Paolo Guzzanti, il Giornale 26/2/2013, 26 febbraio 2013
TROMBATA TECNICA PER IL PROFESSORE CHE HA DELUSO TUTTI
[Mario Monti]
«E adesso, pover’uomo? » era il titolo di un testo di Hans Fallada che ebbe molto successo nel 1932. Sono passati da allora ottanta anni e il tiolo torna di moda perché si adatta perfettamente a Mario Monti. È il vero grande perdente. Ha buttato a mare un’occasione, una possibilità, un’idea, e non è rimasto che un puntello, uno spezzone che probabilmente non servirà per fare maggioranza con il Pd al Senato. L’unico risultato politico rinnovativo della salita/ discesa (entrata) in campo di Monti, è che in un banchetto antropofago si è pappato Pier Ferdinando Casini la cui Udc si è ridotta a dimensioni pari alle tracce dell’albumina.
Ho detto che è un peccato. Molto lettori non la penseranno come me e diranno che va benissimo così, che Monti è stato comunque pessimo, ma io credo che bisogna dividere la rapida carriera di Mario Monti in due fasi, quella del prima e quella del dopo l’entrata in politica che lui chiama salita. Fino a quel momento era un uomo al di sopra delle parti e aveva quelle caratteristiche principalmente estetiche e formali che rallegravano molti composti borghesi che vedevano in lui il salotto buono ambulante. Non ritiro fuori la storia del loden e della sobrietà, per evitare attacchi di orticaria. Ma insomma aveva una fisionomia, una carriera accademica, e poi la famosa credibilità internazionale, le lingue, il linguaggio quasi impersonale e poi quelle battute fredde un po’ del cavolo,ma molto all’inglese. Insomma piaceva ancora a molti.
Poi, si è giocato tutto al tavolo verde del casinò della politica e ne è uscito come quei vecchi baroni spiantati della Belle Epoque che dopo aver perso tutto a baccarat e alla roulette, uscivano nel parco, si scioglievano il papillon, si slacciavano il primo bottone, accendevano un sigaro e si sparavano alla tempia. Monti non ha voluto capire che le sue fiches erano tutte legate ad una apparenza, peraltro artificiale:quella dell’accademico prestigioso e compunto, dai pensieri che gli escono dalle labbra organizzati e pronti per la stampa, l’apparenza di chi è stato nelle banche, nelle segrete delle cose segrete, fra gli gnomi di Zurigo anziché fra i nani e le ballerine, ma che insomma era tutta apparenza, un modo di sembrare.
Poi, il pover’uomo è stato tratto in inganno da chi gli ha fatto credere di essere un superuomo. Un po’ glielo aveva fatto credere Napolitano,quando gli dava quest’offa in cambio di una obbedienza pronta cieca e assoluta, avvertendolo allo stesso tempo che l’offa non era buona per andare a giocare davvero fra i bambini grandi. Lui invece l’ha fatto e si è rotto le ossa. Se le è rotte, intendiamoci, se compariamo il risultato con le possibilità teoriche, anzi le speranze da cui era partito. L’idea di base era che lui avrebbe potuto, nei suoi sogni più belli,sfilare l’elettorato berlusconiano a Berlusconi e, presentandosi come il vero Berlusconi in smoking e i capelli turchini, diventare il grande leader di un popolo che già esisteva, ma che appariva confuso, allo bando, renitente alla leva delle urne, disponibile a cambiare leader e votare per lui.
Errore madornale. Monti in quanto a comunicazione è una pippa.Sì,lo so,il termine è volgare, ma è quello che è. Monti non sa comunicare, anzi comunica spocchia, comunica saccenza, è considerato condiscendente, ha la spocchia, la puzza sotto al naso e se si stringe al cuore un cucciolo tutti temono che la povera bestia finisca in pellicceria.
Monti avrebbe potuto, tanto per cominciare, tenere a freno le proprie frenesie e aspettare a dimettersi di fronte alla decisione del Pdl di astenersi, perché l’astensione non è un voto di sfiducia, ma un messaggio di insoddisfazione. Lui invece a sorpresa corse al Quirinale dove Napolitano era furioso. Il Capo dello Stato che gli aveva posato sulla spalla lo spadone seggio a vita, lo aveva imposto e gli aveva fatto balenare la successione al Quirinale, si trovò davanti il damerino trasformato in ragazzaccio del vicolo con la fionda in tasca e il coltello a serramanico alla cintola. Napolitano non fu contento e lo disse, lo sconsigliò e probabilmente temeva che Monti potesse erodere una parte del vantaggio presunto del Pd per farlo suo.
Non sapeva, Napolitano, che il professore era in corsa per un clamoroso flop, anche se un flop che forse permetterà di pareggiare qualche conto al Senato. Sta di fatto che la sua corsa dall’accademia a queste elezioni è costata la vittoria politica a Pier Luigi Bersani il quale avrebbe fatto bene ad essere meno pavido e ad esigere elezioni anticipate nel dicembre 2011, vincerle e governare.
Ma Bersani non se la sentiva, altro che senso civico. Non era in grado di aggredire i nodi delle pensioni e del lavoro e preferì passare la mano pensando di potersi tenere in caldo i voti che riteneva di avere accumulato.
Ma la politica è un cattivo frigorifero e i voti non spesi, non usati, vanno presto a male e cambiano colore. Così abbiamo avuto la lievitazione del movimento Cinque Stelle che è salito ai fasti che conosciamo e che già erano noti un paio di giorni prima del voto. I voti che avrebbero potuto essere di Monti, almeno una parte, sono andati a Grillo e a Monti non è restato, come il pallido conte transilvano, che consolarsi abbeverandosi del sangue dell’Udc. Casini paga carissimo la linea piatta su Monti, senza conti e senza sconti, senza pensare e senza temere,ed ecco il risultato. L’elettore centrista che votava Casini, sentendo Casini votare Monti, ha pensato di non aver bisogno di un intermediario e ha fatto fuori Casini. Monti ha pagato carissimo l’attacco frontale a Berlusconi tentando di prenderlo in giro in sede mediatica, dove non è nessuno e dove le sue battutine un po’ pretesche hanno fatto un terribile flop, mentre Berlusconi con la sua forza di uomo di spettacolo, di inventore mediatico senza pregiudizi e senza paure, risaliva la china in cui il suo partito era sceso e recuperava mentre Monti languiva e perdeva.
Risultato? Oggi vedremo se quest’uomo può essere utile ancora, o se ha chiuso la partita. Una cosa è certa: per quante virtù abbia, quest’uomo ha capito pochissimo, anzi nulla, di quel che agita le menti e il cuore degli italiani. Se ne è infischiato o ha dato risposte tardive e ridicole, ed è arrivato appena a guadagnare il diritto di sopravvivenza. Ma addio sogni di gloria. E adesso, pover’uomo?