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 2013  febbraio 28 Giovedì calendario

TWITTER A WALL STREET VARRA’ DIECI MILIARDI

Presto al rintocco della campanella di Wall Street farà seguito un coro di cinguettii. Ormai sembra certo, Twitter appare prossimo allo sbarco in Borsa, secondo quanto confermato da fonti vicine agli ambienti di Silicon Valley convinte che l’approdo, con tutta probabilità sul listino tecnologico del Nasdaq, avverrà entro quest’anno o al più tardi nei primi mesi del 2014. Del resto le voci sul grande passo da parte del social network si rincorrono da tempo senza trovare mai smentite ufficiose o ufficiali. In caso fossero rispettati i tempi brevi, si tratterebbe dell’offerta pubblica iniziale più ricca e autorevole del 2013, dato il boom che Twitter sta registrando con oltre 500 milioni di utenti in tutto il mondo. Intanto, in attesa dell’annuncio, a Wall Street divampa il giallo, o meglio un doppio giallo. Il primo è sul reale valore del social network. La cifra tonda di dieci miliardi di dollari convince in prospettiva, come spiega Dennis Berman del Wall Street Journal, che ai dubbi iniziali su una sovrastima del valore del social network ha compiuto una riflessione dopo la notte degli Oscar di cui Twitter è stato il grande protagonista mediatico: «Era come se la televisione fosse diventata l’umile servitore del social network». Da un punto di vista finanziario, con le ultime operazioni perfezionate dal presidente Jack Dorsey e dall’amministratore delegato Dick Costolo, il valore dell’azienda - i cui dati non devono essere obbligatoriamente pubblicati visto che non si tratta di società quotata - è salito di molto. Alcuni parlano di nove miliardi di dollari, altri si sono azzardati a spingersi alla cifra tonda. Taluni, anche vicini ai vertici di San Francisco, si sono spinti oltre sostenendo che Twitter potrebbe arrivare ai livelli della più grande macchina da soldi del comparto Internet, ovvero Google. Il motivo è da ricercare nell’anagrafe, visto che il social network ha appena sette anni, ma soprattutto è entrata da soli tre nel business del «moneymaking» investendo in se stesso, ovvero vendendo «cinguettii sponsorizzati». E con risultati decisamente soddisfacenti: secondo l’osservatorio eMarketer i ricavi stimati per il 2013 toccheranno gli 808 milioni di dollari (erano circa 140 milioni nel 2010 e 305 lo scorso anno). Come spiega il Journal, quindi, qualora i fondamentali non giustificassero per ora i 10 miliardi di dollari di valore societario, tra poco le cose potrebbero cambiare, anche perché l’azienda ha margini di crescita ancora molto ampi fuori dai confini nazionali, visto che oltre un quarto dei suoi utenti risiede negli Stati Uniti. L’altro giallo riguarda il tipo di offerta pubblica iniziale per cui si opterà, visto che la società ha facoltà di scegliere anche per «l’Ipo segreta». La legge «Jumpstart Our Business Startups Act», approvata lo scorso anno, permette alle aziende con un giro d’affari inferiore al miliardo di dollari l’anno di agire in via confidenziale, ovvero dare notizia dell’Ipo solo a tre stettimanae dalla data ufficialmente fissata per l’Ipo. Un metodo molto quotato a Silicon Valley perchè riduce gli aggravi finanziari e procedurali sulle quotazioni delle piccole imprese. Dall’entrata in vigore, il 59% delle società titolate, soprattutto hi-tech, ha scelto l’Ipo «segreta» Del resto Silicon Valley non è nuova a opzioni «esotiche» in termini di Ipo, basti ricordare quella all’olandese, con offerta al ribasso, scelta da Google nel 2004. Si tratta di aspetti su cui la comunità di investitori ha gli occhi puntati vista le deludente performance di Facebook dopo il suo debutto in Borsa dove il valore del suo titolo ha perso circa il 45% forse proprio per una sovrastima del prezzo scelto per l’azione. Un flop che brucia sulla pelle di Silicon Valley, ma la fucina americana dell’hi-tech ci riprova e con un altro dei suoi gioielli, convinta che i cinguettii saranno capaci di incantare anche i falchi di Wall Street.