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 2013  febbraio 28 Giovedì calendario

TIGER, RORY E LA GUERRA DEL PUTTER “VIETATE QUEL COLPO, ROVINA IL GOLF ”

[Woods-McIlroy uniti contro i nuovi materiali] –
«È stata appena aperta una lattina piena di vermi» scandisce Rory McIlroy, col suo stile essenziale nordirlandese, working class per niente rinnegata dai milioni di dollari e dal trono di numero del mondo del golf. «Credo solo che l’arte del putt sia nell’oscillazione del bastone e nel controllo dei nervi» gli viene incontro Tiger Woods, rivale di McIlroy ma alleato in questo braccio di ferro a colpi di norme e veti. La battaglia del “belly putter”, si potrebbe chiamare. Ma attorno a questo bastone allungato, che molti professionisti affondano su addomi non esattamente scolpiti a tartaruga, si sta combattendo per difendere la purezza centenaria del gesto del golf. Uno scontro tra mercato e tradizione che il tennis, per esempio, non ha avuto la forza di affrontare, permettendo alle nuove racchette di cancellare i «gesti bianchi». Ma riuscirà il golf ad andare fino in fondo, quando il bastone gigante è ormai in mano a vincitori di major e tesserati del circolo dietro casa?
«Driver for show, putt for dough», dicono sui green di tutto il mondo. Il driver, il bastone del primo colpo, fa spettacolo, ma i soldi, quelli li fai sul green, con il putt per imbucare. E per imbucare, dalla fine degli anni Novanta, cominciano a spopolare i belly putter, soprattutto di Paul Azinger sul circuito americano. Sono più lunghi, dai 104 ai 111 centimetri contro gli 81-91 del putter tradizionale. Il campione lo afferra, lo spinge sopra l’addome (belly significa pancia), crea un blocco stabile che riduce le vibrazioni dei polsi, delle spalle e tutti gli stimoli nervosi di chi si gioca duecentomila dollari con un colpo, o un birra con un amico. «Anchoring», viene chiamata la nuova tecnica. Il gesto classico arrivato fino a noi dopo un viaggio di seicento anni si snatura, ognuno interpreta il putt a modo suo. C’è chi difende la tradizione: due nomi a caso, Rory McIlroy e Tiger Woods. C’è invece chi vince: affondano lo shaft, l’impugnatura, nell’addome tre dei campioni degli ultimi cinque Major, Keegan Bradley, Webb Simpson ed Ernie Els, che conquista il British Open e dice: «Finché sarà legale, continuerò a barare. Come tutti ». Brutta a vedersi, ma terribilmente efficace la nuova tecnica. E chi vigila sulla purezza del movimento alla fine prende posizione, perché rimanere impassibili non si può. Si muovono i santuari che dettano le regole: la United States Golf Association e la R&A, che rappresenta 30 milioni di giocatori e 128 nazioni nella storica sede di St Andrews, in Scozia, vietano lo scorso novembre l’anchoring, a partire dal 1° gennaio 2016. «Abbiamo paura che questi colpi minaccino di snaturare il carattere del nostro sport» spiegano a St Andrews. Non vengono banditi i nuovi putter - compromesso col mercato? - ma la tecnica di attaccare una parte del corpo al bastone sì. E quando tutto sembra ormai deciso, arriva il colpo di coda del potentissimo circuito americano, il Pga Tour, che attraverso il suo commissioner Tim Finchem si oppone al divieto.
Ecco quindi entrare in scena i campioni, in un curioso impasto tra social media e difesa delle tradizioni. «Mettiamo tutti sullo stesso livello nel 2016» grida McIlroy su twitter, aggiungendo una foto emblematica: lui sulla spiaggia, all’età di due anni. «La prima ed unica volta che ho usato un belly putter!». Tiger, più riflessivo, si chiede: «Ma perché se usiamo lo swing per gli altri tredici bastoni, dovremmo attaccare al corpo solo il putter? È contro la tradizione del nostro gioco». E molti, non solo Tiger e Rory, non vogliono trovarsi tra qualche anno in uno sport irriconoscibile.