Maria Corbi, La Stampa 27/2/2013, 27 febbraio 2013
FINI&C, FUTURO ALLE SPALLE IL TRAMONTO DELLA DESTRA – Un grande futuro dietro le spalle. Finisce così, travolta da un’onda anomala, la destra italiana
FINI&C, FUTURO ALLE SPALLE IL TRAMONTO DELLA DESTRA – Un grande futuro dietro le spalle. Finisce così, travolta da un’onda anomala, la destra italiana. Fuori dal Parlamento Gianfranco Fini con il suo Fli, Futuro e Libertà (meno di 158 mila voti e lo 0,46 per cento), trascinando con sè Italo Bocchino e tutti i fedelissimi. Ma anche la destra di Storace, che riesce comunque a ingaggiare un testa a testa con Zingaretti alla Regione. E da ferito ha la forza di dire a Fini: «Muore per il male che ha provocato». Dentro, Fratelli d’Italia, che rimane però un progetto, anche se Giorgia Meloni cerca di impacchettare il flop come fosse un buon risultato. Atto di presenza con lo 0,26 per cento quello di Forza Nuova di Roberto Fiore. Ancora peggio la Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli (0,13%), per non parlare di Casa Pound. Fini annuncia una nuova stagione e si veste da martire patriottico: «Se amare l’Italia ha un costo ma ne vale comunque la pena, non rientrare in Parlamento non è certo un motivo sufficiente per desistere dal tentativo di rappresentare da destra un’Italia mille miglia lontana dal berlusconismo e dal grillismo». Truppe di destra allo sbando. Esce dal Parlamento dopo 19 anni Riccardo De Corato, esponente di An e poi del Pdl confluito in Fratelli d’Italia (anche se corre per il Consiglio regionale lombardo). A Roma si direbbe che si consola con l’aglietto: «Siamo metà della Lega, più dell’Udc per non parlare di Fini e di Futuro e Libertà, formazione nata due anni fa e già sparita». Storace è il più realista e twitta: «Ci ho provato a rifare La Destra italiana, non ce l’ho fatta. Non è un buon motivo per pentirsene. Spero che altri ci riescano». E ancora: «Certo, oggi, tre o quattro di noi avrebbero potuto far ingresso alla Camera e uno al Senato, se solo la formazione della Meloni avesse raggiunto il due per cento, anziché l’1,94 e rotti. Ma non avremmo risolto alcunché, in fondo avremmo solo manifestato una soddisfazione più personale che politica. In realtà, per il Parlamento, è andata male, siamo stati travolti anche noi dallo tsunami grillino, avremo modo per ragionarci su senza la sindrome da poltrona mancata». Alle spalle della destra, oltre al futuro, e alle poltrone, ci sono macerie, come dice Tommaso Staiti di Cuddia, il barone «nero», in Parlamento con l’Msi dal 1979 al 1992, che a lungo ha conservato la speranza nel cambiamento della destra, che fosse evoluzione e non rottamazione. Adesso ha deciso di cosa si è trattato, spiegandolo nel suo libro, «Il suicidio della destra. Non uno schianto, ma una lagna», citando Ezra Pound. «Quando uno si vergogna di quello che è stato, senza per questo voler far rivivere quei tempi, è l’inizio della fine. E lo abbiamo visto. Solo i cretini cambiano facendo finta di essere stati altro». Parole destinate a Fini. E Storace: «Fatale l’abbraccio con Berlusconi». Casa Pound? «Del fascismo ci sono da salvare 3/4 idee, non fatti. Non ha senso la nostalgia ma solo capire la gente». Staiti di Cuddia segna in rosso l’errore fatale di Fini: «Avrebbe dovuto fare come Grillo, dimettersi dalla Camera quando Berlusconi glielo ha chiesto e iniziare a girare l’Italia come ha fatto Grillo. Doveva urlare i valori della destra: la sovranità nazionale, lo stato sociale, la dignità nazionale. Non ci sarebbe stata storia. E invece oggi sono tutti prigionieri degli agi e dei palazzi». «Manca una destra popolare - spiega Staiti di Cuddia -, capace di interpretare il popolo italiano. Grillo gli sta dando un sogno di comunità a un popolo ucciso dal berlusconismo. Glielo avevo detto a Gianfranco: farai la fine della Pivetti». E non è dato sapere se nel vaticinio sia compreso anche un cambio di look radicale. Scusi, barone, ma lei per chi ha votato? «Grillo, ovviamente». Due sole parole, il de profundis per sessanta anni di destra italiana.