Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 27/2/2013, 27 febbraio 2013
L’ETERNO QUASI LEADER SMACCHIATO DAI SUOI ERRORI
[Dalla foto di Vasto strappata ai fascisti del web dal caso Monte Paschi ai confronti negati. Quanti autogol] –
Spande sempre un po’ di malinconia Pier Luigi Bersani. Anche con il volitivo “non abbandono la nave” di ieri ha dipinto per il suo viso segnato lo sfondo di un naufragio, di una crociera finita in tragedia, di uno Schettino disorientato. E c’è sempre un “non” a bilanciare con voluta prudenza contadina anche la più netta delle sue affermazioni. Dal dadaista “abbiamo non vinto” sfornato per il trionfo grillino alle comunali di Parma di maggio 2012 al più pacato “non abbiamo vinto” formulato per il boom grillino di ieri: tutto si tiene sul filo della coerenza. Nessuna autocritica esplicita, perché è facile giocare la schedina il lunedì: “Ho letto camionate di senno di poi”, giusto per mettere le mani avanti con un po’ di sarcasmo e far dimenticare di aver additato come nemici del popolo quelli del senno “di prima”. Segue puntualmente il proposito di non fare qualcosa in futuro, cioè di non ripetere l’errore compiuto, il massimo che, nelle peste in cui s’è cacciato , Bersani può oggi concedere alla sua onestà intellettuale.
E dunque “non credo che il paese tolleri balletti di diplomazia”, ma anche “non ci si potrà chiedere di gestire per gestire”. Bersani ce l’ha con Giorgio Napolitano: stavolta non vuole farsi trascinare dal presidente della Repubblica in pasticci suicidi come il governo dei tecnici. Che è stato il peccato originale della sua non cavalcata verso la non vittoria. Storia nota: Berlusconi cacciato di sabato sera con il piazzale del Quirinale occupato da una folla urlante, il Pd pronto a fare la sua parte, il diktat di Napolitano che porta al governo in loden anziché alle elezioni.
Un anno dopo Bersani ha nuovamente pagato un prezzo alle pressioni di Napolitano, rifiutandosi persino di rispondere al telefono ad Antonio Ingroia che gli offriva un accordo elettorale: tutti voti, pochi per la verità ma preziosi, regalati. Ed è stato solo l’ultimo spreco. Prima era venuto l’addio alla foto di Vasto, perché Antonio Di Pietro era quasi quanto Ingroia inviso al Quirinale. E poi il silenzioso commiato al Pdci di Oliviero Diliberto, pronto ad allearsi con il Pd fino a quando Bersani, sondaggi alla mano, ha pensato di vincere da solo e ha chiuso i contatti anche con lui.
DICE ADESSO Bersani che “c’è stato un rifiuto della politica così come si è presentata in questi anni”, e infatti, solo che per mesi ha coordinato la campagna sui grillini fascisti del web. E per mesi, accusando Il Fatto di essere il fiancheggiatore del fascismo
di Grillo, ha rifiutato ogni dialogo con il giornale e con il suo sito web, contraddittoriamente, perché semmai sarebbe stato il modo di parlare a quel popolo stufo della vecchia politica. Ma forse c’era l’errore capitale a consigliarlo, la certezza di aver già vinto, come Achille Occhetto nel ‘94 che non si rese conto che B. gli stava mettendo in conto le stangate del governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi a cui la gioiosa macchina da guerra non aveva partecipato. E nella presunzione di non dover mettere a rischio il suo vantaggio ha rifiutato ogni faccia a faccia televisivo con gli altri leader, ha sdegnato il confronto con i milioni di telespettatori di Servizio Pubblico, considerando chissà perché il salotto di Bruno Vespa più utile dello studio di Michele Santoro. E forse per la stessa ragione si è tenuto a distanza dai luoghi simbolo della crisi italiana, da Taranto a Siena.
E poi tutti gli altri errori che adesso Bersani promette di riscattare nelle prossime settimane di “combattimento”. Una comunicazione enigmatica (“Non vi chiedo di piacervi, vi chiedo di credermi”) per un programma vago, “un po’ di questo, un po’ di quello”, una retorica quaresimale intrecciata a botte di buonumore lunare (noi siamo la lepre, smacchiamo il giaguaro), una promessa di trasparenza tradita da scatti d’ira quando la questione ha toccato il Pd: dalle minacce di querela sul caso Penati al ruggente “vi sbraniamo” per esorcizzare gli attacchi sul caso Montepaschi.
Il tutto in un partito-squadra nelle dichiarazioni, ma sempre più personale nei fatti, con i dirigenti oscurati a favore del drappello dei fidatissimi senza cariche, come i giovani Roberto Speranza e Tommaso Giuntella. Lunedì sera a Porta a Porta il Pd era rappresentato da Miguel Gotor, brillante storico e collaboratore di Bersani. Ieri sera a Ballarò parlava per il primo partito italiano il vicesindaco di Vicenza Alessandra Moretti. Dal sito del Pd non risulta che cariche abbiano i due. Anzi, non risultano proprio.