Roberto D’Alimonte e Lorenzo De Sio, Riccardo Ferrazza, Il Sole 24 Ore 27/2/2013, 27 febbraio 2013
GRILLO PRENDE VOTI DA TUTTI I PARTITI [ A
Torino M5S pesca da Idv, sinistra arcobaleno e Pd, ma anche dalla Lega - Trasversale a Palermo] –
Grillo è il primo partito alla Camera. La distribuzione geografica del successo del Movimento 5 Stelle mostra coordinate inedite. A conferma di un tratto fondamentale di queste elezioni, ci troviamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma, che mette in crisi allineamenti territoriali consolidati. E a questo punto emerge il dubbio che non solo gli allineamenti territoriali, ma anche quelli politici e sociali siano in fase di cambiamento. Da dove viene quindi il consenso di Grillo? Quali sono i ceti sociali che lo hanno premiato? Quali le loro scelte politiche?
È evidente che rispondere a queste domande richiede riflessioni e analisi meditate che riguardano non solo il cambiamento delle scelte degli italiani, ma anche la crisi di fiducia nell’intero sistema della politica. Quello che tuttavia possiamo fare in prima battuta è rispondere a una domanda semplice: da quali partiti provengono i voti al Movimento 5 Stelle? Quali hanno patito di più la concorrenza di Grillo?
Per iniziare a rispondere a questa domanda abbiamo effettuato alcune analisi di flussi, rispettivamente per le città di Torino e Palermo. Piemonte e Sicilia (con il Veneto) sono le tre grandi regioni italiane dove Grillo è il primo partito in quasi tutte le province. Tuttavia al tempo stesso si tratta di due casi estremamente diversi tra loro, e perciò stimolanti: Torino città industriale e postindustriale, con una forte tradizione politica di sinistra; Palermo città dalla realtà sociale complessa, e tradizionalmente dominata dal centrodestra. Il grafico riporta le matrici di flusso delle due città, calcolate su dati di sezione utilizzando il modello di Goodman. Ogni colonna si riferisce all’elettorato 2008 di un singolo partito: i valori sulle varie righe esprimono quanti elettori di quel partito si sono spostati, nel 2013, sui vari partiti o coalizioni presenti (per brevità abbiamo aggregato i partiti della stessa coalizione 2013). Ovviamente ci concentriamo sulla riga del Movimento 5 Stelle.
Iniziamo da Torino. In questo caso il dato fondamentale è che Grillo ha colpito in modo particolarmente duro la sinistra. Sia per la Sinistra Arcobaleno che per l’Idv i tassi di passaggio verso Grillo sono molto alti: circa la metà degli elettori di questi due partiti (circa il 47% per Sa, circa il 63% per l’Idv, ma con un sensibile margine di errore) sarebbe passata a Grillo nel 2013. Ma a colpire è anche il dato del Pd: viene stimato circa un 20% di elettori che si spostano verso Grillo. Un dato che, date le dimensioni notevoli del Pd, appare determinante per il successo dell’M5S a Torino. In questo senso appare un netto contrasto con il centrodestra. Qui a soffrire Grillo è la Lega (perdendo circa un terzo dei propri elettori), ma molto meno il Pdl, che perde solo circa un elettore su dieci verso il M5S. Di conseguenza il quadro di Torino è quello di un consenso a Grillo che proviene in misura sensibilmente maggiore dal centrosinistra, e che ha penalizzato il centrodestra in misura inferiore.
Il caso di Palermo appare invece decisamente diverso. Se si eccettua infatti l’elettorato della Sinistra Arcobaleno (ma, di nuovo, le stime per i partiti più piccoli sono spesso instabili), la penetrazione di Grillo è straordinariamente trasversale: sono tutti i partiti a perdere verso il movimento del comico genovese in modo assolutamente simmetrico, con percentuali di elettorato stabilmente comprese tra il 23 e il 30%.
Due situazioni, quindi, divergenti. A testimonianza del punto di forza attuale del l’M5S, ovvero la capacità di raccogliere istanze e punti di vista estremamente eterogenei. A Torino (forse anche in relazione alle vicende della Tav) si vede apparire la matrice originaria, partecipativa e bottom-up, del movimento, che fiorisce in un contesto postindustriale caratterizzato da una tradizione di partecipazione politica. Non a caso le prime affermazioni di Grillo alle amministrative dell’anno scorso si erano verificate al Centro e al Nord, in contesti di alta tradizione civica. Viceversa a Palermo sembra manifestarsi la componente top-down del successo del grillismo, ovvero l’appello personale del leader (spesso con toni fortemente populisti), che fa leva in modo completamente trasversale sulla protesta anti-establishment (ottenendo consensi anche a destra), in contesti caratterizzati da forte disagio sociale e spesso privi di una specifica tradizione partecipativa. Si tratta delle due componenti fondamentali che hanno dato origine al successo di Grillo; e che finora hanno convissuto, seppur con alcune tensioni, senza danneggiare il movimento. È però indubbio che l’ingresso in Parlamento di una folta delegazione del Movimento 5 Stelle, con la necessità di affrontare sfide politiche complesse, potrebbe rapidamente portare a una maturazione di questa contraddizione. Di certo si tratta di un quadro da analizzare con lenti diverse da quelle del passato.
ALLA CAMERA BERSANI HA 125MILA VOTI IN PIÙ I GRILLINI ELETTI SONO 163 –
ROMA
Con i dati della circoscrizione estero che, come sempre, arrivano più tardi rispetto a quelli nazionali, si mette a fuoco la fotografia del nuovo Parlamento. Il responso non cambia rispetto allo spoglio di lunedì notte. Alla Camera il sistema elettorale garantisce al centrosinistra una maggioranza certa di 345 seggi, nonostante il margine veramente esiguo rispetto ai consensi raccolti dal centrodestra: appena 124.494 voti. Uno scarto minimo che aveva spinto il segretario del Pdl a chiedere al Viminale di non proclamare il vincitore. Al Senato, dove invece il premio viene assegnato nelle singole regioni, una maggioranza non c’è: il centrosinistra riporterà a Palazzo Madama 121 senatori (113 del Pd, 7 di Sel, uno della lista Crocetta alleata in Sicilia), la coalizione di Silvio Berlusconi 117 (99 per il Pdl). Su tutto però si impone lo tsunami grillino: il Movimento 5 Stelle irrompe nelle istituzioni nazionali con una squadra di 163 parlamentari (109 deputati, 54 senatori) grazie a percentuali che lo incoronano primo partito: alla Camera si è imposto con il 25,5%. In termini assoluti 8.689.168 elettori hanno scelto il M5S, mentre il Pdl ha perso 6,3 milioni di voti e il Pd 3,4. Il partito di Bersani ottiene il 25,4% (-7,8% rispetto al 2008) e il Pdl 21,5% (-15,9% rispetto alle ultime politiche). Drammatico il crollo della Lega: da 8,3 al 4,3 per cento. Ma il consenso regge in Lombardia dove Roberto Maroni si è imposto su Umberto Ambrosoli nella corsa per la guida della regione. Sorpresa per Fratelli d’Italia, il partitino nato da una costola del Pdl: l’1,9% basta a Giorgia Meloni per portare in Parlamento una squadra di 9 deputati (compresa l’ex ministro del Governo Berlusconi).
Al di sotto delle aspettative i numeri di Scelta civica di Mario Monti, il premier uscente che a dicembre aveva deciso a sorpresa di "salire in politica". L’effetto Professore (non candidato, in quanto senatore a vita) non c’è stato: alla Camera le tre liste (quella capitanata da Monti, Udc e Fli) sono riusciti a mettere insieme poco più del 10%, quota minima per partecipare alla distribuzione di seggi. Fuori dai radar Futuro e libertà per l’Italia: 0,4%. Gianfranco Fini, presidente della Camera uscente, non viene rieletto. Lo stesso destino capitato al suo predecessore Fausto Bertinotti. Al Senato la lista unica centrista raccoglie il 9,1% e riesce a eleggere 9 senatori, tra cui un altro ex presidente di Montecitorio: Pier Ferdinando Casini che continua così la sua esperienza in Parlamento cominciata (come per Fini) esattamente trent’anni fa anche se il suo partito sembra scomparso (1,8%).
Inequivocabile il fallimento di Rivoluzione civile. Il movimento è «finito», ha sentenziato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che era stato uno dei promotori della lista capeggiata dal magistrato in aspettativa Antonio Ingroia. Che si è fermato a un deludente 2,2% alla Camera e 1,8 al Senato a livello nazionale: numeri ben lontani da quelli necessari per entrare in Parlamento. Resta fuori così per la seconda legislatura consecutiva la sinistra radicale (dietro il Pm si erano coalizzati Prc, Pdci e Verdi) e portone sbarrato anche per l’Idv che da sola cinque anni fa aveva il 4,4% (Camera). Gli effetti del flop si sono fatti sentire subito: Antonio Di Pietro ha annunciato le sue «dimissioni irrevocabili».
Nessuna speranza per Fare per fermare il declino, il movimento di Oscar Giannino che, a un certo punto della campagna elettorale, era diventato il bersaglio di Berlusconi perché rischiava di danneggiare il Pdl al Senato nel derby lombardo con il centrosinistra. Non si potrà mai misurare ma certo la vicenda del falso master del giornalista deve aver pesato sul risultato finale: 1,1% alla Camera.
Cambia radicalmente la geografia del Parlamento. Sarà il più giovane e "rosa" nella storia della Repubblica: l’età media di deputati e senatori è di 48 anni con il 31% di presenza femminile, secondo una prima analisi di Coldiretti fatta sugli eletti. Una rivoluzione cui contribuiscono i grilli: la loro età media, considerando le due Camere, è addirittura di 37 anni. Ma anche negli altri schieramenti ci saranno molti "esordienti assoluti" della politica. Aumenta, in generale, la presenza delle donne: si passa alla Camera dal 21 al 32% e al Senato dal 19% al 30%.