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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

ELEZIONI ANTICIPATE O LARGHE INTESE. LE DUE STRADE DOPO LO «TSUNAMI» —

Sanno che quando la polvere dello scontro elettorale si sarà posata, dovranno fare i conti con l’unica formula che potrebbe garantire oggi la governabilità al Paese. Sanno che, quando gli slogan pronunciati ai comizi andranno sostituiti dai ragionamenti per le consultazioni al Quirinale, dovranno prendere in esame l’unico scenario parlamentare possibile. Insomma, Pd e Pdl sanno che per calcolo numerico e politico si troveranno costretti a discutere di Grande coalizione. È vero che alla vigilia del voto i Democratici consideravano un «suicidio» una simile prospettiva, ma valutavano come un «suicidio» anche un ritorno immediato alle urne. Ed è altrettanto vero che — al pari di Bersani — anche Berlusconi diceva «mai più con i nostri avversari».
Ma il responso delle urne porrà i due partiti dinnanzi a una scelta: «suicidarsi» o assumersi quelle responsabilità che hanno delegato per un anno e mezzo ai tecnici. E la richiesta del Pdl al Viminale di non ufficializzare il risultato della Camera è un modo per congelare la sfida nel «pareggio», quasi fosse un passo verso il governissimo. D’altronde l’inseguimento dei cinquestelle per formare una maggioranza in Parlamento è tempo perso, o meglio è un modo del Pd per prender tempo, in attesa di metabolizzare la larga coalizione. Anche perché il vero obiettivo di Grillo — che è stato capace di un exploit non riuscito nemmeno a Berlusconi nel ’94 — è quello di tornare al voto «nel giro di sei mesi», per capitalizzare il successo in una nuova tornata elettorale e sbaragliare ciò che resta delle forze nate nella Seconda Repubblica.
Certo, mettere insieme due progetti alternativi è a dir poco complicato, perciò il percorso si preannuncia lungo, tortuoso e drammatico. E non sarà a costo zero. L’unica variabile è quella profetizzata alcune settimane fa dal ministro Fabrizio Barca, che in un’intervista al Corriere disse come «senza una maggioranza stabile potrebbe accadere, una volta eletto il capo dello Stato, di tornare alle urne», magari con un cambio della legge elettorale. Un’opzione da mettere in preventivo, dato che il governo Monti non si è formalmente dimesso, e dunque potrebbe andare avanti per il disbrigo degli affari correnti, in attesa di una nuova sfida elettorale. Ma tanto il Pd quanto il Pdl sono consci che in quel caso il «vaffa voto» li sommergerebbe.
Ecco perché, per calcolo politico e numerico, devono prendere in esame le larghe intese, che vedrebbe il centro montiano ininfluente. E chissà se il Professore, dinnanzi a una sconfitta senza appello, avrà pensato al ruolo che avrebbe avuto adesso se non fosse «salito in politica». La débâcle centrista è uno dei risvolti che fanno di Berlusconi un «perdente di successo». L’emorragia di voti subita nelle urne è stata compensata dall’impasse che si è verificata al Senato, e che in potenza garantisce un ruolo al Cavaliere nelle trattative per il governo e per la scelta del futuro presidente della Repubblica.
Bersani farebbe volentieri a meno di una simile intesa, ma se il Pd optasse per le elezioni anticipate, il leader dei Democrat dovrebbe passar subito la mano, lasciando a Renzi un partito «rottamato» dal risultato. E con Bersani verrebbe fatta fuori l’intera classe dirigente attuale, che non ha interesse a capitolare. Ecco allora che, dopo le prime dichiarazioni incentrate sulla necessità di «tornare a votare», lo stato maggiore del Pd ha assunto una linea meno intransigente, Enrico Letta ha rettificato il tiro, la Finocchiaro ha spiegato che «serve un governo pienamente politico». Una posizione certamente condivisa da D’Alema. Non a caso, in modo speculare, dal fronte berlusconiano sono giunti i primi segnali di apertura: «Se nessuna delle coalizioni avrà la maggioranza — ha detto il pdl Palma — andrà trovata una soluzione per garantire la governabilità». Persino la Lega con Tosi si predispone all’evenienza, pur prospettando un’«opposizione costruttiva» a un eventuale gabinetto di larghe intese.
Condannati a governare, per espiare le colpe commesse ancora nel recente passato, Pd e Pdl sanno che dovrebbero fare le riforme — anche quelle istituzionali — prima di tornare al voto, per evitare il «suicidio». È una missione (quasi) impossibile, non solo per l’incompatibilità delle ricette economiche ma anche per le difficoltà di comporre il governo. Spetterebbe a chi ha vinto alla Camera indicare il premier, epperò «l’alleato» chiederebbe una figura «terza» per accettare il patto. Uno schema che andrà comunque applicato per la corsa al Colle, dove i candidati di «parte» come Prodi perdono terreno. Perché il Cavaliere — «perdente di successo» — vuole sedere al tavolo che conta. Ma lì ci sarà anche il convitato di pietra: Grillo, l’uomo dello tsunami.
Francesco Verderami