Corriere della Sera 20/2/2013, 20 febbraio 2013
CORRIERE DELLA SERA: COMUNICATI SINDACALI
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COMUNICATO SINDACALE–
Mercoledì 20 Febbraio, 2013
Care lettrici e cari lettori,
Il Comitato di redazione del Corriere della Sera comincia da oggi, nel suo spazio sindacale, una campagna per ottenere il cambiamento radicale del piano presentato dall’amministratore delegato di Rcs MediaGroup lo scorso 11 febbraio, che prefigura il taglio di 800 posti di lavoro, 640 dei quali in Italia, tra personale giornalistico e non. L’annuncio del piano aziendale ha già creato un grave danno di immagine al Corriere, un giornale che da molti anni ha i conti in attivo, resta il primo punto di riferimento nel panorama dell’informazione in Italia e gode di grande credito in Europa.
In vista del consiglio di amministrazione di Rcs MediaGroup, previsto per i primi giorni di marzo, il Cdr sollecita azionisti, amministratori e management a riaprire il confronto. E ribadisce con forza che è inaccettabile un piano centrato sul taglio del costo del lavoro.
Stupisce che si voglia colpire al cuore il Corriere, punta di eccellenza dell’intero gruppo.
L’architettura finanziaria del piano si basa sull’aumento del margine di redditività del gruppo, dall’attuale 4% sul fatturato fino al 10%, da raggiungere nel 2015. Per cogliere questo obiettivo, sostiene l’azienda, è necessario tagliare 100 milioni di euro, di cui 80 direttamente sul costo del lavoro. Questa impostazione non è affatto obbligata. Tutti gli altri numeri del piano, a cominciare dal fatturato, si mantengono costanti nel triennio. Il margine cresce per ricompensare gli azionisti, chiamati a sottoscrivere l’aumento di capitale e per rassicurare le banche con cui andranno rinegoziate le principali linee di credito (l’indebitamento totale del gruppo è pari a 870 milioni).
1) Il Cdr propone di capovolgere questa impostazione. Negli ultimi cinque anni di esercizio (2007-2011) gli azionisti hanno incassato dividendi per 107 milioni. Ebbene ora gli azionisti, a cominciare da quelli raccolti nel patto di sindacato, sono chiamati a fare la loro parte: aumento di capitale adeguato alla necessità di sostenere il rilancio del giornale, senza contropartite immediate.
2) Le risorse finanziare dovranno essere indirizzate verso investimenti nelle aree della carta e del digitale, con l’obiettivo di aumentare i ricavi del gruppo nel triennio. Se 180 milioni di investimenti non bastano, se ne dovranno stanziare di più. Se ci sono azionisti che non sono in grado di reggere lo sforzo per difficoltà legate alle loro aziende, dovrebbero lasciare spazio a nuove forze. Il Corriere del futuro non può essere gestito con una logica di conservazione e di rendita. Il prestigio che comporta essere azionisti del Corriere va bilanciato da un impegno alla stessa altezza.
3) Il Cdr invita il management a cogliere le nuove opportunità che offre la trasformazione del mondo dei media: web, tablet, smartphone, video e altro. Il tempo non è più una variabile indifferente. È necessario elaborare in fretta progetti concreti, in stretto contatto con la direzione editoriale del Corriere, ma anche con quelle professionalità che all’interno del giornale sono in grado di valutare le sfide (e le insidie) offerte dalla trasformazione digitale. Questo è il settore che per il futuro dovrà garantire incrementi di fatturato e redditività, ma il piano aziendale non indica con chiarezza come la storia e l’autorevolezza del Corriere dovranno essere declinate sulle nuove piattaforme, né viene sciolto il nodo dell’offerta Internet a pagamento. Dobbiamo confrontarci con concorrenti che hanno avviato più celermente di noi il processo di innovazione e con un mercato globale che ci espone, in contemporanea, alla concorrenza dei grandi aggregatori di notizie e dei piccoli produttori di contenuti digitali ad alto tasso di specializzazione.
4) il Corriere deve restare in via Solferino 28, un bene unico e irripetibile del patrimonio culturale italiano.
Nei prossimi giorni il Cdr continuerà a offrire ai suoi lettori un quadro sui recenti errori di gestione del gruppo Rcs Mediagroup e sulle opportunità offerte dal mercato editoriale, con una serie di contributi realizzati dai giornalisti del Corriere.
Il Cdr del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Venerdì 22 Febbraio, 2013
Si è svolto ieri mattina al Circolo della stampa di Milano un incontro fra la Segreteria della Federazione nazionale della stampa e i comitati di redazione e i fiduciari delle testate del gruppo Rcs. Lo scopo era delineare le strategie sindacali dopo la presentazione, l’11 febbraio, del piano di ristrutturazione del gruppo, che prevede l’esubero di 640 dipendenti in Italia (di cui, secondo notizie ufficiose, circa 200 giornalisti), la vendita o chiusura di dieci testate periodiche, l’alienazione del palazzo di via Solferino, storica sede del Corriere della Sera, e una serie di altri risparmi con decurtazioni pesanti dei costi del lavoro.
Il segretario Fnsi Franco Siddi e gli altri membri della segreteria e i rappresentanti sindacali dei quotidiani e dei periodici Rcs hanno convenuto sui seguenti punti.
1) La difficile situazione economica dell’azienda Rcs è dovuta alla crisi mondiale del settore, ma in primo luogo a scelte sbagliate del management, come l’acquisto a prezzi fuori mercato dell’azienda spagnola Recoletos, nell’anno 2007, causa principale dell’attuale elevato indebitamento.
2) Il piano di tagli radicali è tutto concentrato sugli aspetti finanziari del problema e appare rivolto a trovare consenso presso banche e mercati piuttosto che allo sviluppo dell’azienda.
3) In questi anni l’azienda non ha investito sul futuro, non si è preoccupata di trasformare la più grande azienda editoriale del Paese alla luce delle possibilità offerte dai nuovi mezzi digitali. Emblematiche le storie di quattro iniziative di prodotti informativi per iPad avviate al Corriere della Sera, a Max, a Bravacasa e ad A che sono state chiuse dopo poco tempo, l’una per gli scadenti risultati, le altre inopinatamente.
I cdr, in rappresentanza dell’intero corpo giornalistico Rcs, sono disponibili a trattare con l’azienda un piano di rilancio che preveda risparmi, tagli agli sprechi e soprattutto l’inserimento pieno nell’informazione digitale, che dovrà affiancare e integrare quella su carta. Chiedono dunque, prima di avviare trattative con l’azienda, la presentazione di un piano industriale ed editoriale, con l’indicazione preliminare e chiara della ricapitalizzazione a carico degli azionisti, che negli anni si sono distribuiti lauti dividendi, e delle condizioni di rinegoziazione del debito.
Chiedono di non proseguire sul fronte delle dismissioni e ritengono non discutibile un progetto che voglia soltanto stravolgere l’assetto delle testate e distruggere patrimoni accumulati negli anni. I cdr Rcs avvieranno iniziative comuni con il sostegno della Fnsi.
Federazione Nazionale
della Stampa Italiana
Cdr Corriere della Sera
Cdr Gazzetta dello Sport
Cdr periodici Rcs
Cdr Rcd
COMUNICATO SINDACALE–
Sabato 23 Febbraio, 2013
L’11 febbraio scorso l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane ha presentato al Comitato aziendale europeo le linee guida di un piano tutto centrato sul taglio del costo del lavoro: 800 esuberi, 640 dei quali in Italia tra personale giornalistico e non. Solo qualche giorno fa, martedì 19 febbraio, Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, uno dei principali creditori di Rcs MediaGroup, aveva commentato l’impianto finanziario del «piano Jovane» con queste parole: «Non l’ho visto nel dettaglio ma, da profano, mi sembra un piano con un rischio di esecuzione piuttosto alto». Quindi, aveva aggiunto Ghizzoni, «è da valutare con la massima attenzione. Siccome tutti quanti siamo passati attraverso periodi di ristrutturazione, si può dire che oggi non c’è un mercato facile per vendere asset». Conclusione dell’amministratore delegato di Unicredit: «Credo sia un piano molto ambizioso ma con un certo rischio implicito di esecuzione». Questa non è dunque solo l’opinione del Comitato di redazione, l’organismo che rappresenta i giornalisti del Corriere. Ieri lo stesso Jovane ha rilasciato una dichiarazione sorprendente e sconcertante: «Il nostro obiettivo è quello di presentarsi agli azionisti con i compiti fatti e chiedere loro il minimo indispensabile in termini di aumento di capitale». Bisogna dunque capire che cosa intenda l’amministratore del gruppo quando parla di «compiti da fare prima di presentarsi agli azionisti». Se questo significa sfigurare l’identità del Corriere della Sera e delle altre testate del gruppo Rcs, allora è completamente fuori strada.
Ghizzoni ha dunque sottolineato implicitamente che oggi cedere asset, cioè le dieci testate periodiche per le quali è altrimenti prevista la chiusura o gli immobili e in primo luogo la sede storica di via Solferino, è tutt’altro che un compito facile: è anzi alto il rischio di esecuzione. Da queste frasi si può facilmente dedurre che per sostenere il piano più che affidarsi alla vendita di pezzi fondamentali del patrimonio editoriale e immobiliare sia, invece, necessario far conto su un aumento di capitale di dimensioni adeguate. La struttura finanziaria di appoggio al piano industriale non è stata ancora decisa, ma da qualche settimana circola con insistenza l’ipotesi che fra i soci del gruppo sia prevalente l’orientamento a una ricapitalizzazione «minima», cioè non superiore a 400 milioni. Contro un fabbisogno finanziario stimato pari al doppio.
Non è ancora nota la data in cui si terrà il Consiglio di amministrazione del gruppo. Si prevede nei primi 10 giorni di marzo. Ma i segnali che arrivano da una delle principali banche creditrici appaiono inequivocabili. Il Comitato di redazione del Corriere considera inaccettabile attaccare il patrimonio del gruppo. Ghizzoni avverte che le testate e la sede storica possono anche essere messe in vendita, o se si preferisce in «svendita» visto il mercato, ma aggiunge che qualsiasi processo di cessione potrebbe avere un esito tutt’altro che garantito. Dunque tocca ai soci fornire le risorse finanziarie adeguate per il rilancio del gruppo Rcs. Esattamente il contrario di quanto sostenuto ieri da Jovane.
Il Comitato di redazione del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Domenica 24 Febbraio, 2013
BUONUSCITE E POSTI DI LAVORO.
Contemporaneamente alla presentazione del nuovo piano di ristrutturazione della Rcs, che prevede il taglio di 800 dipendenti e un netto ridimensionamento del perimetro industriale, l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane ha annunciato l’autoriduzione del 10 per cento della sua retribuzione.
Il Cdr del Corriere vorrebbe tuttavia che questo gesto fosse accompagnato dall’applicazione di un criterio per la corresponsione dei vari bonus e della parte variabile dello stipendio, nonché dell’eventuale buonuscita di tutti i manager del gruppo, adeguato alla gravità del momento: stabilire quelle somme in rapporto non al numero dei posti di lavoro tagliati, ma di quelli salvati.
Da troppi anni ormai la Rcs, dove i piani di ristrutturazione si susseguono ai piani di ristrutturazione senza che assurdi sprechi vengano sfiorati, dimostra nei confronti dei propri manager una grande generosità, indipendente dai risultati.
Nel 2007 su un importante quotidiano si leggeva: «Via Solferino ha speso negli ultimi quattro anni quasi 30 milioni fra buonuscite e buonentrate per oliare il frenetico turnover dei suoi manager». Proprio così: buonentrate. Perché, sempre secondo lo stesso articolo, il predecessore di Scott Jovane, Antonello Perricone, arrivato al timone della Rcs dopo che era saltata la sua nomina a direttore generale della Rai, avrebbe intascato un «bonus d’ingresso» di un milione. Un bonus d’ingresso: avrebbe cioè percepito un superincentivo soltanto per mettere piede in azienda. Più 3,4 milioni di euro quando ne è uscito, e la Rcs non nuotava certamente nell’oro, reduce com’era dallo stato di crisi.
Quella di Perricone è una misera liquidazione se la confrontiamo con la somma incassata al momento dell’uscita da Vittorio Colao: 7,8 milioni, metà dei quali, a onor del vero, versati da lui in beneficenza. Oppure con quella dell’ex direttore generale Gaetano Mele: 9,6 milioni. Cifre che impallidiscono di fronte alla buonuscita di Maurizio Romiti: 17 milioni di euro, dopo un paio d’anni al timone della Rcs. Ottocentocinquantamila euro al mese. Per inciso, con quei 17 milioni si sarebbero pagati per un anno 400 dipendenti della Rcs Quotidiani, molti dei quali venivano invece mandati in prepensionamento. Quando quella liquidazione monstre venne pagata, lo stesso presidente della Rcs, Guido Roberto Vitale (anch’egli allora in uscita), ammise: «Certi tipi di remunerazione sono giustificabili solo in presenza di risultati estremamente positivi». Facendo capire che non era quello il caso.
Non è ammissibile che continui questa giostra milionaria che arricchisce manager e dirigenti, indipendentemente dalla qualità professionale.
In un momento come questo dovrebbe essere il primo solenne impegno dell’azienda.
Il Cdr del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Martedì 26 Febbraio, 2013
I giornalisti del Corriere della Sera, rappresentati dal Comitato di redazione, danno oggi l’ennesima prova di responsabilità e di spirito di servizio nei confronti dei lettori consentendo l’uscita del giornale che state leggendo, in un momento decisivo per il futuro del nostro Paese. È lo stesso atteggiamento che il Cdr ha tenuto lo scorso 12 febbraio, quando il Papa annunciò le dimissioni.
Purtroppo i vertici aziendali finora si sono mossi con una logica diversa, conflittuale. Prima, l’11 febbraio, annunciando un piano di tagli forsennati (800 esuberi, 640 dei quali in Italia) e la vendita della sede storica del Corriere in via Solferino 28 a Milano. Poi, nel corso della scorsa settimana, invitando il Cdr a un incontro previsto per il 28 febbraio per comunicare l’intenzione, stando alle indiscrezioni non smentite, di tagliare 100-110 giornalisti dal Corriere della Sera, azzerando, inoltre, voci collaterali, ma consistenti, della retribuzione. L’incontro promosso dall’azienda contrasta con gli impegni sottoscritti con il Cdr nell’accordo del 6 dicembre 2012 su innovazione e risparmi. In quel testo «le parti prendevano atto della necessità di valutare con attenzione le prospettive economiche del Corriere della Sera alla luce della prima trimestrale dell’anno 2013 e delle prime evidenze di bilancio 2012». Ciò significa che l’azienda vuole forzare indebitamente l’agenda del confronto. In parallelo si susseguono dichiarazioni pubbliche rilasciate dall’amministratore delegato Pietro Scott Jovane che hanno solo aumentato la tensione in tutto il gruppo Rcs.
Il Cdr, invece, da mesi è pronto a discutere del rilancio del Corriere e, ancora una volta, ribadisce che per farlo occorrono tre cose: risorse finanziarie, nuove idee editoriali, nuove iniziative di marketing. Tradotto significa che gli azionisti sono chiamati a sottoscrivere un adeguato aumento di capitale; che l’azienda, lavorando in stretto contatto con la direzione editoriale, deve indicare quali sono le linee di sviluppo sul digitale e sulle nuove frontiere dell’informazione; che serve un piano preciso di investimenti mirati e di soluzioni per aumentare i ricavi del gruppo, sciogliendo, per esempio, il nodo dell’informazione su Internet a pagamento.
Per il momento non si è nemmeno cominciato a discutere di tutto ciò, mentre si avvicina il Consiglio di amministrazione che dovrà approvare in via definitiva il piano industriale presentato dall’amministratore delegato e il relativo piano finanziario.
Il Cdr ha cominciato una campagna di informazione sui punti deboli del piano e sugli errori di gestione del gruppo, sostenendo, tra l’altro, come l’attenzione sia focalizzata solo sul taglio del costo del lavoro. La campagna continuerà anche nei prossimi giorni.
Ma ora tocca all’azienda rispondere a tono, evitando forzature, rivedendo radicalmente il piano, cancellando l’impostazione basata solo sui tagli. Se questo non accadrà il Comitato di redazione e i giornalisti del Corriere trarranno le necessarie conseguenze.
Il Comitato di redazione del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Mercoledì 6 Marzo, 2013
IL CASO RECOLETOS
La prossima riunione del Consiglio di amministrazione di Rcs Media Group è fissata per l’8 marzo. In quella occasione i consiglieri saranno chiamati a discutere, tra l’altro, di aumento di capitale, indebitamento ed equilibri finanziari. Il Comitato di redazione, con l’aiuto dei giornalisti del Corriere della Sera, ritiene utile raccontare alle lettrici e ai lettori l’operazione Recoletos, cioè la storia dell’acquisizione che ha portato l’indebitamento di Rcs Media Group a circa 880 milioni di euro. Una montagna di debiti che rischia di soffocare ogni piano di rilancio e che, dunque, rende urgente e indifferibile un adeguato aumento di capitale.
Fino al 2006 il gruppo Rcs era una società in attivo, con un utile netto di 219 milioni e indebitamento praticamente zero. È in quel momento che prende forma il progetto di acquisire il gruppo spagnolo Recoletos, che pure non sembrava certo una «magnifica preda». La società spagnola era controllata dall’inglese Pearson, (casa editrice del Financial Times) che, già nel dicembre 2004 era in cerca di compratori. Ma Recoletos rappresentava un’opportunità per una parte della finanza iberica e italiana. L’idea era di rilevare un’azienda con 272 milioni di euro di debiti, rifarle il «make up» e rivenderla a qualche gruppo in salute realizzando una grossa plusvalenza.
In prima battuta Recoletos fu comprata dalla finanziaria Retos Cartera, il cui azionariato era così composto: il fondo di private equity americano Providence (25,5%); Financial Retos Partners (23,18%); Solter Investments (12,5%); Mercapital (7,5%); Investindustrial (5%) di Andrea Bonomi (ora consigliere di amministrazione Rcs); KutXa (5%); Caja Navarra (5%); Sociedad de administracion de valores immobiliarios (2,32%) e il gruppo bancario Banesto (2%). Un’altra quota, pari al 12% circa del capitale, era in mano al finanziere Jaime Castellanos (presidente di Lazard Spagna) e a Joaquin Guell, allora direttore finanziario di Recoletos e oggi vicepresidente di Lazard Spagna.
Un rapporto della European Equity Research del gruppo Santander (15 dicembre 2004) significativamente intitolato «Bye Bye Recoletos», che recava in copertina l’indicazione «Accept Bid» («Accettare l’offerta»), segnalava che il prezzo pagato dal veicolo di investimento Retos Cartera, 941 milioni di euro, implicava già un rialzo del 19% rispetto ai valori di mercato precedenti. Il documento, inoltre, suggeriva di accettare l’offerta di Retos Cartera, poiché non c’erano «offerte alternative». Infine, il rapporto definiva Recoletos una società «potenzialmente illiquida». Perché allora Retos Cartera voleva acquisirla? Evidentemente l’obiettivo era rivenderla con una plusvalenza. Retos Cartera comprò a fine 2004 per 743 milioni di euro il 79% di Recoletos (941 il valore presunto del 100%), quindi la maggioranza assoluta del gruppo spagnolo, che Rcs acquisirà nel 2007 a 1,1 miliardi per il 100% con un perimetro aziendale ridotto (non c’è la testata «free press» Què). La Rcs, dunque, con una scelta discutibile, versa 1,1 miliardi per acquistare il 100% di una società, quando per il controllo naturalmente basta il 51%. Già nel 2003 Rcs aveva deciso di aumentare la quota nel quotidiano El Mundo (in cui era presente dal 1999) salendo dal 52% all’82%, grazie all’acquisto di un ulteriore 30% del capitale dal finanziere Jaime Castellanos, pagando un prezzo molto più alto rispetto a quello sostenuto dallo stesso Castellanos. L’advisor di Castellanos fu la finanziaria Lazard Italia, guidata da Gerardo Braggiotti, ex direttore di Mediobanca. Castellanos e Braggiotti, due figure che ritroveremo nell’operazione Recoletos. (La storia continua nel prossimo comunicato).
Il Comitato di redazione del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Giovedì 7 Marzo, 2013
IL CASO RECOLETOS/2
Il Comitato di redazione, con l’aiuto dei giornalisti del Corriere della Sera, prosegue il racconto del caso Recoletos, cioè dell’acquisizione compiuta da Rcs nel 2007: causa fondamentale dell’indebitamento del gruppo, oggi pari a circa 880 milioni di euro. Ieri abbiamo visto come il gruppo Recoletos fosse stato acquistato in prima battuta dalla finanziaria Retos Cartera. Dopo essere stata acquisita da Retos Cartera, la società Recoletos (editrice tra l’altro del quotidiano economico Expansion e del quotidiano sportivo Marca) venne tolta dal listino spagnolo (quindi diventò non più scalabile) e di fatto messa sul mercato, probabilmente destinata a un compratore già individuato. Il presidente di Recoletos, Jaime Castellanos, aveva anche una forte partecipazione in Retos Cartera, era presidente di Lazard Spagna e all’epoca era già cognato di Emilio Botin, presidente del Banco Santander. Botin, a sua volta, intratteneva ottimi rapporti con Luca Cordero di Montezemolo, in quel periodo presidente della Fiat e dunque secondo azionista del patto di sindacato che controlla il gruppo Rcs. Santander, sia detto per inciso, era presente su molti fronti italiani: sponsorizzava, per esempio la Ferrari, la casa di Maranello presieduta da Montezemolo. Santander, tra l’altro, aveva acquisito Antonveneta e poi l’aveva rivenduta al Monte dei Paschi di Siena, spuntando un’ingente plusvalenza. Nel primo passaggio di mano di Recoletos ebbe un ruolo anche la banca Banesto (azionista di Retos Cartera), presieduta da Ana Patricia Botin, figlia del presidente del Santander e nipote acquisita di Castellanos, nonché (fino all’aprile 2011) consigliere di Generali, azionista del patto Rcs.
Ufficialmente il dossier Recoletos arrivò nel 2006 sul tavolo del consiglio di amministrazione di Rcs. L’allora amministratore delegato Vittorio Colao giudicò l’operazione troppo rischiosa. Lasciò il suo posto nell’estate del 2006 e venne sostituito da Antonello Perricone, ex amministratore delegato de La Stampa (controllata dal gruppo Fiat). Da quel momento l’interesse di Rcs per Recoletos diventò altissimo. Perricone era appoggiato da alcuni azionisti del patto di sindacato; gli altri seguirono. Perricone era affiancato dal direttore di Rcs Quotidiani Giorgio Valerio, dal gennaio 2004 amministratore delegato di Unedisa, controllata spagnola di Rcs, cui fa capo il quotidiano El Mundo.
Rcs per l’operazione si avvalse di due advisor: Mediobanca, cioè il maggior azionista di Rcs, e la Banca Leonardo, guidata da Braggiotti, che nel 2004 era stato advisor dell’amico e collega Castellanos nell’operazione di acquisizione di Recoletos dal gruppo inglese Pearson.
Nell’aprile 2007 Rcs completò l’acquisizione di Recoletos, attraverso la controllata Unedisa, e rese nota la somma della transazione: 1,1 miliardi di euro versati a Castellanos e soci, nonostante Recoletos avesse un fatturato 2006 pari a soli 304 milioni di euro.
Nel giugno 2008 la Consob intervenne per punire, con una sanzione da 200 mila euro, la mancata trasparenza dell’affare Recoletos. In particolare la Consob contestò ai manager di Rcs di aver "avuto contatti con la controparte". (La storia continua nel prossimo comunicato)
Il Comitato di redazione
del «Corriere della Sera»
COMUNICATO SINDACALE–
Venerdì 8 Marzo, 2013
IL CASO RECOLETOS/3
Il Comitato di redazione, con l’appoggio dei giornalisti del Corriere della Sera, conclude oggi il racconto del «caso Recoletos». Le precedenti puntate sono state pubblicate mercoledì 6 marzo e ieri, giovedì 7 marzo. Abbiamo visto come l’acquisizione della casa editrice spagnola (cui facevano capo tra l’altro il quotidiano economico Expansion e il quotidiano sportivo Marca) sia stata la causa fondamentale dell’aumento dei debiti di Rcs MediaGroup. Nell’aprile 2007 Rcs comunicò la cifra dell’operazione di acquisto: 1,1 miliardi di euro. L’indebitamento del gruppo, fino a quel momento, vicino allo zero minò l’equilibrio dei conti. Oggi la casella debiti pesa per 880 milioni nel bilancio Rcs, condizionando in maniera pesante i piani di rilancio e, dunque, imponendo la necessità di ricapitalizzare la società.
Certo, in quegli anni la Spagna veniva considerata un Paese rampante, pieno di buone occasioni di investimento. Ma questo discorso non valeva per Recoletos. Un rapporto di Deutsche Bank (Media Publishing Research) datato 8 febbraio 2007 qualificava così i rischi per Rcs dell’operazione Recoletos: «Investimenti pubblicitari più deboli delle previsioni attuali: un declino superiore al previsto della redditività; crescita dei costi del lavoro; sovrapprezzo nell’operazione di acquisizione e fusione». L’operazione appariva problematica perché, secondo Deutsche Bank, il prezzo di 1,1 miliardi era comunque spropositato. Gli analisti della banca tedesca sottolineavano: le «very limited financial disclosures for Recoletos», cioè la scarsa informazione finanziaria offerta dalla società spagnola. Inoltre Deutsche Bank rivelava che all’epoca Rcs aveva una «credit facility» per 700 milioni: soldi che sono stati bruciati per comprare una società, come quella spagnola, con un patrimonio netto di 35 milioni e debiti per 272 milioni.
Ma non basta, il gruppo Recoletos, integrato nelle altre attività di Rcs in Spagna, ha provocato svalutazioni e perdite per centinaia di milioni di euro. Di recente, il 12 febbraio 2013 Guido Roberto Vitale, già presidente di Rcs MediaGroup, ha dichiarato all’agenzia di stampa Adnkronos che i soci di Rcs MediaGroup hanno «sicuramente delle responsabilità per la situazione che si è determinata nella società, che sta per varare un piano industriale che prevede 800 esuberi, la cessione o la chiusura di dieci periodici e la vendita della sede di via Solferino, a Milano». (Fine)
Il Comitato di redazione del «Corriere della Sera»
COMUNICATO SINDACALE–
Martedì 19 Marzo, 2013
Care lettrici e cari lettori,
domani e dopodomani il Corriere della Sera non sarà in edicola, il sito online non sarà aggiornato oggi e domani, e non usciranno tutti gli inserti settimanali.
I giornalisti del Corriere con questi scioperi respingono nettamente il piano di ristrutturazione presentato ieri dalla direzione aziendale che prevede una riduzione dell’organico di 110 giornalisti su un totale di 355, il taglio di parti rilevanti delle retribuzioni effettive, la possibile vendita di sedi e riduzioni di pagine. Meno giornalisti, meno risorse significano semplicemente un Corriere meno autorevole e meno autonomo. Il piano dell’azienda di fatto sfigura il primo quotidiano italiano (stando agli ultimi dati di diffusione) e appare addirittura suicida, visto che il Corriere tuttora presenta i conti in attivo e solo qualche giorno fa ha assunto due giornalisti.
Il Comitato di redazione ha sempre accettato di discutere con l’azienda su come razionalizzare i costi e, soprattutto, su come aumentare i ricavi. Quello presentato ieri non è un piano di ristrutturazione, ma semplicemente un grossolano e inaccettabile intervento che mira alla distruzione del Corriere della Sera.
Il Cdr continuerà a denunciare come alcune politiche aziendali (ad esempio l’acquisto del gruppo editoriale spagnolo Recoletos, che ha causato centinaia di milioni di debiti) abbiano portato all’attuale situazione della Rcs MediaGroup. Senza quelle scelte il gruppo avrebbe le risorse necessarie per affrontare la crisi.
Il difficile momento che attraversa il settore dell’editoria richiede azionisti e manager all’altezza di un giornale come il Corriere della Sera.
Il Cdr
COMUNICATO SINDACALE–
Mercoledì 27 Marzo, 2013
Tre domande al Cda e agli azionisti
Il Corriere la settimana scorsa è stato assente dalle edicole per due giorni, a causa dello sciopero dei giornalisti: una forma di protesta necessaria per rispondere all’inaccettabile piano industriale formalizzato dall’azienda. Il piano prevede il taglio di 800 lavoratori in tutto il gruppo Rcs su circa 5 mila dipendenti. Per il Corriere è stato annunciato il taglio di 110 giornalisti su una pianta organica di 355. Numeri che hanno creato un clima di tensione che ha pochi precedenti nella storia del Corriere. Numeri sui quali è praticamente impossibile imbastire un qualsiasi ragionamento economico. Per la settimana prossima, dopo gli scioperi, l’azienda ha riconvocato il comitato di redazione, accettando di riaprire il negoziato sulla base dell’analisi del bilancio 2012.
Oggi si riunisce il consiglio di amministrazione di Rcs MediaGroup per approvare il piano industriale presentato dall’amministratore delegato. Il Comitato di redazione rivolge tre domande agli azionisti e agli amministratori:
l) Rcs Mediagroup è in una situazione debitoria gravissima e ha chiuso i conti in passivo nel 2012, in gran parte a causa delle svalutazioni collegate al cattivo esito dell’investimento nel gruppo editoriale spagnolo Recoletos, avvenuto nel 2007. Viceversa, il Corriere della sera chiude da anni i conti in attivo e così sarà per quelli del 2012. Siete sicuri di volervi assumere la responsabilità storica di smantellare questo patrimonio unico dell’informazione, della cultura e anche dell’industria italiana?
2) Il Corriere e il gruppo Rcs dispongono di potenzialità che devono essere valorizzate. Ma la parte del piano basata sui tagli ha eclissato, o meglio cannibalizzato, il confronto che pure era iniziato sullo sviluppo, a cominciare dalle attività sul digitale. Non pensate che se non si pone innanzitutto il problema di come aumentare i ricavi nessuna azienda abbia un futuro? E allora perché, anziché parlare di tagli, non date la precedenza ai progetti che puntano a sviluppare il business sulle nuove piattaforme digitali (sito web, tablet, smartphone)? Perché non vi concentrate sui nodi di fondo del cambiamento strutturale che interessano tutto il mondo dell’editoria, e quindi anche il Corriere? Per esempio: che cosa si può offrire a pagamento sul web e sulle altre piattaforme? Come si può contrastare la concorrenza di Google?
3) Il Cdr e l’azienda hanno chiuso un accordo il 6 dicembre 2012 che tiene insieme innovazione e risparmi. Dopo quell’intesa ci saremmo aspettati una frenetica attività di ammodernamento del giornale, di spumeggiante integrazione tra carta e online. Perché, nonostante la disponibilità dei giornalisti ad affrontare la sfida dell’innovazione, tutto si è bloccato?
Il Comitato di redazione
del Corriere della Sera
COMUNICATO SINDACALE–
Lunedì 8 Aprile, 2013
Il mese di aprile 2013 per la nostra azienda è diventato un crocevia senza semaforo in cui c’è il rischio che forze contrapposte — parti sociali, management, azionisti, banche — cozzino tra loro decretando il drammatico ripetersi di una procedura di amministrazione controllata o concordato preventivo, entrambe anticamera del possibile fallimento.
Tutte le parti in causa devono agire con la massima responsabilità:
— gli azionisti ricordandosi che al di là della crisi del settore hanno avallato scelte non sempre trasparenti che hanno squilibrato fortemente la parte finanziaria della società;
— le banche che hanno finanziato l’acquisizione di Recoletos senza fare i dovuti accertamenti sulla bontà dell’investimento e che oggi fanno la voce grossa per rifinanziare il debito facendo balenare tra l’altro la vendita dell’immobile di Via Solferino-San Marco, dimenticando che quella è la casa di tutti noi che ci lavoriamo e che da lì non ci manderanno via neanche con i carri armati;
- il management a cui chiediamo di evitare di utilizzare la «tempesta perfetta» per saldare i conti della storia sindacale di questo gruppo e di ragionare non solo sui tagli per rincorrere la crisi e gli errori dei loro predecessori, impegnandosi a superare il gravissimo ritardo rispetto a quale modello di informazione possa oggi incontrare il gradimento dei nostri lettori, sia attraverso i nuovi mezzi multimediali sia con la carta stampata, che al termine del piano triennale varrà ancora il 75% dei ricavi.
Nel mese di dicembre 2012 i poligrafici della Quotidiani hanno firmato un accordo di riorganizzazione che prevede 58 possibili prepensionamenti entro luglio 2014, inoltre in questi giorni stanno rinegoziando la rimodulazione dell’uso del lavoro straordinario che potrà portare benefici fino a 4 milioni di euro attraverso nuove procedure organizzative che si svilupperanno anch’esse entro il luglio 2014.
Nel mese di marzo 2013 i giornalisti della Gazzetta dello Sport hanno firmato un accordo di riorganizzazione che prevede il possibile prepensionamento degli aventi i requisiti di anzianità nell’arco di piano, inoltre hanno concordato una serie di interventi organizzativi e economici che porterà ulteriori benefici in taglio dei costi fino a 4 milioni di euro annui.
Con la redazione del Corriere della Sera è in questo momento in corso una trattativa che vede lontanissime le controparti. Le richieste aziendali partono da un numero esorbitante di tagli (110), richieste che dimostrano la scarsa conoscenza di come si fa un giornale prendendo a riferimento il Corriere attuale, e che prevedono tra le altre cose l’azzeramento degli accordi di secondo livello e la rimessa in discussione dell’accordo firmato il 6 dicembre 2012.
Comprendiamo e capiamo la complessità e difficoltà della trattativa, ma non può sfuggire a nessuno che l’esito della stessa determinerà quale strada prenderanno azionisti e banche creditrici. Chiediamo pertanto alla redazione, al cdr e al management di fare una profonda riflessione su questo punto: un eventuale mancato accordo trascinerebbe tutti gli altri lavoratori di questa azienda su una strada pericolosissima dagli orizzonti bui che metterebbe a rischio il futuro di tutti.
Crediamo che con buona volontà, impegno e l’abbandono di posizioni intransigenti, si possa trovare il giusto equilibrio tra le parti. Vogliamo ricordare che nell’ambito di un accordo triennale l’utilizzo del tempo in uno schema di scambi offre opportunità di trovare mediazioni possibili, e soprattutto che un accordo equo parte dal presupposto che entrambe le parti arrivino alla firma insoddisfatte.
Milano, 8 aprile 2013
RSU RCS Divisione Quotidiani, Milano