Andrea Galli, Avvenire 27/2/2013, 27 febbraio 2013
SOCCI, LETTERA ALLA FIGLIA RINATA
«Il mare nasconde continenti inesplorati sotto l’azzurro, a volte un abisso spaventoso» scrive Antonio Socci, «ma pure per questo ci attrae. Quegli abissi sono anche un’immensa ricchezza disposta dalla Provvidenza per il sostentamento di tante creature… Quello che non sapevo è quale ’legno’, quale barca sia capace di attraversare l’oceano della vita. Lo sto cominciando a capire...». La risposta è quella che dà sant’Agostino nel commento al Vangelo di Giovanni: «Ha stabilito infatti un legno col quale potessimo attraversare il mare. Nessuno può attraversare il mare di questa vita se non è trasportato dalla croce di Cristo».
Scegliamo questo passo dall’ultimo libro di Socci, Lettera a mia figlia. Sull’amore e la vita nel tempo del dolore (Rizzoli, pagine 190, euro 16,50) perché è il mare una delle immagini ricorrenti nello scritto e che lo collega ai ’marosi’ del libro precedente. In Caterina. Diario di un padre nella tempesta , uscito nell’estate del 2010, l’autore – giornalista e saggista che non ha bisogno di molte presentazioni – raccontava il dramma che lo aveva colpito il 12 settembre 2009, quando la figlia Caterina, a 24 anni e a pochi giorni dal laurearsi a Firenze in architettura, aveva subito un arresto cardiaco.
Solo dopo più di un’ora di massaggi disperati il cuore aveva ricominciato a battere. Un miracolo. Ma anche l’inizio di un calvario. Caterina era rimasta in coma quasi quattro mesi, poi a gennaio il risveglio. Accanto alla gioia si apriva però un’altra voragine: la constatazione dei danni subiti e le diagnosi infauste. Quello che esce oggi in libreria è il seguito della vicenda.
È quasi un atto dovuto, viste le migliaia di mail che Socci ha ricevuto nel frattempo, le continue attestazioni di affetto e di preghiere recitate per Caterina da amici o sconosciuti, le richieste di notizie sulle sue condizioni di salute. È un libro breve, rapsodico e potente.
Potente come il dolore più grande che possa capitare a un padre, raccontato in prima persona: «La situazione subito dopo il risveglio appariva terrificante. Caterina risultava paralizzata. Non riusciva nemmeno a tener su la testa o a chiudere le labbra, quando veniva messa sulla sedia a rotelle. Inoltre era afflitta da spaventose contrazioni muscolari che le deformavano braccia, mani, piedi e gambe, irrigidendo anche il collo e le spalle e il suo bel viso, in spasmi dolorosi. Non parlava e ovviamente non poteva né mangiare né bere. Ma l’incubo più straziante è stato quando ci hanno detto che secondo loro la coscienza sarebbe stata annichilita e così pure la capacità cognitiva». La Provvidenza ha accompagnato con il suo fare misterioso Caterina, per cui Socci, negli scampoli del suo diario che ha inserito nelle ultime pagine, può scrivere: «Agosto 2012: significativi progressi di Caterina. Dobbiamo gratitudine a medici, terapisti, infermieri e tanti altri». In mezzo c’è stato il riacquisto della piena coscienza, della capacità di comunicare, l’inizio di un recupero della parola. Ma il libro è potente anche per le riflessioni sul mistero della vita, quando questa viene sfrondata, potata e ridotta brutalmente all’essenziale. Socci lo fa inframmezzando la narrazione con le testimonianze di lettori che attraverso Caterina hanno rivissuto i propri dolori alla luce della fede o che la fede l’hanno ritrovata. E attraverso alcune vicende che nel nascondimento parlano dell’amore e della gioia che viene dall’abbracciare il legno della croce. Una è quella delle Piccole suore della Sacra Famiglia, che a Bologna prestarono servizio a partire dagli anni ’30 nella clinica Bellaria, fondata per curare i malati di tubercolosi. Sapevano che il rischio di ammalarsi era altissimo, ma abbracciarono la causa per amore del Cristo sofferente: morirono a decine, dimenticate dalla città, dalla società, ricordate solo dalle proprie consorelle. Un’altra è la storia di Chiara Corbella, la ragazza romana morta l’estate scorsa per un tumore che non aveva voluto curare nei mesi della gravidanza, che il cardinale Vallini al suo funerale ha salutato come una nuova Gianna Beretta Molla. «Com’è doloroso accorgersi che la vita ti porta via tutto, che ogni volto amato può sparire in un istante» scrive Socci, «e tuttavia com’è anche evidente che noi attendiamo, che il nostro cuore indomito non cessa mai di sperare la felicità. Un giorno don Giussani disse che il sentimento naturale della vita è la triste malinconia dell’uomo che sulla riva del mare vede sparire verso l’orizzonte la barca con le persone amate. Perché la vita è un continuo addio. Ma aggiunse che – con l’irrompere di Cristo – il sentimento della vita era diventato un altro, si era ribaltato: un uomo sulla riva del mare che da lontanissimo vede avvicinarsi sempre più l’imbarcazione con la persona amata». La foto di Caterina sulla copertina del libro, che si rimane a guardare incantati, sembra dire proprio questo: ciò che sembra perduto, in realtà ci viene incontro per esserci restituito nella sua bellezza più vera.