le differenze nel gradimento dei giochi non riguardano solo i generi, ma anche le diverse culture e quindi i diversi mercati». Ad esempio? «Ci sono giochi che piacciono più o meno a tutti ma molti altri hanno invece esiti differenti in diversi Paesi. In Giappone, ad esempio, vanno molto i giochi i cui protagonisti sono bambini o bambineschi, cose che in Europa e in America spesso non vengono neanche commercializzate. In Italia e in Spagna è andato benissimo un’idea educativa come "Walking with Dinosaurs", che spesso si fa insieme ai genitori: probabilmente perché c’è una cultura della famiglia che altrove manca. Negli Usa permane una passione per la sfida, l’inseguimento e la sparatoria che non ha eguali altrove. E così via». A loro volta però i videogame contribuiscono a cambiare le culture. O no? «Più che altro io credo che tendano a modificare - in meglio - l’approccio cognitivo, insegnando ai ragazzi ad accettare le sfide della vita e a divertirsi nell’affrontarle. E questo vale per tutti i giochi o quasi. Per quelli migliori, poi, il videogame è anche stimolo visivo, artistico e creativo». Molte mamme non sarebbero d’accordo con questa visione molto radiosa dell’esperienza videoludica... «I genitori hanno a lungo guardato ai game elettronici con molta più paura rispetto - ad esempio - alla televisione. Non è logico - la tv non è certo più educativa di un videogioco - ma è spiegabile: chi è cresciuto con la televisione in salotto è indulgente verso un elettrodomestico che conosce e sospettoso verso uno che invece non conosce, la console dei videogiochi. Ora però questi timori stanno evaporando perché i nuovi genitori hanno a loro volta videogiocato, da ragazzini, e non ci vedono più nulla di diabolico in quello che fanno i loro figli. Anzi, spesso ne capiscono il valore culturale oltre le apparenze». Culturale? «Sì: e mi riferisco anche ai blockbuster, non solo ai giochi di nicchia. Pensi per esempio alla saga di "Assassin’s Creed", una delle più vendute nel mondo, e a quanto ha insegnato o incuriosito in termini di ambientazione storica e geografica». E i figli dei ragazzi appassionati di "Assassin’s Creed", fra venti o trent’anni videogiocheranno anche loro? «Certo, anche se le tendenze del gaming di cui abbiamo certezza non vanno così in là. Quello che posso dire è che dopo l’evoluzione verso il videogioco sociale e ad altissima definizione - il passaggio che abbiamo appena fatto - il prossimo step sarà quello basato su sensori». Vale a dire? «Pensi ad esempio quando un personaggio del game sorriderà a un sorriso del giocatore o corrugherà le sopracciglia insieme a lui. L’esperienza di coinvolgimento e di identificazione sarà ancora più forte. Ed è proprio questa immersività totale nell’immaginario quella per cui adesso stiamo lavorando».