Antonio Salvati, La Stampa 27/2/2013, 27 febbraio 2013
TUTTI PAZZI PER IL SANTO CON LA MAGLIA NUMERO 10 "NON TI SCORDEREMO MAI"
Fa strano è vedere tanti ragazzini urlare e cantare per Diego. Hanno più o meno 12 anni e allo stadio Maradona non l’hanno mai visto. «Sono qui da ore spiega Salvatore, occhio furbo e tracolla d’ordinanza - volevo vedere il dio del calcio che tornava a Napoli. Adesso posso pure morire», conclude allargando le braccia.
«Diego? Se si candidava vinceva le elezioni», si fa scappare l’amico. Poi tutti di nuovo a intonare «Oi vita, oi vita mia», come si cantava al San Paolo quando Maradona era in ospedale a combattere tra la vita e la morte. Dire che Maradona per i napoletani è come San Gennaro è blasfemo per il santo, ma anche per Diego. Si pregava in migliaia al Duomo perché quell’ampolla si riempisse del sangue del patrono. La domenica pomeriggio poi, si continuava a pregare nel catino del San Paolo perché il santo, quello con la maglia numero 10, «sciogliesse» a colpi di genio le difese più arcigne.
Questo è Maradona per i napoletani, un gigante di poco meno di un metro e 60 sulle cui spalle furono caricati secoli di vessazioni e prepotenze, di voglia di riscatto e di forza. «Maradona è come Totò, un simbolo per questa città. Solo che lui è vivo. È come un monumento, il Maschio Angioino, ma in carne e ossa», si fa prendere dall’emozione Nino D’Angelo che con Maradona ha cantato e anche girato un film.
Entusiasta anche Alessandro Siani, l’attore che proprio il Pibe ha voluto conoscere. «Fammi fare una piccola parte in un tuo film», la battuta di Maradona. «E tu fammi fare una piccola parte in una tua partita di calcetto», la risposta pronta del napoletano.
Napoli, nella vita di Maradona, non arrivò per caso. Gli ricordava Buenos Aires, come capì il primo giorno che calcò il San Paolo. In migliaia accorsero per vederlo solo palleggiare. Quandocalciò il pallone lì, nel cielo azzurro, tutti pensarono alla stessa cosa: qualcosa sta cambiando.
E Diego divenne il simbolo adatto a tutti. Per il borbonico era il re che ritornava, per il giacobino era l’Incorruttibile che si attendeva da tempo, per il filosofo il superuomo di Nietzsche, per il credente, appunto, a reincarnazione di San Gennaro. Conquistò nella leggenda popolare il trono che per secoli spettò di diritto a Masaniello. E tutto a colpi di sinistro.
Maradona lo sapeva. Si caricò il peso della storia su quelle piccole spalle e portò in patria, la sua seconda terra natìa, quello che ormai mancava da troppo tempo. Fu un atto d’amore. E i napoletani hanno ripagato da par loro quella generosità. Non è un caso che accanto alle edicole votive dei santi, iniziarono a spuntare quelle dedicate al Pibe de Oro. Nel cuore della città, di fronte alla statua del Nilo, è ancora conservato in una teca un capello di Maradona. A ogni santo la sua reliquia.
«Non ti scorderemo mai», è la frase scritta sulla torta preparata dalla moglie di Peppe Bruscolotti, ieri bandiera del Napoli oggi ristoratore e opinionista. Diego non è riuscito a vederla, ha dovuto lasciare il ristorante dell’amico a causa della ressa di tifosi. Nessuno avrebbe potuto sposare quella maglia, questa città, questa gente così come fece Maradona. Lui, in dote portò il rispetto.