Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 23/2/2013, 23 febbraio 2013
LA RICETTA SVEDESE PER RILANCIARE FINMECCANICA
Pochi Paesi sono trasparenti e non corrotti come la Svezia. Eppure Telia Sonera, una società di telecomunicazioni controllata dal governo svedese, sei mesi fa è stata coinvolta in uno scandalo di presunte tangenti, come è capitato negli ultimi giorni alla nostra Finmeccanica. Anche le organizzazioni meglio strutturate devono affrontare degli imprevisti potenzialmente devastanti. La differenza nella qualità della corporate governance si vede in come viene gestita l’emergenza. Appena la notizia delle presunte tangenti in Uzbekistan è emersa, il consiglio di amministrazione di Telia Sonera ha nominato un team indipendente che ha fatto un’indagine esterna riportando direttamente al consiglio. In quattro mesi la commissione ha stilato un report chiaro, disponibile a tutti. In questo report si dice che non hanno trovato evidenza diretta di tangenti o riciclaggio, ma che molti elementi critici suggeriscono che i sospetti delle autorità svedesi possano essere fondati. Non c’è quindi «innocente fino a prova contraria», principio sacrosanto nel diritto penale, ma non nel mondo societario. Proprio a questo proposito, il report biasima sia l’amministratore delegato che il consiglio per la «mancanza di attitudine critica nei confronti dell’informazione presentata dal project management» e per una «carenza di informazione sull’identità della controparte e dei suoi azionisti». In altre parole, l’Uzbekistan è uno dei Paesi più corrotti al mondo. Se uno vuole operare in quel Paese deve usare tutte le misure cautelari del caso. Se non lo fa è passibile per lo meno di incompetenza. Appena letto il report, l’amministratore delegato di Telia Sonera si è dimesso, senza neppure aspettare il consiglio. A sua volta, l’intero consiglio è stato dimissionato dal governo svedese. Confrontiamolo con la vicenda Finmeccanica. Quando Pier Francesco Guarguaglini, accusato di fondi neri, si dimette, il Governo non rimpiazza l’intero consiglio, come ha fatto quello svedese, ma nomina Giuseppe Orsi, un interno, come amministratore delegato. Poco dopo lo stesso Orsi viene accusato di aver pagato tangenti all’India. Invece di nominare una commissione indipendente, il consiglio lascia che l’indagine interna sia gestita da Orsi stesso e dal capo del legale, suo riporto funzionale. Non sorprendentemente, qualche mese dopo la magistratura ordina l’arresto dello stesso Orsi per il rischio di inquinamento delle prove. Come si può pensare che Orsi non possa influire sulle decisioni del suo sottoposto? È questa la trasparenza? Se il consiglio di amministrazione lascia a un indagato la facoltà di inquinare le prove, la colpa è del consiglio stesso. Non solo. All’indomani dell’arresto il consiglio esprime «solidarietà al proprio presidente e amministratore delegato». Solidarietà non è una semplice espressione di empatia per la tragedia umana di una persona accusata. È una difesa aprioristica. Solidarietà viene dal latino "solidus" "intero, compatto". Una obbligazione "in solido", lega il destino di un individuo a quello degli altri individui uniti da tale vincolo. Con quell’espressione il consiglio annuncia implicitamente di volere legare il suo destino a quello dell’amministratore delegato uscente, che non vuole fare chiarezza a tutti i costi. All’errore dei consiglieri, però si somma l’errore del Governo. Perché lasciare a questo consiglio solidale con l’accusato la gestione della difesa della società? Difenderà gli interessi della società o quelli dell’individuo? L’intero consiglio andava immediatamente rimpiazzato. E non doveva essere scelta un’altra persona di quel consiglio solidale a gestire Finmeccanica. In altri termini, la buona corporate governance richiede alle organizzazioni di separare i propri destini da quelli degli individui che le governano, quando questi individui rischiano di compromettere il successo delle organizzazioni che dirigono. Purtroppo in Italia, invece, chi governa preferisce difendere gli interessi dei potenti a scapito di quelli dell’impresa stessa, dei suoi lavoratori e dei suoi azionisti. È triste vedere però che anche un governo tecnico, che questi principi doveva incarnare, ha fallito di dare il buon esempio.