Mario Deaglio, La Stampa 27/2/2013, 27 febbraio 2013
LA CREPA TRA GIOVANI E VECCHI FA VOLARE I CINQUE STELLE
«Questa è una guerra generazionale!»: così Beppe Grillo sul suo blog mentre si stava delineando il risultato elettorale più sbalorditivo della storia italiana. Un’affermazione insolita, certo, ma anche un utile punto di partenza per analizzare seriamente il Movimento 5 Stelle. La maggioranza degli italiani di età media o medio-alta, o dai redditi medi o medio-alti, in questi anni non lo hanno trattato come un fenomeno politico-sociale; lo hanno invece relegato, assai poco saggiamente, al rango di manifestazione folkloristica.
Alla base del successo del Movimento 5 Stelle non c’è affatto il folklore ma una lacerazione ampia, profonda e sottovalutata del tessuto economico-sociale italiano. Quasi novant’anni fa, un’intera generazione di italiani ebbe le proprie certezze, le proprie aspettative - e spesso la propria vita - distrutte dalla Prima Guerra Mondiale e da quanto ne seguì.
In maniera sicuramente meno dura, ma forse non meno profonda, un’altra generazione di italiani si trova oggi alle prese con un problema di identità culturale e di sopravvivenza economica.
Grazie a un sistema di mercato privo di freni e poi agli effetti della crisi economica globale, la maggioranza degli italiani di età all’incirca compresa tra i 25 e i 40 anni si è vista privare di vari aspetti della vita che erano normali nelle generazioni precedenti: una ragionevole sicurezza di trovare un lavoro stabile, un reddito sufficiente e orizzonti di vita rassicuranti. Spesso devono invece accontentarsi di condizioni per un’esistenza precaria, in contrasto stridente con la sicurezza che, sia pure con redditi modesti, ancora contrassegna le generazioni più anziane.
Il fenomeno riguarda, in forma più o meno acuta, tutti i Paesi ricchi e segnatamente l’Europa Occidentale, dove qualche fenomeno simile al grillismo si è già manifestato e pare destinato a crescere in futuro; raggiunge però le sue punte più acute in un’Italia sostanzialmente priva di crescita da un ventennio e toccata dalla crisi più duramente degli altri Paesi. E’ in conseguenza di questa lacerazione che, secondo dati resi noti ieri dall’Eurostat, il 28,2 per cento degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale, la quota più alta tra i Paesi ricchi dell’Unione Europea (in Francia, Germania e Gran Bretagna si ha rispettivamente il 19, il 20 e il 23 per cento). Tra i giovani sotto i 18 anni il triste record italiano è ancora più marcato: 32 per cento, contro il 20 per cento in Germania, il 23 per cento in Francia e il 27 per cento in Gran Bretagna).
E’ facile trovare qui la base socioeconomica del «grillismo»: un gruppo numeroso e dimenticato prende coscienza di sé e si chiama fuori dal tradizionale «gioco» economico-politico. Non ne condivide i riti e i ritmi anche perché non gli è concesso di condividerne le garanzie e i redditi. Si spiega così perché il Movimento 5 Stelle non sappia che farsene di poltrone, non miri a entrare nella stanza dei bottoni ma piuttosto voglia controllare che cosa realmente fanno coloro che sulle poltrone si siedono e i bottoni del potere li premono. Non vuole, sempre per citare il blog di Grillo, sedersi in Parlamento a destra o a sinistra ma piuttosto «dietro» per verificare quello che fa chi sta in prima fila.
A questo nucleo centrale del grillismo si devono aggiungere - sullo sfondo una crisi assai più brutta di quella dei nostri vicini europei - gli elettori animati da un generico scontento, dall’esasperazione nei confronti di una casta politica incapace sia di rinnovarsi dall’interno, sia di accettare un rinnovamento dall’esterno, sia infine di tagliare i propri sprechi. A queste incapacità occorre aggiungere l’insensibilità delle istituzioni europee che qualche giorno prima delle elezioni hanno annunciato, senza mezza parola di scuse, che avevano sbagliato i calcoli: l’Italia avrà ancora un 2013 di recessione e circa mezzo milione di disoccupati in più. Tutto ciò è sufficiente a spiegare perché, su quattro italiani che si sono recati alle urne, uno abbia votato per le Cinque Stelle e perché un italiano adulto su quattro non voglia essere coinvolto nel pagamento di un debito pubblico contratto da un’altra generazione, oggi dotata di pensione o redditi da lavoro sostanzialmente sicuri. Vuole invece recuperare, almeno in parte, i servizi pubblici che gli sono stati tagliati, i redditi e le certezze che ha perduto.
Di fronte a questo fenomeno, socio-economico prima che elettorale, la classe politica non ha molte scelte. Deve accelerare quella profonda evoluzione che le forze politiche hanno accuratamente evitato, a destra con la promessa di restituire redditi che non possono essere restituiti (se qualcuno avesse qualche dubbio, può guardare l’andamento della Borsa italiana e dell’asta di titoli del debito pubblico di ieri) a sinistra con la rinuncia a un progetto radicale di rinnovamento interno che avrebbe «rottamato» l’attuale dirigenza.
Qualsiasi programma di governo deve tener conto della necessità di cominciare a trasferire (sotto forma non solo monetaria, ma anche di servizi pubblici) una quota delle risorse del Paese a questa grande fascia di italiani a rischio. E’ probabile che tutto questo implichi un confronto più duro a livello europeo, volto a ottenere lo stesso trattamento della Francia, alla quale è stato concesso un tempo molto maggiore dell’Italia per rientrare dal suo deficit. In ogni caso, chiunque sarà il prossimo Presidente del Consiglio dovrà comprendere e non demonizzare; dovrà impedire che un’Italia che assomiglia a un vaso crepato si spezzi lungo la linea giovani-vecchi.