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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

LO TSUNAMI SI ABBATTE SUL PARLAMENTO: ONDATA DI 170 GRILLINI

«Affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre, per risultato, il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti» - Declaration des Droits de l’Homme et du Citoyen, Parigi, 28 agosto 1789.

Davanti al comitato del MoVimento 5 Stelle di via Boiardo, a pochi metri da piazza San Giovanni, improbabile Bastiglia del nuovo che avanza, un gruppo di universitari della Sapienza - studenti di filosofia, prima volta al voto, età media diciannove anni - declama sotto la pioggia sporca il preambolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Sono le otto di sera, il cielo sembra tamponato con dell’ovatta nera, e, pochi metri più in là, nelle sale sotterranee di questo hotel improvvisato quartier generale di un popolo abituato alle sale virtuali del web, si respira l’aria inebriante e rischiosa delle giornate storiche. «Liberté, Egalité, Fraternité», gridano i ragazzi, come se avessero davvero rovesciato un tiranno. Le telecamere di mezzo mondo - inglesi, tedesche, spagnole - stringono lo zoom sulle loro bocche spalancate, sui loro occhi increduli, sulle loro spalle sottili. Troppo sottili? «Illesi», li ha definiti Erri De Luca. Bambini sicuri di essersi presi il mondo. «Non era il Pd che doveva vincere queste elezioni?». Non è una contrapposizione. Solo una constatazione. In qualche modo amara.

È proprio a quell’area, la sinistra verde-ecologista-egalitaria-sognatrice-legalitaria, che sono andati ad accumulare consensi. Lo dice anche un’indagine del Censis uscita a urne chiuse. L’identikit del grillino? Prevalentemente di sinistra, ex astensionista, di istruzione medio-alta, occupato per oltre il 57%. Democrat, insomma. Solo che Bersani ha scelto di affidarsi all’apparato - cioè a una logica identitaria, di fatto all’esclusione - mentre Grillo ha scelto la rete, cioè l’inclusione. «Uno vale uno». Nessuno decide per gli altri.

La stanza sotterranea dell’hotel si riempie come un uovo. Baci, abbracci, telefoni che squillano senza sosta. A parte i giornalisti non c’è nessuno che abbia più di quarant’anni. «Smettetela di dire che il nostro è solo un voto di protesta. Hanno vinto le nostre proposte», commenta il portavoce siciliano Giancarlo Cancelleri. I computer lavorano senza sosta. Tutto ripreso. Documentato. Ributtato in rete. Ogni singolo respiro. Ogni parola. La perestrojka grillina destinata a invadere il Parlamento. Affascinante e spaventosa. «Con noi nessuno farà inciuci o inciucetti». Non è un caso se poco dopo le tre il Grande Capo aveva twittato da Genova: «L’onestà andrà di moda».

Al telefono da Firenze l’avvocato Alfono Bonafede, capolista alla Camera in Toscana, sostiene che questo risultato era inevitabile. «La gente ha scelto noi. Noi siamo la gente. Siamo i loro portavoce. È bellissimo. Il voto a Berlusconi mi amareggia un po’. Le sua proposta elettorale è stata assurda. Però ci è stata. Il Pd invece è sparito dalla scena». Bersani in un angolo. Ancora barricato. Come se fosse solo alla ricerca di una via d’uscita pulita e silenziosa. «Non chiamateci onorevoli. Chiamateci cittadini», chiosa Bonafede. Collegata da Rimini Giulia Sarti, ventisettenne neo-onorevole, spiega che anche a lei «dispiace per questo risultato forte di Berlusconi. Politicamente sembra immortale. Ma non dite che abbiamo portato via i voti alla sinistra. Noi siamo un’altra cosa. E lo siamo anche perché loro hanno fatto parte del sistema. Dov’è la legge sul conflitto d’interessi?». Sono un’altra cosa. Ma il senso del piccolo pasticcio viene fuori da molte dichiarazioni. Come si governa il Paese, ora? E voi, chiedono ossessivamente i media stranieri, a chi darete il vostro appoggio? «La parola alleanza non fa parte del nostro vocabolario. Votiamo le buone idee. Le idee dei cittadini», spiega Marta Grande. Ha capelli rossi, occhi caldi che scottano. «L’ostruzionismo non ci interessa». Linea condivisa. Ma l’ingovernabilità è un dato di fatto.

Roberta Lombardi, in lista alla Camera, sembra sfinita. Da tredici mesi è mamma. «Certo che lo sento il peso della responsabilità. Non siamo i salvatori della Patria. Ma siamo pronti a bonificare il campo». Le suona il cellulare. È il papà pensionato. Lei si emoziona. Dice: ti richiamo dopo. Si allontana. Meglio che si muova prima che il battito del suo cuore diventi insopportabile. La Bbc intanto attacca. Li sfotte. Gavin Hewitt scrive: «Un italiano su quattro ha votato per un comico. Che succederà ora all’Europa?». E Udo Gumpel, corrispondente tedesco di Rtl, aggiunge: «Se fossi il capo del Pd io mi dimetterei. Solo Renzi avrebbe potuto fermare Grillo. Ma ora è con lui che i democratici devono cercare un’alleanza». Molte perplessità. Grillini soli. Per qualcuno isolati. Eppure forti. «Se ce l’ha fatta Scilipoti ce la può fare chiunque», giura Alessandro Di Battista. Dopo la laurea era andato a cercare lavoro in Portogallo. La prossima settimana entra in Parlamento. «Non porteremo ingovernabilità, siamo qui per lavorare, se si rivoterà prenderemo il 50%». Lo diceva anche quando sembrava una coccinella tra le dita di un taglialegna. Non gli credeva nessuno. Ma non c’era ancora stato il voto. Non erano ancora arrivati i cittadini. Un rischio o un’opportunità?