Francesco Spini, La Stampa 28/2/2013, 28 febbraio 2013
PRONTA LA MACROREGIONE" MA IL SOGNO DELLA LEGA RISCHIA DI NON REALIZZARSI
Dai servizi sociali ai trasporti pubblici locali, dall’istruzione alle centrali uniche per gli acquisti. E ancora: energia elettrica, gestione centralizzata del Po, senza dimenticare - in un partito con un passato ricco di «batelade» - la programmazione della navigazione dei laghi. Se mai nascerà, eccole competenze e ambizioni - almeno nelle idee del Carroccio - della Macroregione del Nord. Ovvero della promessa numero uno di Roberto Maroni nella campagna elettorale che ha portato una Lega scarica di voti come mai a conquistare agevolmente il 35esimo piano di Palazzo Lombardia. Promessa che include la grande hit acchiappavoti: tenere a casa il 75% delle tasse raccolte sul territorio. Le quattro regioni firmatarie del famoso patto di Sirmione, quello che il 16 febbraio - in piena campagna elettorale - mise d’accordo il futuro governatore lombardo con i colleghi di Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia (l’unico del Pdl e con la poltrona traballante, visto che si vota in primavera), se vogliono tener fede alle promesse dovranno mettersi al lavoro. Il primo passo - stando al documento sottoscritto sul Garda - sarà l’elaborazione di un «documento d’iniziativa» con «obiettivi concreti nei settori» tipo «competitività e innovazione», «ricerca sanitaria», e ancora «acqua, energia e ambiente», «tutela del patrimonio culturale e paesaggistico», e infine «infrastrutture, accessibilità, comunicazione e trasporti». L’idea è quella di creare «più efficienza dall’unione di efficienze»: un quadro operativo sovraregionale comune, con una governance multi livello per sfruttare meglio anche le opportunità offerte dall’Unione Europea. Per fare che cosa? Abbassare le tasse e risparmiare agendo sulle economie di scala.
L’idea di queste zone vaste si sviluppa in un rapporto che nel 2009 l’allora commissario europeo per la politica regionale, Pawel Samecki, ha scritto sulle «Strategie macro-regionali nell’Unione Europea». Sua la definizione della macroregione, ovvero «un’area che include un territorio di un numero di differenti Paesi o Regioni accomunati da una o più caratteristiche o sfide». Lui, ai tempi, pensava alla macroregione del Baltico e non della Padania. Che vuole reagire ai tagli e alla crisi, mettendo i servizi a fattor comune. Nei trasporti, ad esempio, si immagina di creare una rete, un «lavoro di squadra interregionale, affiancato da un regime di fatto monopolista e centralista».
Collaborazione a tutto campo, a cominciare, si diceva, dai servizi sociali per «creare un nuovo modello senza dissipare risorse», si legge sulla documentazione leghista. Ma per uno come Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia e grande sostenitore delle macroregioni, non è il modello giusto: «Il discorso della riorganizzazione del Nord Italia in un soggetto politico autonomo è di per sé valido. Se però diventa introverso, quindi costruito all’insegna del localismo, diventa necessariamente antieuropeo e fondamentalmente secessionista». Lui preferisce invece «l’Europa delle grandi aree metropolitane, che da noi è l’area padana, con i poli di Milano e Torino. Invece di ispirarsi ai confini territoriali bisogna concentrarsi ai confini funzionali della metropoli. Questo è il futuro». Anche nel mondo delle università c’è più di un dubbio. Dalla Bocconi, Fabrizio Pezzani, ordinario di Programmazione e controllo delle pubbliche amministrazioni, ha più di un dubbio. «Così come appare sembra più che altro un progetto che risponde alla crisi con una balcanizzazione del Paese che non risolve i problemi della crisi, ma li complica». Meglio, aggiunge, «andare per gradi, cominciando col ripensare i meccanismi del patto di stabilità». Gianfranco Cerea, professore di Scienza delle Finanze all’Università di Trento, contesta la fattibilità del progetto che fa perno sulla trattenuta nei confini padani del 75% delle tasse. «Senza un contestuale ampliamento delle competenze per gli enti locali - dice -, vorrebbe dire creare un disavanzo pubblico da 90 miliardi. Anche al di là di questo aspetto, il 25% restante non basta per pagare i servizi generali dello Stato». Non solo. «Parliamo delle regioni più ricche del Paese, che potrebbero vedersi alleggerire il carico fiscale. Ma al Sud, per contro, si dimezzerebbero i servizi. È davvero quello che vogliamo?».