Massimo Gaggi, Corriere della Sera 27/02/2013, 27 febbraio 2013
IL GOLF, LA TV, LE PASSERELLE PER GLI OSCAR. I «CAPRICCI PRESIDENZIALI» DEGLI OBAMA —
L’irruzione a sorpresa di Michelle Obama sulla scena hollywoodiana degli Oscar ha suscitato un bel pò di polemiche. Ma anche il presidente, pochi giorni prima, aveva fatto sollevare qualche sopracciglio con la sua decisione di trasferire per tre giorni la Casa Bianca nel Floridian Yacht and Golf Club, un covo di super-ricchi a West Palm Beach, dove ha giocato con Tiger Woods. Niente di male ma, commenta Tony Fratto, portavoce della presidenza ai tempi di George Bush, prima delle elezioni non sarebbe mai sceso in campo con un gruppo di milionari e un campione chiacchierato. Soprattutto pochi giorni dopo aver pronunciato un discorso sullo Stato dell’Unione tutto centrato sul riscatto dei ceti sociali più deboli.
In queste settimane iniziali del secondo mandato presidenziale di Obama, si moltiplicano gli atteggiamenti più disinvolti degli inquilini della Casa Bianca. La first lady è scatenata, col suo stile più sbarazzino: la nuova pettinatura con la frangetta criticata da Karl Lagerfeld («terapia per una crisi di mezza età» gli ha replicato, ironica, Michelle), lo spot per la sua campagna anti obesi girato con Big Bird, il pupazzone di Sesame Street. E, poi, l’esilarante sfida con Jimmy Fallon alla Casa Bianca, col comico abbattuto a pallonate in faccia e poi steso definitivamente nella corsa coi sacchi.
Tutti segni, oltre che di una nuova strategia di comunicazione, di un atteggiamento più rilassato della coppia presidenziale in questo secondo mandato.
E’ successo già altre volte in passato, nella storia della Casa Bianca, ma non in modo così plateale. Una volta rieletti, i presidenti si preoccupano più di costruire la loro eredità storica e di non perdere peso davanti a un Congresso che comincia a considerarli «anatre zoppe», che di misurare l’impatto sugli elettori di ogni loro singolo gesto, visto che non devono più sottoporsi al loro giudizio.
Obbligati per anni da un rigido protocollo e dal team dei consiglieri politici a mettere su una bilancia elettorale ogni parola, ogni gesto da compiere, ogni incontro anche privato messo in calendario, la coppia presidenziale si sente finalmente libera di prendersi qualche licenza, anche correndo a volte il rischio di apparire come quei mondanissimi sovrani che venti o trent’anni fa facevano la felicità dei rotocalchi.
Ma Michelle - che in passato si è scontrata con uno staff di comunicazione che sindacava ogni sua mossa, soprattutto dopo i danni d’immagine prodotti dalla vacanza con amici fatta dalla first lady in Spagna nel 2010 - ha più volte parlato del suo disagio per una vita senza privacy e senza la possibilità di fare le cose semplici della vita familiare.
Ora che l’appuntamento elettorale è alle spalle, la first lady sta recuperando, seguendo una sua agenda senza porsi troppi problemi di opportunità. Un’esigenza che anche Barack sembra sentire. I due hanno ricominciato ad uscire la sera con una certa frequenza, anche se questo crea ogni volta un pò di caos in città. Per San Valentino il presidente ha scelto una cena intima al «minibar» di José Andrés. Un bistrò che applica il suo minimalismo perfino al nome (la m minuscola), ma non al conto: 450 dollari per il menù a prezzo fisso per due. Prima delle elezioni non si sarebbero mai fatti vedere in un posto così esclusivo e costoso, dicono in molti. E, probabilmente, in campagna elettorale non ci sarebbe stata nemmeno una cena al «Cafè Milano» come quella allestita nel locale di Franco Nuaschese alla vigilia della cerimonia inaugurale del secondo mandato di Obama: l’intero secondo piano del celebre ristorante di Washington riservato da Barack per festeggiare con gli amici il compleanno di Michelle.
Ma non sono solo sfizi presidenziali: la fine della pressione elettorale sta restituendo agli americani un Obama più vero, più schietto. E anche più deciso nel combattere le battaglie politiche che sente sue. Un presidente che si impegna, almeno a parole, ad aiutare i poveri e a introdurre controlli sulla diffusione delle armi da fuoco: temi sui quali prima del voto non faceva nemmeno promesse per non esporsi alle accuse di essere un assistenzialista e un imbelle.
Tratti nuovi che certamente hanno anche una loro componente studiata a tavolino nell’ottica della costruzione della legacy del primo presidente di colore della storia americana, ma che gli restituiscono spontaneità: fanno sembrare più vero il leader che si commuove fino alle lacrime davanti ai suo team elettorale il giorno dopo la rielezione o che, parlando l’altro giorno a Chicago, ha deviato dalla solita narrativa del nero di successo cresciuto dai nonni, per raccontare le sofferenze e i rischi corsi in un’infanzia senza padre.
Massimo Gaggi