Alessandra Mangiarotti, Corriere della Sera 27/02/2013, 27 febbraio 2013
PERCHE’ NON SAPPIAMO CHE CARNE C’E’ NEI NOSTRI PIATTI
La bresaola della Valtellina preparata con carne importata dal Brasile. La Fiorentina preparata con bestiame allevato in Romania. La mozzarella di bufala fatta con latte di mucche lussemburghesi. Già questi tre esempi basterebbero a far storcere il naso al consumatore che vuole mangiare italiano ma non sempre ci riesce. L’impossibilità di andare all’origine di tutti i prodotti che finiscono sulla nostra tavola — cosa che, dice un sondaggio Eurobarometro, vorrebbero 9 italiani su 10 (e più di sette cittadini europei) — non è però l’unico problema. La Commissione Ue ieri ha deciso di anticipare all’estate o a inizio autunno la presentazione del rapporto, prevista per fine anno, sull’etichettatura della carne lavorata e dei prodotti che la contengono. Ma cosa succede realmente nel mondo della carne industriale? E cosa mangiamo, per scelta o per forza?
Prima di provare a dare una risposta a questa doppia domanda su Le Monde il reporter Fabrice Nicolino ha ricordato ieri in prima battuta due recenti studi. Il primo, pubblicato nel 2011: «Ha dimostrato la presenza nel latte — di mucca, di capra e umano — di antinfiammatori, betabloccanti, ormoni e antibiotici. Il latte vaccino è quello che ne contiene di più». Il secondo, datato 2012: «Un gruppo di ricercatori ha messo a punto una tecnica per la ricerca di residui negli alimenti usando cromatografia e spettrometria di massa: negli omogeneizzati sono state trovati antibiotici ma anche pesticidi». A livelli bassi, certo, «ma la questione si pone oggi in termini nuovi».
Ne è convinta anche Franca Braga, supervisore delle indagini alimentari per Altroconsumo: «Nulla sappiamo di quello che contiene realmente la carne industriale — afferma —. La maggior parte dei mangimi contengono Ogm ma non sappiamo se la mucca che mangiamo ha a sua volta mangiato Ogm. I Paesi dai quali importiamo devono attenersi alle nostre norme sull’uso di farmaci per animali ma ignoriamo se lo facciano poi veramente». E dunque? «La tracciabilità dell’intera filiera (non solo del passaggio subito prima o subito dopo), l’indicazione dell’origine di un alimento sono strumenti fondamentali sui quali si deve insistere. Oggi servono però regole più severe e studi per valutare l’azione combinata dei farmaci sugli animali». Anche perché «in un momento di crisi come questo le frodi per contenere il costo degli alimenti sono in aumento»: 20 milioni di chili di prodotti, ha reso noto la Coldiretti, sono stati sequestrati nel 2012 per un valore di 468 milioni di euro.
Finora indagini sugli effetti combinati di pesticidi, ormoni e antibiotici somministrati agli animali non sono state fatte. Uno studio pubblicato invece nel 2012 ha messo in evidenza come l’uso combinato di tre fungicidi usati in agricoltura ha provocato effetti inattesi sulle cellule del sistema nervoso umano. Noti anche i problemi legati all’uso eccessivo di antibiotici: nel 2005 negli Stati Uniti sono stati certificati quasi 20 mila decessi causati da batteri resistenti.
«Il concetto di origine non va confuso con quello di qualità — sottolinea Braga —. Ma il poter conoscere dove nasce un prodotto permette anche di risalire alle norme di quel Paese, di individuare responsabilità e di fare comunque una scelta consapevole». Oggi nell’Ue sono pochi gli alimenti per i quali è obbligatorio indicare l’origine in etichetta: «Una decina di categorie, alimenti non trasformati: carne bovina, di pollo, pesce, uova ...». Negli altri casi è difficile scoprire la provenienza degli ingredienti: «A meno che i produttori non decidano di dichiararla come qualità». La legge impone di indicare solo l’indirizzo del produttore e del distributore: «E non è detto che corrisponda a quello di provenienza delle materie prime». Anche il codice a barre non rivela molto: «Le prime due o tre cifre si riferiscono al Paese dove è stato registrato il marchio dell’azienda, che può benissimo trovarsi a migliaia di chilometri dal luogo di produzione, raccolta o allevamento». Ci sono poi i problemi legati alla pubblicità ingannevole. «La nuova normativa Ue sull’etichetta di origine è in cantiere ma sono già stati definiti alcuni punti come l’introduzione dell’indicazione obbligatoria anche per la carne suina, ovina e caprina da fine del 2014». E ancora: «Si sta ragionando poi su come impedire l’uso etichette ambigue imponendo l’indicazione dell’origine dell’ingrediente principale dell’alimento ogni volta che si richiama con scritte o immagini un Paese».
Alessandra Mangiarotti