Maurizio Crosetti, la Repubblica 24/2/2013, 24 febbraio 2013
CARLO PETRINI [E
ora facciamo] –
POLLENZO (Cuneo)
Il piatto piange, forse perché è troppo pieno. Ma cosa ci metteremo dentro tra cinque anni? Tra dieci? Come evitare il tortellino di cavallo e la moda della cucina spettacolo? Come sgonfiare i nostri bambini obesi? Come mangiare meglio senza chiedere un mutuo alla banca (tanto, ormai non ne danno più)? Domande in fila come in una carta dei vini, più complesse del più incomprensibile menù di uno di quei cuochi d’artificio che fanno i fenomeni con i sifoni, e vorrebbero stordirci con la cucina molecolare.
Per capire cosa stiamo mangiando e cosa mangeremo domani, dopodomani, e come, forse è una buona idea infilare l’autostrada che da Torino scende in picchiata verso il mare, uscire a Marene, provincia di Cuneo, e proseguire fino a Pollenzo, una gran pianura, un campanile e un’antica corte alla Ermanno Olmi. Qui, sulla facciata di un vecchio casale tirato a lucido, c’è scritto “Università degli studi di scienze gastronomiche”. È il regno di Carlin Petrini, inventore di Slow Food, uno degli italiani che più contano nel mondo, il carismatico profeta del cibo buono, pulito e giusto: il suo mantra. Nessun segreto alimentare sfugge in queste aule, nei laboratori che fanno tanto America nella Provincia Granda, metà degli studenti sono stranieri, molti africani, con borse di studio internazionali. Insieme a Carlin, in questa mattina già odorosa di primavera anche se in terra c’è il biancore del ghiaccio e il riverbero azzurro-rosa della neve, ecco Oscar Farinetti, il guru di Eataly, gioco di parole che non è affatto un gioco. Nei suoi negozi si compra cibo come in un golosissimo viaggio in Italia, solo i migliori produttori hanno l’onore dello scaffale in una strategia assolutamente glocal.
E alle casse c’è sempre la coda, anche in tempo di crisi raggelante. L’ideologo e il mercante, sia detto col massimo rispetto, il filosofo del gusto insieme a chi quel gusto vende in modo nuovo, quasi rivoluzionario, seguendo la scommessa della qualità e della tipicità. Se non lo sanno loro, cosa stiamo mangiando e cosa mangeremo domani, non lo sa nessuno. «Io sono ottimista», dice Farinetti: coerente, visto che proprio lui inventò i famosi slogan per Tonino Guerra (“Gianni, sono ottimistaaa!”, “L’ottimismo è il profumo della vita!”), quando il grande poeta faceva pubblicità a lavatrici e televisori. «La gente ha ormai acquisito una diffusa consapevolezza del cibo, ne ha conoscenza e cultura. Mangiare bene non è solo un vezzo da fighetti del gusto, me compreso, ma un valore: per mangiare bene, intendo anche in modo giusto e pulito. Si torna sempre al folgorante libro di Carlin. Sul buono, il più è fatto, mentre il pulito sarà una componente di marketing micidiale: purché si semplifichino le cose. Oggi tra biologico e biodinamico c’è ancora confusione, al consumatore serve chiarezza». La chiarezza di sapere, se possibile, cosa diavolo stiamo mangiando, a che ora della giornata ci scapperà il primo nitrito e se qualcuno bara. «Il futuro del cibo passa sempre attraverso il rispetto dell’ambiente e dei contadini», dice Carlin. «Domani mangeremo meno e mangeremo meglio, ricordando che il consumo non è l’unica risposta alle difficoltà del presente, anzi. Oggi si produce cibo per dodici miliardi di viventi, anche se nel mondo siamo sette miliardi di cui un miliardo non mangia. Vanno distrutti milioni di tonnellate di cibo, la crisi è entropica, consumiamo troppa energia per produrne pochissima e stiamo finendo l’acqua, la vera emergenza di domani».
Sembra di capire che nel nostro piatto finirà meno roba, però più buona. Ma a quali cifre, Farinetti? «L’unica chance è la qualità alta, siamo italiani e dunque siamo fortunati, perché qui da noi c’è tutto il meglio. Il futuro del cibo è artigianato e manualità: anche le multinazionali si metteranno in riga, perché il poliziotto del gusto è il consumatore consapevole. Se questo signore qui...» e Oscar indica Carlin «un giorno andasse in tivù per dire di non comprare più nessun prodotto con la lettera E sull’etichetta, dove E sta per coloranti, ne vedremmo delle belle. Su quelle etichette, però, oggi si comincia a leggere “prodotto con latte di montagna”, anche gli spot delle grandi aziende alimentari puntano sulla qualità; certo, poi qualcuno fa la cazzata imperdonabile del cavallo dentro i ravioli, però sono eventi rari. Tre quarti di quelle pubblicità positive sono strumentali, ma forse almeno un quarto è virtuoso». Anche gli italiani stanno diventando ciccioni, i nostri figli fanno sempre meno sport, a parte lo strappo della merendina a metà pomeriggio. Carlin, come evitare il suicidio di massa a tavola? «Nel piatto del futuro prevedo più frutta, più verdura e meno carne, senza demonizzare niente. Oggi in Italia consumiamo novantacinque chili di carne pro capite all’anno, un’enormità, negli Usa sono addirittura centoventi mentre nell’Africa subsahariana siamo fermi a cinque. Contrazione e convergenza diventano parole chiave: contrarre i nostri eccessi e farli in qualche modo convergere verso chi ha poco o nulla».
Un diverso modo di mangiare sarà anche un diverso modo di fare la spesa. Al mercato, più che all’ipermercato. «Stagionalità e territorio sono due cardini del futuro», ripete Carlin. «Il chilometro zero costa meno, è più buono ed è più logico. È assurdo cercare i cibi fuori stagione, si spende un patrimonio e non hanno gusto. Bisogna imparare il governo del limite, è questo il nuovo paradigma: per produrre un chilo di carne bovina, oggi servono quindicimila litri d’acqua, è l’inizio di un clamoroso dissesto ambientale. Qui in provincia di Cuneo siamo seduti su una bomba ecologica: le deiezioni dei maiali inquinano la prima e la seconda falda acquifera, e l’acqua inquinata entra nella catena alimentare. A questo bisogna aggiungere la fine dei contadini, e quei pochi rimasti non li rispetta nessuno: eppure sono loro, tra le altre cose, a tenere insieme l’ecosistema. Il cibo di domani passa dal ritorno agli orti, l’ha ben capito Michelle Obama che ha sostenuto questa pratica nelle scuole americane, mentre da noi bisogna ancora confidare nella buona volontà degli insegnanti, in totale assenza della politica. Frutta e verdura saranno un modo per combattere l’obesità infantile, autentica pandemia del mondo occidentale ». Altro caposaldo del pensiero slow: «Valorizzare lo scambio e la diversità, che resta la più grande forza creatrice del mondo. La pasta col pomodoro è il nostro piatto nazionale, ma né la pasta né i pomodori hanno origine italiana».
Il cibo è un immenso contenitore dove stanno comodissime l’antropologia e l’economia, la sociologia e le scienze dell’alimentazione, la salute e la ricerca di nuove tendenze. È godimento e moda, insidia e mercato. «Nel nord del mondo si spende l’ottanta per cento per oggetti che stanno fuori o attorno al corpo, e il venti per cento per il cibo», fa di conto Farinetti. «Dunque c’è un grande spazio di manovra perché, senza offesa per orologi e cravatte, le cose attorno al corpo poi finiscono e hanno un po’ meno valore di quello che mangiamo. Ci sarà un motivo se l’istinto di conservazione della specie passa attraverso due orgasmi, quello del sesso e quello del cibo. E a tavola, come nell’amore, se conosci davvero il tuo partner, se gli vuoi proprio bene, godi il doppio». Dunque, domani mangeremo meglio perché ne sapremo di più? «Certo, ed è un sapere che si va estendendo. Credo che Eataly, in coda a Slow Food e a Terra Madre, abbia avuto una parte di merito in questo processo culturale, non solo commerciale ». E chissà se sta diventando cultura, cultura televisiva di massa, pure la crudeltà dei grandi cuochi sadici che dileggiano concorrenti imbambolati davanti alle telecamere. Carlin, che dire di MasterChef?
«La cosa incredibile è che sta conquistando i bambini. Ma io mi chiedo: che senso ha?». E lei, Oscar, ogni tanto guarda questa graticola umana? «Mah, se nei talent-show culinari si parlasse anche di terra e prodotti, niente da dire, invece si fa spettacolo. Stimo molto le competenze e la sapienza gastronomica di Bastianich e Cracco, due amici, però si vede che recitano un copione». «Davvero», interviene Petrini, «io conoscevo Carlo Cracco come un ragazzo timido, tutto il contrario di quello che viene fuori in tivù». La contrazione del mercato e la moltiplicazione dei consumi alimentari sembrano due aspetti in assoluta contraddizione, però è quello che sta accadendo. Non solo il piatto è troppo pieno, come le arterie ingolfate di colesterolo, ma anche il carrello. Una deriva, oppure un’opportunità di sviluppo? La crisi può trasformarsi in risorsa? Mangiare meno e mangiare meglio? Comprare con più cervello? «Oggi gli allevatori della provincia di Cuneo vengono pagati il trentadue per cento in più della media nazionale», risponde Farinetti. «Questo permette di produrre qualità, vivere bene, farsi le vacanze e costruirsi la casetta. È una delle ragioni del mio ottimismo, perché la crisi può non paralizzare, ma anzi migliorare il mercato. Purché, lo ripeto, si scelga la strada dell’eccellenza. Il periodo della “paura delle pillole”, cioè del cibo da ingurgitare al volo come astronauti, è finito. Nonostante la cronaca degli ultimi giorni, si stanno riducendo anche i rischi di contraffazione: i ravioli di cavallo sono l’eccezione, non la regola. Nessuna azienda sana di mente sceglie di suicidarsi». E la ristorazione può uscire dall’imbuto? «I governi devono mettersi in testa di aiutare chi lavora in modo serio, defiscalizzando e alleggerendo l’immane peso della burocrazia. Tra tasse sulle insegne, sui rifiuti, imposte varie e controlli sacrosanti ma a volte eccessivi, il ristoratore affoga. Ricordiamoci però che in Italia ci sono meravigliose osterie, non solo i cuochi stellati, e loro rappresentano una risorsa enorme». In quel piatto non si piange, si sorride di gusto, lentamente.