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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

COSÌ LA CRISI COLPISCE ANCHE I SUPER RICCHI

La crisi economica, in Europa e negli Stati Uniti, ha reso la classe media molto più vulnerabile a quei mutamenti che spingono le famiglie verso la povertà. Nei Paesi a più basso reddito, nonostante gli indubitabili progressi realizzati da alcuni di essi, la maggior parte della popolazione continua a essere povera. Nel frattempo, la disuguaglianza economica si è acutizzata. Tra il 1970 e il 2012, il reddito dell’1 per cento più ricco della popolazione statunitense è raddoppiato, passando dal 10 al 20 per cento del totale, mentre il 10 per cento più povero ha registrato un incremento di appena il 3,6 per cento. E sappiamo che non sono stati esattamente i più abbienti a sopportare il peso maggiore del riallineamento dell’economia europea.
Dietro questa dura realtà si nasconde tuttavia un’altra tendenza che ha preso il via prima della crisi economica ed è destinata a proseguire anche quando la crisi sarà scemata: le grandi aziende e i loro supermanager stanno perdendo potere. Sembra difficile crederlo, di fronte alla diffusissima e ben giustificata indignazione per una crisi provocata dalle decisioni degli imprenditori più potenti e per il fatto che molti di costoro non sembrano aver pagato un prezzo molto elevato per i loro errori. Eppure… Le persone più ricche del mondo e quelle che dirigono imprese che sembrano fortezze inespugnabili sono più vulnerabili di un tempo al rischio di perdere potere, denaro e prestigio. Questo non significa certamente che siano da compiangere: continuano con ogni evidenza a passarsela benissimo. Ma pensare che nelle alte sfere del potere economico non stiano avvenendo trasformazioni profonde è un errore.
Secondo Emmanuel Sáez, dell’Università della California, l’1 per cento più ricco della popolazione degli Stati Uniti ha subito una riduzione del reddito del 36 per cento in seguito alla crisi, mentre il restante 99 per cento ha perso l’11,6 per cento del proprio reddito. Nel 2012, 441 delle persone più ricche del mondo citate nell’elenco della rivista hanno registrato un calo del loro patrimonio. È evidente che un calo dell’11 per cento del reddito per una famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese è una catastrofe, mentre perdere un terzo dei propri introiti per un super-ricco è un evento dalle conseguenze limitate. Ma sta di fatto che chi guadagna di più non è al sicuro come un tempo.
E non è solo una questione di reddito, è più a rischio di prima anche il loro posto di lavoro. Negli Stati Uniti, la permanenza in carica di un alto dirigente si è dimezzata rispetto agli anni 90, passando da 10 a 5 anni. Nel 2011, il 14 per cento dei massimi responsabili delle 2.500 imprese più importanti del mondo ha lasciato la carica non di propria volontà. E vale anche per le imprese stesse: non è più facile come un tempo mantenere una posizione di leadership. Uno studio di Diego Comin e Thomas Philippon ha mostrato come nel 1980, per un’azienda statunitense appartenente al quintile più alto del suo settore, il rischio di scendere di livello nei cinque anni successivi era di appena il 10 per cento. Vent’anni dopo, questa probabilità era cresciuta fino al 25 per cento. Nel settore finanziario – da sempre uno dei più importanti – le grandi imprese tradizionali sono fallite o sono incalzate da nuovi concorrenti. Nel secondo semestre del 2010, i 10
hedge fund
più importanti – in buona parte sconosciuti al grande pubblico – hanno guadagnato più delle sei banche più grandi del mondo messe insieme. E questi dieci fondi hanno alle loro dipendenze solo qualche migliaio di persone, mentre le banche più grandi hanno centinaia di migliaia di impiegati.
Un altro rischio che le grandi imprese e i loro dirigenti corrono molto più di un tempo è quello di subire un incidente che rovini la loro reputazione. Un’inchiesta condotta dalla Oxford Metrica ha scoperto che le aziende che possiedono i marchi più conosciuti a livello mondiale hanno l’82 per cento di probabilità, nell’arco di 5 anni, di incorrere in un incidente che riduca drasticamente il valore del loro marchio. Vent’anni fa, questa probabilità era soltanto del 20 per cento.
Che significa tutto questo? Non che il potere economico stia scomparendo, né, tanto meno, che sia in declino la sua capacità di influire su politici e governanti. Significa però, questo sì, che la situazione dei super-ricchi e dei dirigenti delle grandi imprese non è più confortevole e inattaccabile come un tempo. Il potere economico, come molti altri poteri di questi tempi, adesso è più facile da ottenere, più difficile da esercitare e più facile da perdere. E questa è una buona notizia.
(Traduzione di Fabio Galimberti)