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 2013  febbraio 27 Mercoledì calendario

ULTIMA FERMATA ATLANTIDE


Potevano sollevare montagne, spostare continenti, radere al suolo intere città o erigerle dal nulla in pochi secondi: il tutto senza nemmeno lasciare la scrivania. Erano i cartografi, razza speciale d’uomini in bilico tra scienza ed arte, ormai estinti per far posto alle mappe digitali e al Gps. A raccontare le loro gesta più eclatanti è l’inglese Simon Garfield, giornalista per l’Independente
l’Observer,
nel saggio
On the Map: A Mind-expanding Exploration of the Way the World Looks
(Profile Books, pagg. 464, euro 17,74).
«C’è un vero e proprio mondo parallelo al nostro, per certi versi immaginario — le sue fattezze mutano senza sosta — e per altri ancora più reale di quello in cui viviamo, perché espressione dei nostri desideri di conquista e di esplorazione», spiega Garfield a
Repubblica.
«È il mondo delle mappe. Solo lì, una catena montuosa può apparire all’improvviso, esistere per un secolo e poi svanire in un batter d’occhio: successe così per le montagne di Kong». A inventarle fu nel 1798 l’inglese James Rennell, che pure era uno dei cartografi più abili dell’epoca nonché uno dei fondatori della Royal Geographical Society. La sua topica appare in due mappe allegate al più importante libro di viaggi del tempo:
Viaggio all’interno dell’Africa dell’esploratore
scozzese Mungo Park. Laddove Park raccontava di aver visto solo due o tre monti, Rennell li unì tutti insieme inventandosi una catena dall’attuale Costa d’Avorio alla Nigeria. «Dal 1798 al 1892 le montagne di Kong comparvero su almeno 40 mappe e nel 1804 il cartografo tedesco Johann Reinecke, con commovente eccesso di zelo, le illustrò in un atlante ricoprendone addirittura le cime di neve. A raderle al suolo, per così dire, fu l’ufficiale francese Louis-Gustave Binger: nel 1888, durante una missione di esplorazione del fiume Niger, semplicemente si accorse che non erano mai esistite» spiega
Garfield.
«Allo stesso modo, nel 1622, la California si staccò dal continente americano…». Non fu un cataclisma geologico, sia chiaro, ma una svista che si moltiplicò a dismisura. Il responsabile fu il frate Antonio de la Ascensión, che ricordando (con qualche incertezza) un suo viaggio di vent’anni
prima disegnò una mappa che ritraeva la California come un’isola. L’errore è riprodotto nel 1624 in una mappa olandese e nel 1625 il matematico Henry Briggs in un articolo accompagnato dalla mappa scrive della «grande e prosperosa isola di California». Da lì si propaga in centinaia di mappe. Fino a quando, nel 1747, Ferdinando VII di Spagna, in un decreto
regio sull’inesistenza del “Passaggio a Nord Ovest”, sente il bisogno di ricordare a tutti: «La California non è un’isola».
«L’infernale moltiplicazione degli errori era il frutto dell’antica abitudine dei cartografi di copiarsi tra loro» commenta Garfield. «D’altronde i luoghi fittizi, ma inseriti nelle mappe a bella posta, sono diventati col tempo uno
strumento utile a smascherare i plagi. E lo sono ancora oggi». Ad esempio nel 2001 lo Ordnance Survey inglese ottenne 20 milioni di sterline dalla Automobile Association che aveva copiato delle mappe riproducendo degli errori deliberatamente commessi dai cartografi originali. In altri casi i luoghi inesistenti sono occasioni di sfogo per la vanità, come l’inesistente “Mount Richard” che apparve come appendice delle Montagne Rocciose negli anni Settanta, ma solo nelle mappe disegnate da Richard Ciacci. Oppure celano uno spirito goliardico. È il caso delle città fittizie di
Goblue Beatosu
inserite nel 1978 nella mappa ufficiale dello stato del Michigan da Peter Fletcher, presidente della State Highway Commission ed ex studente dell’Università del Michigan come omaggio al motto «Go blue!» dei fan della squadra universitaria, e dileggio agli arcirivali della squadra della Ohio State University (OSU): «Beat osu!» («battete gli Osu!»).
Tale è il potere del cartografo,
scienziato-artista che — proprio come gli scrittori — ha sempre avuto il terrore degli spazi bianchi, da riempire ad ogni costo per non tradire la propria insipienza o magari una certa avversione ad alzarsi dalla sedia per esplorare in prima persona. Soprattutto nel Medioevo, quando si ovviava alla penuria di informazioni su una regione sbizzarrendosi nell’illustrare miti e animali fantastici. L’esempio migliore è la
Mappa Mundi
di Hereford (Inghilterra), risalente al 1290. Racchiude tutta la storia mitologica come se accadesse contemporaneamente: la torre di Babele, l’arca di Noè, il vello d’oro, il labirinto di Creta. E, quasi come i rilanci che si fanno al culmine delle vendite di pentole, offre una doppia apparizione del mostro Scilla: sia vicino a Cariddi sullo stretto di Messina che in prossimità delle isole Scilly (Cornovaglia). E poi unicorni, sinistri uomini-mandragora, e i bizzarri
sciapodi
già raccontati da Aristofane e Plinio il vecchio: uomini dotati di un solo piede di dimensioni sproporzionate, che usano per farsi ombra.
Molto più sobri i cartografi cinesi, come Chu Ssu-Pen (1273-1337). Le sue mappe testimoniavano la proverbiale diffidenza dei cinesi verso il mondo esterno, che arrivava in Cina soprattutto attraverso i racconti dei mercanti arabi. «Non c’è modo di investigare le terre dei barbari al sud-est del Mare del Sud e a Nord-Ovest della Mongolia» scrisse. «Chi parla di queste terre è incapace di dire qualcosa di definito, chi dice qualcosa di definito non è degno di fiducia. Quindi sono costretto a omettere».
Più disposti ad accontentarsi di un’informazione purchessia furono invece gli occidentali, come il
conquistador
per eccellenza: Hernán Cortés. Nel 1519 fece realizzare la prima mappa del
Golfo del Messico e parlando con degli indigeni chiese loro il nome della loro terra natia. La risposta fu
Ma c’ubah than,
che Cortés udì come “Yucatan”, e fece mettere sulla mappa. 450 anni più tardi, esperti di dialetti Maya rivelarono che in realtà «Ma c’ubah than» significava: «Non capisco le tue parole ». Oggi gli errori sono più rari, ma non privi di conseguenze anche
serie: nel novembre 2010, soldati nicaraguensi guidati dall’exsandinista Eden Pastora attraversarono il fiume San Juan, confine col Costa Rica, per piantare una bandiera sull’isola Calero (appartenente al Costa Rica dal 1897). «Guardate su Google Maps, e vedrete dove è davvero il confine» dichiarò Pastora difendendo quel gesto che poteva scatenare una guerra. Google corresse la svista e il suo ufficio stampa sottolineò: «Google Maps è un servizio di intrattenimento, e non deve essere usato per decisioni territoriali, politiche o militari». Ma è difficile separare l’uso spensierato da quello ostile, quando si parla di mappe: i bombardieri della Luftwaffe nel 1942 cercarono di abbattere il morale degli inglesi con i cosiddetti
Baedeker blitz,
missioni per distruggere luoghi indicati con più di tre stelle dalle guide Baedeker. Rispose colpo su colpo, per così dire, la guida Michelin 1939 della Francia, che fu ristampata a Washington nel 1944 e data alle truppe del D-Day.