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 2013  febbraio 24 Domenica calendario

GEORGES WOLINSKI

[Spesso accusato di essere “un porcone maschilista” ossessionato dal sesso e dalle donne, il maestro francese è venerato da schiere di giovani disegnatori. E da più di mezzo secolo continua a divertirsi e a divertire con le sue vignette Ora che si avvia verso gli ottanta punta all’assoluzione: “Sono solo un proletario del pennarello che nella vita ha scelto di far ridere”] –
PARIGI
Iconoclasta. Provocatorio.
Spiazzante. Sono oltre cinquant’anni che Georges Wolinski fa ridere i francesi (e non solo) con i suoi disegni irriverenti e corrosivi, ricchi di gioiosa vitalità ma anche di una vena di melanconia. Dalla politica alle donne, dall’esercito alla chiesa, il disegnatore francese con le sue vignette al vetriolo ha irriso tutto e tutti, a cominciare da se stesso e dalle proprie debolezze. Venerato come un maestro da schiere di disegnatori più giovani — ma anche accusato di essere solamente un «tragico buffone» nonché un «fallocrate ossessionato dai propri fantasmi» — Wolinski è sempre pronto a sorprendere il suo pubblico. Così, per prepararsi agli ottanta, che compirà tra poco più di un anno, ha mandato in libreria un enorme volume di oltre novecento pagine, Le pire a de l’avenir (Editions Cherche Midi, 23,90 euro), in cui ha ripercorso a modo suo mezzo secolo di scandali e avventure artistico-politiche, accumulando disegni, aforismi e ricordi personali. Insomma, una summa del Wolinki pensiero e del suo umorismo caustico e libertino, accolta dalla stampa francese come il folgorante manifesto di uno spirito libero.
«Se si vuole essere popolari, occorre saper essere impopolari», spiega Wolinski accogliendoci nella sua bella casa parigina, nel centralissimo quartiere di Saint Germain de Près. L’uomo è cortese e pacato, nulla a che vedere con lo stereotipo dell’artista incendiario che spesso gli è stato cucito addosso. Piuttosto un anziano borghese che ama i piaceri della vita in nome di un epicureismo mai rinnegato, anche se forse un po’ annacquato dal passare degli anni. «La ricchezza, l’ambizione, il successo mi sono estranei. Mi piace vivere bene, ma posso anche farne a meno. L’unica cosa che m’interessa è mettermi davanti a un foglio bianco, trovare un’idea, trasformarla, farla diventare un disegno. Ed essere felice quando ci riesco ». Sul metodo, il disegnatore ha le idee chiare: «L’umorismo è una cosa molto semplice, è ridere di quello che si osserva. Io guardo il mondo e mi metto a ridere. Poi cerco sempre nuovi modi per comunicare e farmi capire. Insomma, sono un gran lavoratore, un proletario del disegno». Certo, l’autore di libri come
Il porcone maschilista, Abbasso l’amore e Le donne pensano solo a quello — libri che hanno fatto ridere generazioni di lettori, ma soprattutto i figli del boom che hanno conosciuto gioie e dolori della liberazione sessuale — sa che i suoi disegni hanno sempre fatto scandalo, ma la cosa non gli dispiace affatto, anche se ricusa ogni volontà di provocazione: «Io voglio solo far ridere. La provocazione fine a se stessa non m’interessa. In passato mi hanno considerato immorale e pornografo. Secondo me, è immorale solo la stupidità, l’idiozia umana. La supponenza e l’arroganza di coloro che pretendono di dirci cosa dobbiamo fare». Oggi però Wolinski non è più controverso come in passato. Il suo talento è unanimemente riconosciuto e le sue dissacranti vignette vengono pubblicate sia da Charlie Hebdo che da Paris Match.
Insomma, è quasi diventato un monumento nazionale, motivo per cui l’anno scorso la Bibliotèque Nationale de France, a cui ha lasciato tutti i suoi archivi con più di mille disegni originali, gli ha dedicato un’importante retrospettiva. Che il provocatore Wolinski sia rientrato nei ranghi? «Assolutamente no, non l’ho mica chiesta io la mostra », risponde lui, preferendo ricordare una frase del suo libro: «Restiamo giovani fin quando continuiamo a farci qualche illusione su noi stessi».
Nato a Tunisi da padre polacco e madre franco-italiana, Wolinski si ricorda ancora di quando passava i pomeriggi nella pasticceria dei nonni facendo i suoi primi disegni sulla carta per impacchettare le torte. Ma è solo più tardi, durante la guerra d’Algeria,mentre si ritrova a fare il servizio militare nel bel mezzo del Sahara, che scopre il disegno umoristico, riprendendo lo stile ironico della celebre rivista americana Mad Magazine.
All’epoca inventa anche una parodia di un poema di Victor Hugo, Dopo la battaglia, che a ventisei anni gli apre le porte di Hara-Kiri, il mensile «stupido e cattivo», nella cui redazione incontra gente del calibro di Cavanna, Topor o Reiser. «All’inizio, nelle mie tavole c’era una dimensione surrealista, dato che apprezzavo Dalì e Magritte. Poi però, quando mi sono trovato davanti alla grande pittura di Botticelli, mi sono quasi messo a piangere per l’emozione. La pittura italiana resta uno dei miei modelli insieme ai caricaturisti francesi come Daumier e Grandville». Sono però i disegnatori americani a segnare per sempre il suo percorso artistico. Ad esempio Harvey Kurtzmann e la sua molto sexy Little Anny Fanny pubblicata da Playboy.
«Guardando quello straordinario personaggio, mi è venuta voglia di disegnare personaggi femminili, anche se non sono bravo come lui e non ho la sua stessa tecnica. Lo faccio a modo mio e con mezzi modesti ». D’altra parte, il disegnatore ammette che occorre imitare molto gli altri prima di diventare se stessi: «Io l’ho fatto senza scrupoli. Poi, a poco a poco, mi sono liberato di tutte le influenze, trovando uno stile personale, più rapido e essenziale. Forse è stata la scoperta del pennarello che mi ha aiutato, perché si disegna più rapidamente».
Per via delle lontane origini italiane Wolinski ci considera ancora oggi una seconda patria, anche se rimpiange di non poter venire più spesso. Ricorda con emozione Oreste Del Buono, conosciuto ai tempi in cui pubblicava su Linus, e tra i suoi amici ci sono Staino e Altan, di cui, sebbene a distanza, continua a seguire il lavoro, convinto per altro che non ci siano grandi differenze tra umorismo italiano e francese. «L’umorismo è universale e funziona dappertutto allo stesso modo. Per questo non credo all’umorismo ebraico, americano, francese, ecc. Esiste l’umorismo e basta. O lo si ha o non lo si ha. Ho viaggiato in tutto il mondo, ho conosciuto molti umoristi e disegnatori. In fondo, ridiamo tutti delle stesse cose». E l’umorismo è innanzitutto spirito critico, capacità di prendere i lettori in contropiede e soprattutto indipendenza. «Il vero umorista è ateo, laico e senza credenze. Anzi, si batte contro tutte le credenze e la mancanza di libertà. È per questo che sto bene in Francia, paese di libertà, uguaglianza e fratellanza. È tutto quello di cui ho bisogno».
Chi fa satira non deve mai prendersi troppo sul serio. Deve irridere la società, le sue mode e le sue contraddizioni, senza dare lezioni. Wolinski ha seguito questo precetto anche prendendo di mira le relazioni tra sessi, ironizzando sulle sue tendenze da macho mediterraneo e divertendosi soprattutto con le donne, onnipresenti nella sua carriera: «Adoro guardarle e disegnarle. Disegno spesso le mie amiche, ma anche mia moglie. Tutto è bello nelle donne, perché mai non dovrei esserne ossessionato?». E quando gli si chiede perché le disegna sempre nude risponde con finto candore: «Forse il mio è uno sguardo critico, uno sguardo che spoglia». Facendosi beffa del romanticismo come del maschilismo, Wolinski ha ribaltato i ruoli tradizionali, disegnando donne volitive, aggressive, affamate di sesso, riuscendo a far ridere innanzitutto le lettrici.
«L’ossessione del sesso non vale solo per gli uomini. Anche le donne ci pensano di continuo. E se con un disegno riesco a far ridere le donne, allora significa che ce l’ho fatta», spiega il disegnatore, che ricorda ancora con fastidio il clima soffocante degli anni Sessanta, la repressione sessuale e la mancanza di diritti: «Io all’inizio non parlavo mai di politica, non mi interessava. L’ho scoperta solo nel ’68, quando sono diventato un
gauchiste.
Eravamo contro la società, il potere, la morale. E avevamo ragione, dato che, alla fine dell’epoca di De Gaulle, la Francia era un paese ammuffito e immobile, perfino grottesco nel suo conformismo». E se oggi si dice assolutamente non pentito della sua partecipazione alle battaglie di quell’«epoca formidabile», poi però con il suo tipico gusto per il paradosso commenta malizioso: «Abbiamo fatto il Sessantotto per non diventare quello che poi in effetti siamo diventati». E conclude ricordando uno dei suoi aforismi preferiti: «Quando si è giovani si ha il diritto di esser stupidi. Quando si è adulti, si ha il diritto di sbagliarsi. E quando si è vecchi, si ha il diritto di essere cattivi». Forse cattivo Wolinski non lo è, ma ironico e divertente certamente sì. Che poi è un modo per restare giovane e sfuggire «all’inquietudine e alla
fatalità» degli anni che passano.