Marco Imarisio, Corriere della Sera 27/02/2013, 27 febbraio 2013
STUDENTI, PROF E NOSTALGICI (PRO CHAVEZ). LA CARICA DEI «DEBUTTANTI-PRECARI» —
«Tu, come ti chiami?». «Leoni Orsenigo, signor Bossi». «E cosa fai nella vita?». «Ho un negozio di ricambi tivù a Merone». «Bravo, aggiusti televisioni: vai in Commissione di vigilanza Rai».
Il giorno dopo la festa a Palazzo Rosso, quartier generale del M5S ligure, non se ne trova uno a cui il nome del parlamentare eletto nel remoto 1992 dica qualcosa. Questione di età dei convenuti, molto bassa, e non solo. Comunque, e per dovere di cronaca, si tratta del leghista poi divenuto celebre per il cappio sventolato in aula davanti a un perplesso Giorgio Napolitano, al tempo presidente della Camera. L’episodio di cui sopra arriva dal diretto interessato, che lo raccontò a Federico Ferrero, autore di Alla fine della fiera, libro sui vent’anni di Tangentopoli. Una volta spiegato l’arcano, diventano chiare le ragioni della citazione.
«Non credo che la mancanza di esperienza possa essere usata contro di noi. Abbiamo tutti il nostro curriculum. E negli ultimi anni i professionisti della politica non hanno certo brillato». La neo senatrice Cristina De Pietro è quanto di più lontano si possa immaginare dall’irruenza del leghismo che fu. Da buona residente del quartiere borghese di Albaro vestiva un tailleur con pantaloni e spilla che non si abbinava molto all’abbigliamento decisamente casual dei ragazzi che la abbracciavano offrendole un sorso a canna dalla bottiglia di birra. L’influenza di stagione, unita a una naturale timidezza, la facevano sembrare fuori posto. Il suo curriculum dice che è un avvocato specializzato in affari europei, che ha lavorato per anni a Bruxelles. Lei aggiunge che a Roma non uscirà dal suo seminato, si concentrerà sulla semplificazione delle norme per l’accesso delle piccole e medie imprese ai finanziamenti Ue.
Cristina, e gli altri. I paragoni con l’ondata leghista del ’92-94 reggono solo a livello numerico. I seguaci della Padania provenivano dalla stessa macro area geografica, da un unico blocco sociale, da una visione monolitica. I marziani a Cinque Stelle hanno invece biografie e provenienze così diverse tra loro da spingere l’Istituto Cattaneo, autore di una recente ricerca sul M5S, a parlare di mescolanza sociale.
I fili rossi che sembrano tenere insieme una matassa da 162 eletti sono quelli dell’ambientalismo e di una età media molto bassa. Nella Liguria di Grillo, un 30% frutto di una progressione esponenziale del M5S in ognuna delle tre elezioni alle quali si è presentato, i tre eletti alla Camera sono tutti di Savona. Matteo Mantero, nato a Loano 38 anni fa, il più anziano del gruppo e non di poco, perito chimico, arredatore, un giorno decise di chiudere ogni attività che spingesse ai consumi. Dal 2009 si batte contro il raddoppio della centrale a carbone Tirreno Power di Vado ligure. Accanto a lui Sergio Battelli, ventinovenne commesso in un negozio di articoli per animali, curatore di tutta la comunicazione Internet sulla provincia, capace di creare una app per social network e Android dedicata alla sua Varazze, e il giovane Simone Valente, laureando in Scienze motorie che si muove solo in bicicletta e aspira a realizzare tante piste ciclabili in tutta Italia. «Io e gli altri — dice Mantero — prenderemo 2.500 euro netti al mese, e la diaria la utilizzeremo solo per le spese certificate. Non vogliamo altro denaro per il nostro impegno». Da ieri sono alla ricerca di un appartamento da dividere: vivranno e viaggeranno insieme, da Savona a Roma. «Sarà come fare gli studenti fuori sede».
Almeno fino all’apertura del nuovo Parlamento il catalogo degli onorevoli del M5S diventerà un rito giornalistico quasi quotidiano. Ma fino a quel giorno la curiosità, o la malizia, sull’atteggiamento che avranno nei confronti del Palazzo, rigorosamente con la maiuscola, è destinata a rimanere tale. Ci sono quelli che si presentano carichi di aspettative, come Manuela Serra, insegnante di sostegno precaria, formazione di sinistra, prima senatrice sarda della storia, che vuole fare qualcosa per la scuola, ma non solo. Gira con una valigia di proposte, dalla vertenza entrate alle bonifiche ambientali fino ai trasporti, e rivendica la sua spiccata freddezza nei confronti dell’euro, la cui sorte andrebbe affidata a un referendum. Manuela Pinna, anche lei cagliaritana, anche lei precaria, non pensa all’Europa, ma alla sua isola. Andrà in Parlamento con la sua laurea in gestione di beni archeologici e la convinzione che la Sardegna vada riportata nell’Italia, dopo anni di umiliazioni da parte di uno Stato ostile.
Eccolo, un altro filo. Sono tanti i precari, soprattutto tra i giovani. Magari spiccano di più le biografie con segni particolari sui quali posare la propria curiosità. Il senatore Bartolomeo Pepe, seguace del modello venezuelano che sogna di portare Chavez a Napoli. La milanese trentenne Paola Carinelli, pallavolista di ottimo livello, che cercherà di togliere fino all’ultimo euro alla politica. La senatrice Paola Taverna, impiegata in un laboratorio medico, autrice di sonetti a 5 stelle in romanesco, molto apprezzati dai militanti della Capitale. Il triestino Aris Prodani, che per il suo video elettorale si è vestito da clown, anche se assicura che l’associazione di pensiero tra circo e Palazzo non era voluta.
Al netto di alcune eccezioni, il segno comune è quello dell’esclusione. La bolognese Michela Montevecchi è una docente precaria di terza fascia di istituto, per altro uscita misteriosamente indenne da due pubbliche critiche rivolte a Beppe Grillo, che andrà a Roma in compagnia della concittadina Mara Mucci, mamma precaria, e Giulia Sarti, studentessa riminese con molte preoccupazioni sul proprio futuro. Anche Vito Petrocelli, da sempre impegnato a bloccare le nuove trivellazioni per la ricerca di petrolio nella Basilicata, ha qualche timore. Ma di natura politica. La sua militanza nella sinistra che più radicale non si può gli ha lasciato addosso qualche scoria. Abbandonò i Carc, i comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, quando decisero di farsi partito, a suo parere tradendo il marxismo per un leninismo più spinto. «Anche per il M5S esiste questo rischio, ma lo combatterò fino in fondo. Al momento mi trovo bene: qui si respira l’aria movimentista da anni Settanta che ho sempre cercato».
Come un caleidoscopio. Ognuno può trovare in storie molto diverse tra loro la conferma dei propri pregiudizi, siano essi di natura benevola o maligna. Ma i discorsi su eventuali inadeguatezze al ruolo o inesperienze assortite rischiano davvero di diventare un autogol. Il bresciano Vito Crimi è deciso a battersi affinché il massimario con le decisioni del presidente del Senato sulle questioni regolamentari venga messo a disposizione dell’intera aula. «Dopo le primarie ci hanno fatto studiare a lungo i regolamenti parlamentari. Ci sono molte cose da cambiare. Mi creda, non cadiamo dal pero». Conviene prepararsi. L’atterraggio dei marziani a Cinque Stelle potrà essere strano, non necessariamente doloroso.
Marco Imarisio