Il Post 27/2/2013, 27 febbraio 2013
CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO?
Dalle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio è venuto fuori un Parlamento senza una chiara maggioranza politica, e questo – oltre ad alimentare comprensibili preoccupazioni sul futuro dell’Italia nel breve e medio periodo – comporta una serie infinita di passaggi incerti e giuridicamente quasi inediti e sta generando discussioni tra addetti della politica, giornalisti e italiani in genere. Vediamo di capire per bene.
1. Chi ha la maggioranza in Parlamento?
Questa è facile: nessuno. Il centrosinistra – coalizione che ha ottenuto il premio previsto dalla legge elettorale – ha la maggioranza assoluta alla Camera ma il suo stesso leader, Pier Luigi Bersani, ha detto che «non ha vinto». Questo perché al Senato il PD e il centrosinistra hanno solo la maggioranza relativa, pur essendo primo partito e prima coalizione. Nemmeno alleandosi eventualmente con i montiani, ipotesi di cui si è discusso a lungo in campagna elettorale, si arriverebbe a una maggioranza assoluta in Senato.
2. Ok, quindi chi ha la maggioranza in Parlamento?
Fatti un paio di conti, ci sono solo due alleanze che possono ottenere una maggioranza assoluta alla Camera e al Senato: una formata tra PD e PdL (e, volendo, i montiani), una formata da PD e M5S. Ma parliamo di maggioranze numeriche: politicamente è tutto da vedere.
3. È necessaria la maggioranza per governare?
In teoria no: un governo appoggiato dal solo centrosinistra, o dal centrosinistra più i montiani non avrebbe la maggioranza dei voti del parlamento, ma potrebbe contare sull’astensione o sull’”appoggio esterno” di gruppi che non ne facciano parte.
4. Cosa succede adesso?
Il nuovo Parlamento è stato convocato per il 15 marzo. La nuova Camera e il nuovo Senato per prima cosa eleggeranno i loro presidenti e vicepresidenti, operazione che salvo grandi intoppi non dovrebbe richiedere più di pochi giorni. Diciamo che, prendendola larga, per il 25 marzo abbiamo fatto.
Poi spetta al presidente Napolitano convocare il vincitore delle elezioni – Bersani, per quanto azzoppato, come leader della coalizione che ha più seggi – e assegnargli l’incarico di verificare se ci sono le condizioni per formare un governo. Bersani con ogni probabilità accetterà con riserva, farà le sue consultazioni e le sue valutazioni, e poi tornerà da Napolitano per comunicargli se scioglie o no la riserva: se pensa o no di avere il voto della maggioranza del Parlamento. Torniamo alle maggioranze possibili: che sia o no Bersani a guidare questo eventuale governo, questo dovrà avere comunque il sostegno o del PD e del PdL, o del PD e del M5S.
5. Ma il M5S può non votare la fiducia e scegliere di votare le leggi caso per caso, come dice di voler fare?
Può non votare la fiducia ma ci si deve arrivare, al voto sulla fiducia. La Costituzione, infatti, stabilisce all’articolo 94 che il governo debba avere la fiducia delle camere: ovvero il voto favorevole della metà più uno. Non vale astenersi: al Senato l’astensione vale come voto contrario, i Sì devono essere di più. Non è obbligatorio, per quanto frutto di una sensata consuetudine, che il governo ottenga questo voto immediatamente dopo il giuramento: ma deve ottenerlo entro i primi 10 giorni. E il voto di fiducia è un voto di significato politico generale. Beppe Grillo ha annunciato che il M5S non voterebbe la fiducia a un governo Bersani, e se il suo movimento lo segue non ci sarà quindi una maggioranza di governo PD-M5S. Resterebbero le ipotesi di una maggioranza PD-PdL e quella di un governo di minoranza del centrosinistra.
6. I senatori del M5S non potrebbero uscire dall’aula durante il voto di fiducia, così da permettere a un governo Bersani di minoranza di insediarsi ma senza votarlo né sfiduciarlo?
Teoricamente sì. Il fatto che abbiano voglia di farlo andrebbe indagato con più attenzione: si tratta di supporre che i membri del M5S, con la loro attenzione per la trasparenza e la responsabilità, fingano di essere assenti uscendo strategicamente dall’aula ogni volta che si debba votare la fiducia al governo Bersani, per tenerlo in piedi. Prospettiva che li contraddirebbe, forse. Ma anche se fosse, potrebbe non bastare.
Perché una votazione al Senato sia valida, infatti, deve comunque rimanere in aula la metà più uno dei senatori (esclusi quelli in congedo o assenti per incarichi avuti dal Senato), altrimenti manca il numero legale e la seduta deve essere rimandata. Se il Movimento 5 Stelle decidesse di uscire dall’aula per dare modo a un governo di minoranza Bersani di ottenere la fiducia, di fatto tutto finirebbe in mano ai senatori del PdL e della Lega: se uscissero anche loro non ci sarebbe il numero legale e non ci sarebbe la fiducia. Potrebbero farlo, ma il biennio 2006-2008 insegna a diffidare sulle speranze di sopravvivenza di un governo con fondamenta così fragili.
Quindi non ci si può girare intorno: serve che al Senato ci sia una maggioranza che voti la fiducia a un governo, prima di fare discussioni “tema per tema”. Se entrambe le camere votano la fiducia a un governo, questo si insedia e poi comincia a fare il governo.
7. E non si possono proporre leggi e votarle in Parlamento, tema per tema, senza un governo?
Si può proporle, anche al primo giorno di insediamento: è il Parlamento che propone le leggi e le approva, e il governo ha solo alcuni strumenti legislativi secondari. E fino all’insediamento di un nuovo governo, il governo Monti resta in carica, dimissionario, “per il disbrigo degli affari correnti”. Ma la produzione legislativa del Parlamento prevede la presenza del governo in una serie di passaggi (calendario con i capigruppo, lavori delle commissioni, discussione in aula) con un ruolo attivo che non è negli “affari correnti” di un governo dimissionario.
Aggiungete che è abbastanza impensabile che in una condizione di ingovernabilità, senza che esista nessuna maggioranza plausibile per formare un nuovo governo, le camere siano mantenute nella loro operatività. Il nuovo presidente della Repubblica – quello attuale non può, perché è a fine mandato (ci arriviamo) – le scioglierebbe prima che siano in grado di affrontare qualunque percorso legislativo.
8. Cosa resta?
Oppure si ritorna allo scenario che lo stesso Grillo ha definito più probabile – e a quanto sembra da lui auspicato per aggiungere discredito ai partiti avversari – un “governo Monti senza Monti”. Cioè un’alleanza tra PD e PdL – e forse anche i montiani – simile a quella che ha governato il paese nell’ultimo anno, magari con l’obiettivo di fare alcune riforme prima di tornare a votare. Il PdL però ha detto che sosterrà un governo a condizione che intenda abolire l’IMU e restituire quella già pagata sulla prima casa, e Bersani per il momento ha escluso di fare un’alleanza col PdL. E lo scenario è tra l’altro considerato come quello che più degli altri gonfierebbe ulteriormente i consensi del M5S.
9. Quindi non c’è un’ipotesi di governo realistica?
Tutto può cambiare, ma allo stato attuale pare di no. In questi casi, quando ritiene che le possibilità di formare una maggioranza si siano esaurite, il presidente della Repubblica scioglie le camere e si va a nuove elezioni. C’è un ma, però.
10. Cioè?
Giorgio Napolitano si trova nel cosiddetto “semestre bianco”, cioè gli ultimi sei mesi del suo mandato, quelli in cui non può sciogliere le camere (salvo che quei sei mesi non si sovrappongano con la scadenza della legislatura). La ragione di questa norma è impedire che il presidente della Repubblica decida arbitrariamente di sciogliere le camere per rinviare l’elezione del suo successore o sbarazzarsi di un Parlamento sfavorevole a una sua ipotetica rielezione.
11. Quindi restiamo senza governo? E fino a quando?
Non restiamo senza governo perché fino all’insediamento del nuovo governo resta in carica il precedente, il governo Monti. Il mandato di Napolitano scade il 15 maggio 2013: la prima convocazione del Parlamento e dei delegati regionali allo scopo di eleggere il suo successore è stata fissata il 15 aprile. Quindi, stando così le cose, bisognerebbe aspettare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che potrebbe impiegare un solo giorno o anche diversi. Il nuovo presidente della Repubblica, una volta insediato, deciderebbe se avviare delle nuove consultazioni o sciogliere le camere.
12. Non si potrebbe far prima?
Sì, si potrebbe. Ci sono due possibilità. La prima è che Napolitano, valutata la necessità di sciogliere le camere e l’inopportunità di stare a lungo senza un governo legittimato dal Parlamento, decida di dare le dimissioni finite le consultazioni: più o meno due mesi prima della scadenza naturale del suo mandato. Così il suo successore sarebbe eletto prima del 15 aprile e si andrebbe a votare prima.
La seconda possibilità è un po’ fantascientifica (ma la situazione in cui siamo è piuttosto inedita): l’autoscioglimento delle camere, a fronte di una situazione di stallo. Se ne parla nei manuali di dottrina giuridica – e non nella Costituzione – specie in relazione al fatto che di norma, soprattutto nella prima repubblica, erano i partiti (cioè le camere) a decidere di andare a nuove elezioni, e al presidente della Repubblica non restava che certificare quella volontà.
13. Già che siamo nella fantascienza, altre idee?
Una ci sarebbe, piuttosto estrema. Allo scopo di rimuovere questo ingorgo ed evitare che il nuovo presidente della Repubblica sia eletto da un Parlamento così temporaneo, vissuto appena poche settimane, un’altra ipotesi possibile è la rielezione di Giorgio Napolitano dietro suo impegno a dimettersi entro un anno. Nel frattempo si torna a votare, si spera di ottenerne una maggioranza parlamentare, si insedia un governo (se stavolta va meglio) e si sceglie con calma il nuovo capo dello Stato.