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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

LA RINUNCIA AL SOGLIO SECONDO GADDA

Nel contesto delle dimissioni di papa Ratzinger, è mancata la lettura in chiave grottesca che avrebbero potuto offrire scrittori come Carlo Emilio Gadda o Guido Morselli. Prendiamo quest’ultimo. Non molti, in questi giorni di stupore e incredulità, hanno ricordato che Morselli, l’autore postumo per eccellenza, scrisse tra il ’66 e il ’67 un romanzo intitolato Roma senza papa (Adelphi). Siamo alla fine del secolo XX e la capitale è la solita città in preda a un persistente chiacchiericcio teologico, a coloriti pettegolezzi, alla corruzione spirituale e materiale. Una capitale sfacciatamente mondana ma sempre papalina. Il papa Giovanni XXIV, ex abate di Dublino, è il secondo straniero a salire sul soglio pontificio nel giro di pochi anni. Probabilmente fidanzato con una teosofa indiana e buddista, il Pontefice, tipo ombroso e timido a differenza dei suoi predecessori, buon cavalcatore e tennista, allevatore di serpenti e goloso di dolciumi, decide di ritirarsi: lascia la sede vaticana per trasferirsi in una specie di complesso di villette a schiera nei pressi di Zagarolo, ripudiando la romanità «fastosa e festosa» in cerca di un’austerità contro il «socialidarismo» diffuso, la turbolenza turistica, il disordine, i rumori dell’Urbe, dove gli ex voto sono ridotti a gadget, i confessionali sono computerizzati e la «tracotanza tecnologico-socio-economicistica» impera.
Un sacerdote svizzero è lì per essere ricevuto dal Papa irlandese: lo troverà nella nuova residenza, con il suo stile ilare e un po’ spento a parlare con ironica cordialità dell’audace modernizzazione della Chiesa, che ha ormai abolito il celibato per i preti e liberalizzato il tabacco, il parto indolore, gli anticoncezionali, l’eutanasia, la droga, eccetera. È interessante che Morselli, quasi mezzo secolo fa, abbia intuito che il mancato equilibrio tra apertura al mondo, segretezze politiche, sacralità di facciata e spirito autenticamente religioso avrebbero portato a conseguenze devastanti all’interno della Chiesa con l’autoesilio del Pontefice. E chissà se quelle sue tinte grottesche, appunto, non racconterebbero benissimo anche le attuali disfunzioni vaticane.
Ci vorrebbe un Gadda. Che visitando la chiesa romanica di Santa Maria di Collemaggio, fatta costruire da Celestino V, ripensò alle tristi vicende del papa del «gran rifiuto» e con toni più indulgenti di quelli danteschi. Riportò la leggenda che il futuro Bonifacio VIII di notte avesse insinuato con una tromba al povero Celestino V di lasciare il pontificato. «A un povero vecchio di 84 anni, già prigioniero, e non metaforicamente, di tutta quella politica angioina e gaetana, fargli sonare un trombone dal soffitto della camera da letto, di notte, al buio, con la minaccia del castigo di Dio... C’era da morire di spavento». E a proposito dell’Alighieri, così accusatorio, aggiunge: «Come spesso, Dante esagera: "per viltade"! a 84 anni! Vorrei vederlo lui».
Paolo Di Stefano