Francesco Merlo, la Repubblica 27/2/2013, 27 febbraio 2013
LA VITTORIA DELLO SCONFITTO
STRETTO alla sua vittoria, mutilata come l’Italia di Vittorio Veneto, Pierluigi Bersani è rimasto nascosto al mondo per 26 ore, riunito in conclave, consegnato alle ruminazioni di quell’appartato che aveva salvato dalla rottamazione e che invece lo ha perduto. E quando finalmente si espone, alle 5 della sera, sembra uno dei protagonisti delle commedie francesi di Beber, “L’apparenza inganna” o “La cena dei cretini”.
È IL segretario senza sale, l’eroe suonato che ci commuove irritandoci: «Siamo primi ma non abbiamo vinto». Più precisamente è il vincitore sconfitto perché «la parola tocca a noi» anche se Berlusconi non ha perduto e Grillo ha trionfato. Ebbene, la vittoria mutilata, la sconfitta del vincitore non è facile da esprimere, non bastano più gli scogli da asciugare, le bambole da pettinare e i giaguari da smacchiare, non ci sono metafore per fermare «gli scappellotti» che promette Grillo né le sirene di Berlusconi che sussurrano il governissimo. Di sicuro il vinto-vincente Pierluigi Bersani è l’esatto contrario di Matteo Renzi che è invece diventato il perdente di successo, il blasonato, santificato dalla sconfitta alle primarie, destinato a sontuose celebrazioni, erede ormai per acclamazione.
Perciò quando Bersani si agita sul trespolo in mezzo ai giornalisti e ai cameramen che gli si stringono a semicerchio sembra davvero il prigioniero a cui Beppe Grillo sino a ieri urlava: «Siete circondati, arrendetevi». Il tono è dimesso, da prefica, da orfano, da condannato al patibolo del governare. Ci proverà con Grillo «nelle sedi istituzionali» sapendo che sarà gabbato, ma non ha spazi: il governissimo con Berlusconi «non è praticabile perché va nella direzione opposta al cambiamento».
Quanto è frastornato! Nonostante gli occhiali di lettura perde il filo dell’intelligere, più va avanti e più si smarrisce nel labirinto, e magari è un cattivo presagio perché forse, da questo momento in poi, più si muoverà più si paralizzerà. E martirizza gli occhiali, che oggi prendono il posto del sigaro, mentre officia il rito funebre. La sua parola identificava è «responsabilità». La ripete sistematicamente, è un tic linguistico e un programma politico. L’Italia, che fu divisa in fascisti e antifascisti, è ora divisa da Bersani in responsabili e irresponsabili: di destra, di centro e di sinistra. Ma lui, che non ha mai avuto la faccia tagliente, spigolosa e forte del leader, non è credibile quando dice che farà «un governo di combattimento ». Stasera non ha nemmeno la solita faccia del buon uomo, l’aria burbera del salumiere sotto casa. L’amico rassicurante non è più sicuro di niente: «Ho letto tonnellate di senno di poi. Forse potevo fare qualcosa di più, ma io, solo questo mestiere so fare». Ed è il miglior Bersani: «Noi siamo stati un punto di tenuta ». Dinanzi alla farsa di Berlusconi che prometteva di restituire i soldi dell’Imu e alla scempiaggine di Grillo che annunziava l’abolizione del debito pubblico, che è una vecchia idea dell’insolvente, Bersani stava fermo alla realtà che non è aggirabile da nessun contorsionista comico o politico. E però anche questa, che è stata la sua forza, ora gli viene rimproverata come debolezza. «Ammette — gli chiedono — di non avere saputo parlare alla pancia del paese? »
E quasi fugge dalla conferenza stampa, annulla pure la sua partecipazione a Ballarò, e così nessuno gli domanda dell’apparato, vera debolezza della campagna elettorale. Il rafforzamento dell’apparatnik che, dopo il successo delle primarie, non solo non è stato messo da parte ma si è ingigantito nell’ombra, ha reso antipatico il simpatico Bersani e ha rilanciato l’immagine sovietica del gruppo dirigente, la vecchia idea del ‘partito innanzitutto’.
Perciò, mentre Bersani parla con gli altri giornalisti nella sala dell’Acquario di Roma, io lo guardo correre all’indietro e, con l’occhio fisso allo specchietto retrovisore, lo vedo abbracciato a Moretti mentre il telecronista grida «c’è Nanni, c’è Nanni », come nella satira della sinistra minoritaria e rituale degli antipatici, quella dei lacrimoni, la sinistra dei “venerati maestri” di Edmondo Berselli.
E poi nello specchietto rivedo Prodi sul palco di Milano che stava lì come Lazzaro a ricordarci i fantasmi dell’ingovernabilità di sinistra, gli sgambetti, i ribaltini aritmetico-po-litici, le congiure di palazzo e i baffi di D’Alema. E ancora vedo Rosi Bindi che rifiuta di farsi intervistare da un cronista del programma di Milena Gabanelli sul disastro della sanità in Calabria: lui domandava e lei con la faccia di sfinge permetteva ai suoi ascari di strattonarlo e spintonarlo. Neppure lo squadrismo di Grillo verso i cameramen era arrivato a tanto.
Certo, Bersani non sapeva di regalare voti a Beppe Grillo accettando il peluche di giaguaro da Bruno Vespa, perché è vero che la televisione non è il demonio, come predica Casaleggio, ma ci vuole una sapienza di sinistra nell’usarla. Ed è vero che quell’Ambra Jovinelli era, come hanno scritto, «piena come un uovo » ma era anche piccola come un uovo, mentre fuori la sua piazza, San Giovanni, traboccava di folla e senza bisogno dei pullman della Cgil.
Rimetto Bersani al suo posto, qui e ora, e capisco dai sospiri, dai colpi di tosse, dal sorriso tirato, dal tic della grattatina sulla guancia e dalla folla di consiglieri pur nell’assenza di vere decisioni che il vincitore non sa che farsene di questo 0,4 in più alla Camera e dei due seggi in più al Senato. Ha vinto le elezioni perdendo tutto, anche la grazia che aveva da candidato favorito e ora non è libero neanche di dimettersi. Non lo lasciano andare via neppure in elicottero a Castel Gandolfo con papa Benedetto perché quell’apparato è davvero molto più forte di lui: sono i suoi cardinali, il suo clero e anche loro deturpano il volto della sua chiesa. «Io non lascio la nave, posso starci come comandante o come mozzo ma non l’abbandono». Bersani è il loro baluardo. Senza di lui si scatenerebbe il ‘tutti contro tutti’. Chi prenderebbe il suo posto e si lascerebbe massacrare dalle beffe di Beppe Grillo? E quanti sono i corresponsabili della vittoria mutilata? In quanti dovrebbero seguirlo? Quante sono le rendite di posizione nel Pd?
D’Alema gli ha detto che se l’esiguo vantaggio l’avesse Berlusconi, ora lo trasformerebbe «in un manicomio di allegria». Franceschini gli ha consigliato di sedurre il mondo di Grillo con il decalogo del cambiamento: primo, dimezzare il numero dei parlamentari; secondo, ridurre gli stipendi di metà della metà; terzo, acqua gratis a tutti …. Anche il linguaggio è astruso, Bersani ammette che non è stata una vittoria ma nega la sconfitta. Nel Pd usano «abbiamo prevalso» che è un virtuosismo, un verbo del Vangelo. «Non praevalebunt» ammonisce Cristo quando fonda la Chiesa e vuole dire che sconfiggere le forze del male è missione, compito e destino. Ma la prova è troppo dura per una brava persona. Bersani è una brava persona e le forze del male non hanno perduto: Berlusconi non è stato sconfitto, Grillo ha trionfato e dunque la vittoria è mutilata, senza allegria, senza futuro. Quando gli chiedono di ammettere che Berlusconi ha fatto una grande performance, Bersani perde pure l’appuntamento con il fair play e si smarrisce nel politichese, nei numeri, nelle percentuali e sostanzialmente nega la rimonta mentre in sala tutti ridacchiano: oggi non c’è pietà per il vincitore bastonato.