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 2013  febbraio 27 Mercoledì calendario

DALLE PRIMARIE AL GIAGUARO, I 4 ERRORI DELLA «NON VITTORIA»

Quand’è che il Pd ha cominciato a «non vincere» le elezioni in cui è «arrivato primo», secondo l’ultimo ossimoro bersaniano? Forse durante le primarie, quando respinse con sdegno gli elettori di centrodestra delusi. A Renzi, che li aveva invocati, fu risposto che si trattava di infiltrati, capaci di corrompere i valori della sinistra. Al secondo turno furono chiuse le porte a più del 90% di coloro che avevano chiesto di partecipare, proprio perché sospettati di essere elettori contaminati. Un qualsiasi partito che rifiuti in partenza di cercare consensi nel campo avversario è condannato alla «non vittoria». Ma nel caso della sinistra italiana equivaleva a una vera e propria vocazione minoritaria, visto che da decenni era ferma a un terzo dell’elettorato: dodici milioni di voti.
Il piano era di farseli bastare, contando sulla divisione e sulla debolezza con cui la destra usciva dalla sua legislatura di governo. Per questo il Pd ha scelto di combattere dall’opposizione la battaglia elettorale, dopo aver sostenuto per un anno il governo Monti. Ma su quel terreno ha trovato sulla sua strada l’imprevisto di un formidabile competitore, molto più spregiudicato e aggressivo: Berlusconi. Mentre Bersani prometteva «un po’ più di equità», il Cavaliere garantiva il rimborso dell’Imu. Nella caccia ai voti degli italiani schiacciati dal carico fiscale, inseguiti da Equitalia, oppressi dalla burocrazia, nel mondo delle partite Iva e dei proprietari di casa, la sinistra ha perso ancora una volta senza combattere, pur di restare nel perimetro del blocco sociale della Cgil. Il paradosso è la sconfitta non solo nel ricco Lombardo-Veneto ma anche nel povero Mezzogiorno, con un record negativo in Puglia che dice tutto del valore aggiunto di Vendola.
Il Pd ha sperato di sopperire a questa sua inferiorità sul fronte sociale con una superiorità sul fronte morale. L’onestà, la ripugnanza per il berlusconismo e i berlusconiani, la denuncia degli scandali di soldi e di sesso: questa sì che sembrava una risposta di sinistra. E se non ora, quando? Ma anche qui Bersani si è trovato di fronte un avversario molto più forte di lui: Grillo. Altro che smacchiare il giaguaro, quello voleva internare lo Psiconano. Mentre il Pd parlava di «rinnovamento», il Movimento 5 Stelle diceva «tutti a casa»; mentre Bersani voleva far entrare un po’ di «aria fresca», Grillo evocava uno «tsunami»; se il Pd si azzardava a vantare la sua «diversità», lui gli sbatteva in faccia il Monte dei Paschi. Di più: i grillini non affidavano la loro palingenesi morale alle Procure, come nella cupa versione del partito dei pm, ma a un ritorno alla democrazia diretta, a un sistema in cui il web prenda il posto dell’agorà ateniese e ogni cittadino possa governare la cosa pubblica. Pura utopia, ma roba che va forte nell’elettorato di un partito che si chiama «democratico» ed è cresciuto a pane e questione morale. Il risultato è che Berlusconi ha impedito al Pd di prendere voti a destra, e Grillo glieli ha tolti a sinistra. Si spiega così il peggior esito elettorale dai tempi dell’Ulivo.
Infine il Pd ha pagato il miraggio maggioritario del Porcellum. C’è stato un momento, durante il governo Monti, in cui il Pdl aveva offerto un patto istituzionale vantaggioso: una legge elettorale alla francese in cambio del presidenzialismo alla francese. Il Pd ha rifiutato, convinto che la pessima legge elettorale in vigore gli permettesse comunque di vincere anche con un solo voto in più e senza porsi il problema delle alleanze. Come è chiaro oggi, un voto in più non è bastato. Né sembra credibile che possa bastare ora per dar vita a un governo di minoranza «concesso» dal movimento di Grillo sul modello della Sicilia. Perché la differenza tra il Parlamento della Repubblica e l’Assemblea regionale siciliana sta in questo: che per fare un governo a Roma serve un voto di fiducia (al Senato non basta neanche l’astensione) e dunque non si può procedere «legge per legge» come a Palermo. Difficile che quella fiducia possa averla Bersani, il leader che non ha vinto.
Antonio Polito