Carlo Dagradi, Focus 22/02/2013, 22 febbraio 2013
CHE FINE FA IL TUO PATRIMONIO DIGITALE
Nell’ottobre 2012, a Londra, c’è stato un convegno un po’ particolare. Si è par lato, tra molti argomenti, di tecnologia, social network, gestione dei contenuti digitali... Solo che i veri soggetti della discussione erano assenti. Scomparsi. Cioè, proprio morti. Già, perché la morte digitale è stata il tema del Digital Death Day (su Internet, digitaldeathday.com). Se la morte fìsica è un fatto pubblico, certificato e regolato da norme precise, quella digitale è tutta un’altra storia.
Paradossalmente, sembra quasi non esistere. Online, infatti, possiamo continuare a vivere per anni, in teoria anche per sempre: social network, email, account di mille servizi, dal supermercato a Paypal, sono aspetti dell’identità digitale che non scompaiono automaticamente con la di partita dell’individuo in carne e ossa. Ma allora, che fine fanno? E cosa succede a tutti i “beni digitali” (musica, film, libri...) che abbiamo acquistato? Si possono lasciare in eredità? Qualcuno potrebbe usare il nome e la password di chi non c’è più per continuare a fare acquisti, ascoltare musica, rispondere alle email?
Primo: pensarci. «Occuparsi del proprio patrimonio, con un testamento, è un atto di buon senso. Analogamente, oggi, ci si deve interessare anche del lascito digitale» spiega Ugo Bechini, notaio e membro della commissione informatica del Consiglio nazionale del notariato. «Per secoli, il diritto di successione si è occupato di terreni, soldi, cassette di sicurezza, beni materiali: oggi si confronta anche con blog, account di posta, banche online. Realtà che, spesso, hanno sede territoriale diversa da quella di chi ne usa i servizi, complicando enormemente il problema» dice Bechini. Di frequente, infatti, quando si tratta di trasferire agli eredi password e nomi utente, si devono usare le regole dello Stato della California: «Non solo: in dettaglio, si tratta quasi sempre di quelle della Contea di Santa Clara, alla quale fanno riferimento le aziende della Silicon Valley. In puro stile americano» spiega Bechini. «Avere a che fare direttamente con società Usa per questioni ereditarie può essere molto complicato e costoso, tanto più che Contee diverse possono avere regole diverse» dice Bechini. Per questo, i notai italiani hanno preparato un decalogo per aiutare nella gestione dell’eredità digitale. Ma cosa, nella vita di ciascuno di noi, è “digitale”?
L’immagine di sé. Se muore il vicino di pianerottolo, è facile che lo si venga a sapere. Ma un amico di Facebook può continuare a vivere per sempre, in formandoci regolarmente dei suoi compleanni (se impostato, lo fa l’account autonomamente). Nell’ottobre del 2009, il capo della sicurezza di Facebook, Max Kelly, ha affrontato, in un post sul blog ufficiale della società di Zuckerberg, il tema degli utenti non più in vita. Una necessità, dato che, secondo una stima, nel 2010 erano morti 375.000 utenti di Facebook nei soli Stati Uniti. Dalla riflessione di Kelly è nata la possibilità di trasformare le pagine dei defunti in “account commemorativi”. Per farlo, un amico deve compilare un modulo (su on.fb.me/ IWFTbT), fornendo la prova di accesso al diario della persona e il link a una “certificazione di decesso” (vanno bene un necrologio o un articolo di giornale). Poi tutto passa al vaglio di un ufficio (a Palo Alto, sede di Facebook) che, in qualche giorno, verifica la richiesta e trasforma la pagina. Solo se si dimostra di essere un parente stretto si può chiedere la rimozione dell’account. Per lo stesso scopo, il microblog Twitter ha un unico link specifico (questo bit.ly/p3UAax), in inglese, su come procedere per segnalare il decesso di un utente: vale la stessa regola del “dimostrami chi sei”, ma non si possono inviare documenti via mail. Si accettano soltanto posta ordinaria o fax. Stessa via è seguita da Google, ora diventato una galassia di servizi tra Gmail, Google+, Picasa, Google Drive... La procedura, fa sapere Google, è però lunga e complessa. Ma necessaria, dicono: per proteggere la privacy di una persona anche dopo la sua morte.
I contenuti digitali. Le statistiche dicono che solo lo 0,3% degli utenti di un servizio online legge tutti i termini prima di cliccare su “accetta” ed entrare a farne parte. Sarebbe però importante farlo (e non guasterebbe che tali informative fossero più semplici e brevi). «L’acquisto di contenuti digitali online non è, giuridicamente, del tutto paragonabile ali’acquisto di un ed o dvd: in mancanza di un supporto fisico, si tratta spesso di una sorta di “noleggio per la vita”. Come tale, in teoria, non sarebbe possibile la sua trasmissione agli eredi» spiega Bechini. A questo proposito, nel settembre 2012 l’associazione Altroconsumo ha denunciato la Apple: la risposta ufficiale di Cupertino è quella di leggere con attenzione i termini di iTunes. E adeguarsi. «In realtà, per noi che li abbiamo letti davvero tutti, la questione va intesa in altro modo: il divieto di trasferire ad altri la proprietà di musica, film o libri acquistati online va inteso “tra vivi”, non “a causa di morte”. Chi compra un album online ha comprato la musica, non tanto il supporto di registrazione». Che, in questo caso, non esiste. «Un principio che vale, per lo meno, in Italia: non a caso le regole di iTunes sono un po’ diverse tra Stati Uniti ed Europa» dice Bechini. Quindi, via libera (almeno in Italia) alla possibilità di ereditare app e musica: fatto salvo il di vieto di copiarseli tra amici. Più complicato è il caso di licenze di sistemi operativi e programmi, tipo Word. Microsoft fa sapere che le versioni “boxed” di Windows e Office (che si comprano con la scatola) sono considerate come libri o biciclette, quindi ereditabili. Ma se distribuite, come accade spessissimo, in versione Oem (preinstallate nel pc), devono seguire la vita fisica della macchina. Solo alla “morte” del pc (e non del proprietario), smettono di essere licenze valide.
I nostri soldi... E che succede agli account di banche e assicurazioni online? «Si tratta di realtà consolidate e regolate, quasi sempre emanazione nella Rete di aziende “fisiche”, con gli sportelli» dice Bechini. È importante ricordare un fatto: «Consegnare a qualcuno le chiavi di un conto, virtuali (password) o reali (libretto) non significa consegnargli “il conto”: può quindi essere anche un semplice esecutore di volontà. In pratica, se spende soldi non suoi, potrà essere chiamato a risponderne da chi aveva, invece, pieno diritto a farlo».
... e i nostri gadget. App, documenti, musica, foto sono, fisicamente, da qualche parte. Se non in cloud, si trovano memorizzati su computer, smartphone, tablet, chiavetta usb o fotocamera. Questi apparecchi si comprano, vendono o ereditano: solo che spesso, nell’ultimo caso, sono protetti da password. Il che rende difficile accedervi. Si può “resettare” l’hardware distruggendone il contenuto, per usare il “device” o ci si può rivolgere a società specializzate per il recupero dei dati (Kroll On Track, ad esempio, fornisce una cancellazione certificata): perché ci sono casi in cui è il contenuto il vero valore ereditario piuttosto che la macchina elettronica che lo contiene. Se ereditaste il pc dell’autrice di Harry Potter... non ci pensereste qualche minuto, prima di formattarlo?