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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

PER IL PD «DÉBÂCLE» AL SUD

Questa volta la lotteria del Senato non ha prodotto un vincente. Ci eravamo già andati vicino nel 2006. Ma alla fine con molta fortuna Prodi era riuscito ad avere una maggioranza in entrambe le Camere. Questa volta non è andata così. Roberto D’Alimonte A l Senato erano possibili tre esiti. Si è verificato il più improbabile e il peggiore per il paese. La coalizione di Bersani e la lista civica di Monti non fanno maggioranza in questo ramo del Parlamento, come era dato invece praticamente certo nei pronostici della vigilia. Dovranno ricorrere al sostegno di Grillo o di Berlusconi. Nemmeno con una coalizione di destra fortemente indebolita questa sinistra è riuscita a vincere. Bersani e Vendola hanno ottenuto un risultato inferiore a quello di Veltroni e Di Pietro nel 2008, sia a livello nazionale che in tutte le regioni. Alla Camera il vincitore sembra essere il Pd. Ma sarà solo grazie al sistema elettorale. Con un sistema di voto proporzionale non ci sarebbe stato nemmeno in questo ramo del Parlamento. Ma il problema è che si vince con una percentuale di voti inferiore al 30%. Mai nella storia della Seconda Repubblica era successa una cosa simile. È un chiaro indicatore della disintegrazione dell’attuale sistema politico. Il confronto tra i risultati del Senato di oggi e quelli del 2008 è illuminante. Allora Berlusconi aveva vinto in tutte le regioni del Nord compresa la Liguria. Lo aveva fatto con una media di consensi vicina al 50 per cento. Oggi in questa parte del Paese ha vinto solo in Lombardia e Veneto con meno del 40% dei voti. La sinistra invece è riuscita a prevalere in Piemonte, Liguria e Friuli-Venezia Giulia. Cinque anni fa non aveva vinto in nessuna regione del Nord. Questa volta lo ha fatto con meno voti di quelli presi dalla coalizione di Veltroni. Alla coalizione di sinistra sono andate le regioni della zona rossa, come sempre, più la Basilicata e il Lazio. Questa ultima regione è la novità positiva per Bersani. Qui non avevano vinto né Prodi nel 2006 né Veltroni nel 2008. Ma questo successo non basta a compensare la debacle in tutte le maggiori regioni del Sud, anche in quelle che i sondaggi pubblicati prima del blackout e quelli fatti e non pubblicati durante, davano per assegnate stabilmente alla sinistra. In Puglia, Campania e Sicilia la destra ha vinto con percentuali tra il 33% della Sicilia e il 37% della Campania. Qui aveva perso anche Veltroni ma la sua coalizione aveva ottenuto percentuali più alte di quelle di Bersani. Per non dire di Prodi che nel 2006 in Campania era riuscito a spuntarla anche se solo per il rotto della cuffia. Il successo di Grillo è andato al di là delle previsioni sbagliate dei sondaggi. Non si è mai visto in Europa un partito che presentandosi per la prima volta alle elezioni politiche entra in parlamento con più del 23% dei seggi. Non c’era riuscito nemmeno Berlusconi nel 1994 con Forza Italia che ottenne il 21. Quando si potrà fare una seria analisi dei flussi elettorali riusciremo a capire da dove vengono i voti del Movimento Cinque Stelle e chi, tra i Pd e Pdl, abbia pagato il prezzo più alto alla sua eccezionale performance. Quanto a Monti la sua coalizione è riuscita a superare la soglia alla Camera e la sua lista ha fatto lo stesso al Senato ma non si può certo parlare di un risultato brillante. Il sistema elettorale non lo ha favorito ma c’è dell’altro in una performance di molto inferiore alle attese. Un commento finale va riservato ai sondaggi. Queste elezioni confermano il fatto che sono cambiate in modo radicale alcune coordinate fondamentali dei comportamenti di voto degli italiani. In particolare l’irrompere di Grillo sulla scena politica sembra aver tagliato gli schieramenti in modo trasversale. Dal punto di vista sociale, politico e territoriale, tanto da mandare completamente in crisi anche i modelli di analisi tradizionali. La crisi del rapporto tra gli italiani e i partiti appare aver toccato un livello critico, in cui gli strumenti comunemente utilizzati per studiare gli atteggiamenti politici (campioni statistici rappresentativi, interviste, sondaggi) appaiono scarsamente adeguati a cogliere il cambiamento. Si tratta di una questione delicata, visto che in Italia vengono in realtà impiegate le stesse metodologie utilizzate negli Stati Uniti e nei principali paesi europei, e che in quei casi permettono quasi sempre una previsione piuttosto accurata dei risultati. In Italia questi strumenti non sono stati in grado di cogliere il cambiamento. E così ci troviamo davanti ad una situazione del tutto imprevista e che sarà molto difficile da gestire.