Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 27/02/2013, 27 febbraio 2013
DAL NUCLEARE ALLA SATIRA SUI SOCIALISTI DI CRAXI. LE BATTAGLIE DI BEPPE PRIMA DI DIVENTARE GURU DEL MOVIMENTO
«Potremmo comprare elettroseghe per il burro». Ma certo che contro il consumismo Forlani o Schifani non avrebbero mai detto parole simili. Continuare a parlare di Beppe Grillo come fosse solo un comico che ha avuto la fortuna di incrociare un passaggio storico, però, non è solo una scemenza. È un errore grave, in politica.
Sia chiaro, ognuno può pensare del leader genovese tutto il peggio possibile. Ci mancherebbe. Ma descriverlo ancora in queste ore come uno strampalato demagogo caduto dallo spazio come un meteorite significa non sapere niente della sua storia. Niente. Nel lontano 1977, quando Ciriaco De Mita era ministro del Mezzogiorno, Pier Ferdinando Casini faceva il consigliere comunale a Bologna e Giovanni Leone faceva cavaliere il Cavaliere, lui dava interviste come questa a «Videobox»: «La mia è una specie di satira sociale su cose e fatti che coinvolgono tutti, vista in chiave un po’ surrealista. Per fare del cabaret ci vuole tanta disperazione, altrimenti non si fa ridere nessuno».
Di quella sera di fine novembre del 1986 in cui si tirò addosso l’ira del Psi facendo quella battuta sul viaggio di Bettino Craxi in Cina, tutti ricordano solo la battuta finale che provocò a Pippo Baudo un infarto: «Ma se qui sono tutti socialisti a chi rubano?». Errore. Quella battuta veniva in coda a una specie di comizio su cose serissime. Dove dimostrò la capacità formidabile di far ridere parlando di temi che altri mai avrebbero osato affrontare.
Attaccò col nucleare: «Dicono che non c’è più il problema di Chernobil. Intanto le renne sono fosforescenti. Le usano come abat-jour. A Caorso, una centrale in provincia di Piacenza, è successo due giorni fa il 97º incidente. Cercano di arrivare a 100, poi gli danno un premio: lo Zichichi d’argento. (…) Stiamo scherzando? Novantasette incidenti. Noi ci immaginiamo una centrale nucleare come in Sindrome cinese. Film americani. Tecnici. Il computer che si è guastato... La realtà qual è?».
Si fece dare un libro, mostrò che era edito dal movimento antinucleare di Reggio Emilia («Sono dati veri!») e disse: sentite cosa succede nelle centrali nucleari. Autunno ’78: una parte del tetto della sala macchine vola via durante un temporale, la centrale si blocca… E via così, di problema in problema, un elenco lungo lungo che avrebbe fatto stramazzare di noia qualunque spettatore al mondo se non fosse sorretto dalla sua capacità istrionica.
Dopo di che prese a parlare di politica. Con toni simili a quelli di oggi e un riferimento al «patto della staffetta» in base al quale Craxi avrebbe dovuto mesi dopo cedere la guida del governo a De Mita: «Abbiamo l’unico presidente del Consiglio al mondo che scade, come una mozzarella. (…) Dietro c’ha scritto: da consumarsi preferibilmente…». Nessuno poteva saperlo. Ma quella sera partiva un percorso che un paio di decenni dopo avrebbe portato al «V-day» e successivamente al trionfo di lunedì.
Avrebbe raccontato Pippo Baudo ad Andrea Scanzi per il libro Ve lo do io Beppe Grillo: «Craxi si infuriò. Letteralmente. Io stesso fui convocato in via del Corso, e lì venni — come dire? — bastonato. Craxi pretese che mi dissociassi e Grillo fu cacciato dalla Rai. Credo che fu proprio allora, diciamo nelle settimane successive, che Beppe cominciò a assaporare il gusto dell’allontanamento». «In che senso?». «Diventare un escluso di professione. Vede, io ci ho sempre provato a richiamarlo: gli ho offerto di tutto, da Sanremo a Domenica In. Niente. Rifiuta. Dice che ormai fa altre cose. Ed è vero. Ha questo suo blog, e poi riempie teatri e piazze». Il 25 novembre 1993, lanciato durante il telegiornale da un’acida Angela Buttiglione («La responsabilità di quel che dice è solo sua») rientra in prima serata su Raiuno con «Beppe Grillo Show». Seguito da 10 milioni e mezzo di italiani: «Ho cinque anni di cose da dirvi, anzi dieci anni. I cinque anni passati senza poter più venire in televisione e i prossimi cinque anni, che tanto mi mandano via subito». Attacca Berlusconi che ha invitato a votare Fini contro Rutelli alle Comunali di Roma: «Deve aver fatto troppa liposuzione. Gli hanno succhiato una parte del cervello. E poi che cavaliere del lavoro è? Con tutti quei debiti sarà ormai un cavaliere dell’Apocalisse. Ma come si fa ad avere tanti debiti! Io dovevo a uno 300 mila lire e quello mi dormiva davanti alla porta!». Attacca Andreotti: «Solo quando morirà e gli toglieranno la scatola nera dalla gobba sapremo finalmente cos’è successo davvero». Attacca i politici ma anche la società civile: «Li abbiamo votati noi per vent’anni, e se loro potrebbero meritare il carcere, almeno mezz’ora di prigione dovremmo farcela anche tutti noi».
Il 9 giugno 1995, l’anno in cui gira l’Italia con un tour in 60 tappe predicando lo show «Energia e informazione» (trasmesso dalla televisione della Svizzera italiana e dalla Wdr in Germania, comprato dalla Rai ma mai messo in onda), si presenta all’assemblea della Stet. Ce l’ha con le «hot line» su cui l’azienda telefonica fa business: «È come se le Ferrovie dello Stato affittassero dei vagoni a una meretrice. Quella si fa due marchette e loro dicono: "Che cosa ne sappiamo? Noi ci limitiamo ad affittare i vagoni alla Samantha Srl"».
E via così, una battuta dopo l’altra su cui costruisce però, piaccia o non piaccia ai suoi detrattori, una battaglia dopo l’altra. Fino a farsi la fama di guru in tempi molto più lontani di quanto qualcuno immagini. Basti dire che ai primi di giugno del ’95 gli feci per Sette un’intervista centrata su questa domanda: «Quand’è che mette su una setta?». Al che rispondeva: «C’è già, c’è già...». Il titolo diceva tutto: «Grillo Guru. Quasi quasi mi faccio una setta».
Sono passati 18 anni da allora, e tutto può dire chi lo vede come il fumo negli occhi tranne che la sua storia non trabocchi di battaglie «politiche». Ecco gli attacchi alle grandi imprese: «Ma lo vede che ormai è tutto finanza? Non ci sono più imprenditori. Solo usurai. Le grandi aziende sono diventate banche. Guadagnano col cambio del dollaro. Comprano e vendono danaro. Non automobili, lavatrici, televisori. La Fiat fa macchine per abitudine, perché le ha sempre fatte, ma il guadagno della Standa qual è? È prendere i soldi subito dagli scemi, noi, e pagare i fornitori a sei mesi. Sono finanziarie. Il prodotto è solo una scusa». Ecco le accuse alla Parmalat un bel pezzo prima del crack. Ecco le polemiche contro Malpensa «costruita per fare un regalo ai leghisti». Quelle con la sinistra sull’affare Unipol. Quelle contro il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio per il quale comperò una pagina su vari quotidiani: «Fazio vattene». Per non dire di tutte le battaglie sui costi della politica. Certo, se poi qualcuno non vuol sentire…
Gian Antonio Stella